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Febbraio-Marzo/2007 - Articoli e Inchieste
Allo stadio
Madre di due sbirri
di Angela Barrale Lombardo

Qualunque omicidio colpisce la coscienza di tutti noi, ci invita a riflettere, a sentirci partecipi del dolore che investe la famiglia, ma tutto ciò è causa soltanto dell’emozione del momento!
Poi, tutto e subito ritorna alla normalità, si dimentica, ed il vuoto resta chiuso tra le mura domestiche.
Non sono solo parole le mie, ma uno sfogo, un’amara constatazione, il dolore per la perdita di una vita umana viene intensamente vissuta in seno alla propria famiglia, in giro se ne parla (bla, bla, bla!) e poi?
Voglio vedere, constatare i riscontri per quanto è avvenuto durante la partita Palermo-Catania, in cui l’ispettore capo della Polizia Filippo Raciti è stato assassinato, bersaglio solo perché tutore dell’ordine pubblico, perché “sbirro”, colpevole di voler frenare i “giusti risentimenti”, sedare gli animi di tifosi lesi nel loro orgoglio sportivo da un ingiusto arbitraggio!
Sono madre di due “sbirri” e ne sono orgogliosa! Hanno coscientemente scelto di fare i poliziotti, avrei voluto contrastarli, ma non ne ho avuto il coraggio, perché era questo che volevano!
Ho conosciuto negli anni tanti ragazzi lontani da casa come i miei, li ho sentiti e li sento miei figli, li vedo soli in società falsamente buonista, abbandonati dalle Istituzioni, scherniti e addirittura odiati da un contesto sociale che si ricorda di loro nel bisogno! Sono “carne da macello”! Lo prendono uno stipendio (e che stipendio!). Anche la Finanziaria non ha pensato a loro, tanto guadagnano e per 20 euro di extra possono essere presi a sputi in faccia, colpiti con ogni sorta di oggetto e addirittura morire allo stadio per una partita di calcio!
Quante feste in servizio! In servizio per salvaguardare l’incolumità del “prossimo”, ma la loro incolumità chi la salvaguarda?
Lo Stato si ricorda di loro solo quando ci scappa il morto?
Sono molto, ma molto vicina alla famiglia dell’ispettore Raciti, ma principalmente sono vicina ai suoi figli, che cresceranno senza il calore, l’amore del loro papà, che è stato colpito come in guerra, in una guerra di “tifo sportivo”?
Tutto il campionato è stato fermato, il Ministro non vuole più mandare gli agenti negli stadi, ma chi calmerà gli scalmanati quando tutto riprenderà il ritmo di sempre e quanto è avvenuto sarà solo un ricordo, una fatalità?
Si ricordi la gente di questi nostri figli, costantemente in guerra, che devono vincere battaglie su battaglie, questi nostri figli “mal pagati”, “mal vestiti”, “vituperati”, ma è giusto che sia così, sono sbirri, loro lo hanno voluto!
________________________________________
Le parole della vedova

Ecco le parole di Marisa Grasso, vedova di Raciti, lette nel corso delle esequie:

“Sono sicura che tutti conoscevate Filippo. Venerdì ho preso un duro colpo nell’apprendere che mio marito era morto.
C’eravamo salutati come ogni volta: ‘Ciao, ci vediamo più tardi’. Immaginavo che sarebbe tornato con qualche ferita, ma non avrei mai immaginato che non sarebbe tornato.
Rivolgo queste parole a quei ragazzi che, immaturamente, stupidamente, scioccamente, guardano un poliziotto, tutti coloro che portano una divisa, con disprezzo e odio.
Mio marito, oltre ad essere un grandissimo e bravissimo poliziotto, era un grandissimo uomo. Aveva delle qualità e non parlo così perché sono sua moglie; tutti lo sanno, aveva delle qualità vere, era sincero, leale, affidabile, disponibile, era bravo in tutto.
Ecco io mio marito non lo vedo morto perché è sempre presente. Era un educatore, un educatore alla vita.
Quando ai suoi colleghi dico ‘andate a casa, non state vicino a me’, tutti mi rispondono la stessa frase: ‘Filippo avrebbe fatto lo stesso’. E io lo so che avrebbe fatto lo stesso, sarebbe stato presente.
Vorrei che mio marito, oltre che essere un educatore nella vita, sia anche un educatore nella morte. Che questa morte possa portare veramente dei cambiamenti. Che non ci sia nessun’altra famiglia a provare questo enorme dolore.
La sportività è una cosa bella, la violenza no.
La violenza fa del male. Troppo, troppo. E non è un gesto maturo, essere grandi si dimostra con il rispetto”.

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