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Febbraio-Marzo/2007 - Articoli e Inchieste
Parlamento
“La riforma elettorale necessaria e urgente”
di Giancarla Codrignani

Incomprensibili le sordità politiche
e le lentezze, mentre è prioritario, per dare
senso all’elezione, che il cittadino
sia arbitro delle rappresentanze


La “questione elettorale” serpeggia nei discorsi politici italiani almeno dal 1983, quando la prima Commissione bicamerale sulla riforma costituzionale, presieduta dall’on. Bozzi, pose il problema di come conciliare la prassi democratica parlamentare con la necessità che “il governo possa governare”. La stessa “legge dei sindaci”, che responsabilizzava fortemente l’autorità del sindaco, mentre parallelamente vedeva decadere l’importanza del Consiglio comunale, già intaccata dalla scarsa partecipazione popolare all’interno delle aule consiliari, andava nello stesso senso; inoltre sperimentava a livello locale la propensione al sistema elettorale personalizzato del “maggioritario”.
Invece con la legge elettorale voluta dal governo Berlusconi, come tutti i cittadini hanno potuto sperimentare, si è defraudata la cultura democratica dei cittadini, rinviando ai partiti la scelta dei candidati e presentando agli elettori procedure diversificate per Camera e Senato e liste bloccate su cui “bloccata” diventa la libertà degli elettori.
A molti potrà non essere piaciuta la riforma che ha trasformato il sistema proporzionale in maggioritario, ma fu convalidata da un referendum con l’80% dei consensi e da una legge ampiamente discussa in Parlamento e votata con approvazione “bipartisan”.
Ben altro è stato il clima che ha prodotto questa sciagurata riforma: la paura di perdere le elezioni indusse Berlusoni a una tattica a suo modo geniale. Furono elaborati emendamenti alle riforme in materia, che erano in discussione alla Commissione Affari Istituzionali - si trattava di ritocchi, più che di riforme, per abolire, per esempio, lo scorporo, che favoriva le “liste civetta” - e, successivamente, subemendamenti ai propri emendamenti (che, per regolamento non possono essere a loro volta emendati da altri) per cambiare radicalmente il sistema elettorale. Prodi commentò: “Hanno avvelenato i pozzi!”
Se fosse rimasta la norma preesistente, la sinistra avrebbe avuto i suoi bravi cento seggi di maggioranza e avrebbe potuto governare con tranquillità. Invece al Senato siamo continuamente a rischio perché il voto di questa Camera è stato portato a livello regionale per far sì che nelle Regioni in cui, anche per un voto, si desse una maggioranza, la parte vincente avvesse il 55% dei seggi e la somma generale dei risultati di tutte le Regioni tendesse all’azzeramento.
Le liste bloccate, poi, hanno, per tutti, a prescindere dall’essere di una coalizione o dell’altra, ridato il potere assoluto ai partiti promotori delle liste e dell’ordine delle candidature, eliminando la possibilità di libera scelta dell’elettorato.
Questo ai partiti può far comodo; ma la norma resta illiberale e alimenta i rischi per la coalizione vincente: non si può far conto di niente, anche perché le riforme elettorali vanno fatte a distanza dalle scadenze, sia per non strumentalizzarle in prossimità di votazioni, sia per garantire le successive legislature dai guasti vigenti. Sarebbe doveroso anche farle con l’apporto di tutte le forze parlamentari; ma siamo in stato di necessità e occorre ridare senso e governabilità alle Istituzioni.
Non si comprendono pertanto le sordità politiche, le lentezze e il rinvio della materia alla riforma della Costituzione, quando tutto fa pensare a un’emergenza istituzionale.
Se la sovranità risiede nel popolo e il principio cardine della cittadinanza è il voto, è evidente che proprio per dare senso all’elezione e, quindi, al Parlamento e al governo, il cittadino vuole essere “arbitro” della rappresentanza. La presenza di tanti cittadini alle “primarie” lo conferma.
Qualcuno rispolvera, per l’occasione, il ritorno al sistema proporzionale, anche se solo con il maggioritario si interruppe la stabilità dei governi che per oltre cinquant’anni hanno fatto dell’Italia un caso di politologia comparata, visto che in tutti i Paesi democratici si è praticata l’alternanza; o stabilire una soglia di sbarramento per legittimare i partiti piccoli.
Sarebbe bene non investire troppo e rinunciare ad introdurre in Costituzione la normativa elettorale. Forse basterebbe salvaguardare la correttezza della prossima consultazione, limitanto le innovazioni, introducendo la soglia di sbarramento e l’obbligo per i partiti di indicare la propria scelta di coalizione prima del voto.

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