Le esperienze di educatori, psicologi
e medici che si occupano delle tematiche
giovanili e adolescenziali, mettono
in evidenza una cruda realtà: la famiglia
è sempre l’ultima ad accorgersi di quello
che accade ai propri figli, a sapere
come conducono la loro vita
Sia sulle pagine di questa rivista che sulle pagine di altre riviste che si occupano dei problemi giovanili ed adolescenziali è stata più volte sollevata con veemenza la questione dell’emergente problema della devianza e della criminalità giovanile. Questione tuttavia che solo in pochi hanno compreso e su cui continua a permanere, sia a livello politico che sociale, un velo di incoscienza. Solo in pochi hanno compreso che anche in Italia, così come è già avvenuto in altri Paesi occidentali, non esiste più una criminalità giovanile differente dalla criminalità adulta: la criminalità giovanile usa mezzi e comportamenti sovrapponibili a quella adulta. Non sono più presenti delle devianze specifiche tipiche dell’adolescente e che possono ricadere in modo peculiare nell’ambito penale minorile, i reati commessi dai minori evidenziano tipologie di reati e modus operandi che non si discostano dal crimine adulto. La mancata percezione sociale della gravità del problema della devianza giovanile determina anche un pericoloso ritardo nell’aggiornamento dell’ambito penale minorile. In altre nazioni, come ad esempio gli Usa, dove il fenomeno è già esploso, si parla di abbassare l’applicazione del Codice penale comune a 16 o 14 anni e di abbassare la soglia della non punibilità (attualmente in Italia a 14 anni) a 12 o addirittura a 10 anni. In Italia un giudice, prima di procedere ad un rinvio a giudizio di un minore verso il dibattimento, deve assicurarsi che il minore sia psicologicamente maturo ed in grado di capire il disvalore sociale e la portata giuridica dei propri atti. Tuttavia non è su questo aspetto, peraltro importante, che voglio focalizzare l’attenzione di questa analisi, non sulle anacronistiche procedure che il Codice penale prevede per i minori, bensì sulle residue possibilità cha la società civile ancora dispone per arginare e prevenire il fenomeno della ingravescente criminalità giovanile.
Quando si affrontano le tematiche giovanili ed adolescenziali l’aspetto della prevenzione viene di norma collegato con l’ambito familiare. Si ritiene che la famiglia possa rappresentare il luogo ed il mezzo con cui sia possibile effettuare un controllo dei fenomeni devianti giovanili, evitando che questi possano degenerare in fenomeni criminali. Tuttavia le esperienze dirette degli educatori, gli psicologi ed i medici che si occupano di questi fenomeni mettono in evidenza un cruda realtà: la famiglia è sempre l’ultima ad accorgersi di quello che accade ai propri figli e sapere come conducono la loro vita, come ad esempio le persone che frequentano, le sostanze che assumono, la gestione dei loro soldi. Quando poi se ne accorge il fenomeno deviante è già cronicizzato, grave, non più risolvibile con un semplice intervento familiare. Ai fini di una corretta ed efficace prevenzione del fenomeno in questione la famiglia quindi può offrire molto poco ed è inutile sperare che si possa arginare il fenomeno della dilagante criminalità giovanile facendo leva sulla famiglia. I genitori sono troppo oberati dai problemi economici o personali per osservare gli eventi che accadono ai propri figli e quando alla loro attenzione si materializza il problema deviante o criminale del figlio quasi mai la famiglia risponde con più rigide regole di comportamento od un controllo più continuo della loro condotta. La famiglia di norma sceglie delle risposte “protettive” cercando delle tutele mediche o legali che evitano al giovane ogni forma di responsabilità diretta rispetto ai propri atti, cercando ancora una volta una delega extra-familiare rispetto al proprio ruolo: non se ne occupano direttamente, ma affidano il problema all’esperto di turno (psicologo o avvocato) che prenda in mano la situazione ed aiuti il giovane ad uscire dal “problema”. E’ comprensibile ed umano che il genitore privilegi la via affettiva rispetto alla via normativa, ma la tutela ad oltranza “sempre e comunque” di chi sbaglia non conduce all’estinzione dell’errore, non conduce ad una crescita o maturazione psicologica e sociale del minore, poiché ciò che lui impara è che può continuare a combinare altri guai tanto poi il genitore risolve tutto con i suoi soldi o con le sue amicizie.
Non si può chiedere quindi alla famiglia di porsi in un ruolo preventivo rispetto alla devianza giovanile poiché psicologicamente non è in grado di osservare, ascoltare, capire ed intervenire in modo efficace rispetto alle devianze dei propri figli. Ciò che si osserva all’interno delle dinamiche familiari è una marcata frattura tra il mondo degli adulti, quello dei genitori, rispetto al mondo dei figli, quello degli adolescenti.
Se quindi la famiglia non ha né gli strumenti né le capacità per effettuare una efficace prevenzione, a chi possiamo chiedere un controllo ed un argine rispetto alle devianze giovanili?
L’istituzione giusta, in grado di offrire osservazione, ascolto, comprensione e riabilitazione rispetto alle devianze giovanili è la scuola, intesa come istituzione “formativa” e non solo informativa, in grado quindi di far crescere psicologicamente gli alunni e non dare loro semplicemente e passivamente delle nozioni culturali. La scuola è l’ambito giusto anche per il fatto che ogni giovane, fino all’età dell’adolescenza, vi passa il maggior numero di ore giornaliere rispetto a qualsiasi altra istituzione od altro ambito sociale. In più è nell’ambito scolastico che nascono i gruppi giovanili ed il giovane si aggrega a tal punto ai suoi coetanei da assorbirne completamente lo stile di vita.
Alcuni insegnanti recentemente hanno confidato che fino a qualche decennio fa osservando un giovane era possibile capire che tipo di famiglia questi aveva alle spalle. E non solo per l’appartenenza di ceto sociale, ma anche culturale, affettiva, educativa. Per cui quando il genitore di un giovane si presentava a colloquio con gli insegnanti, la persona che il docente si trovava di fronte in qualche modo corrispondeva alla stima che era stata effettuata. Oggi non è più così. I giovani non somigliano ai genitori nel modo di parlare, di vestirsi, di comportarsi ed in tutti gli altri aspetti sociali. I giovani somigliano solo ai coetanei del proprio gruppo di appartenenza e questi assomigliano ai modelli che vengono veicolati dai mass-media dedicati ai giovani, sia attraverso la rete Internet che dai canali di videomusica (tipo “All Music” o “Mtv-MusicTeleVision”) che tengono costantemente accesi o collegati.
E’ quindi durante le ore passate a scuola che il giovane assorbe e personalizza il proprio stile di vita, non prendendo a modello un docente, bensì avendo a modello il gruppo di appartenenza a cui si uniformano completamente ed in modo acritico.
Altre analisi, di tipo sociologico, effettuate mettendo a confronto adolescenti di realtà sociali diverse mettono in evidenza la scomparsa, rispetto a qualche decennio fa, delle differenze sociali, culturali e regionali che distinguevano un giovane rispetto ad un altro. Non esistono più dei modelli locali, in grado di rispecchiare una cultura regionale, tradizionale, tipica di un determinato contesto sociale. Oggi il modello, essendo veicolato dal web e dai canali musicali, è globalizzato per cui un giovane che vive ad esempio in un paesino della Sicilia si trova a vestire, muoversi, mangiare ed ascoltare musica in modo identico ad un coetaneo che vive a Milano, o a Berlino, o a New York! Il giovane non somiglia più al genitore, non ne tramanda più costumi e tradizioni, ma somiglia ad un coetaneo di un qualsiasi posto nel mondo che, come lui, passa la propria giornata davanti al computer, collegato ad Internet, ad assorbire in modo acritico tutto quello che viene veicolato sul web, sia la cultura che la “spazzatura”.
Ciò che non è stato possibile alla biologia, cioè la clonazione genetica, è stato effettuato dai media attraverso una “clonazione culturale” per cui, ad esempio, delle ragazze orientali hanno richiesto degli interventi di chirurgia plastica per perdere i connotati somatici orientali ed acquisire i canoni estetici della bellezza femminile occidentale.
Non potendo controllare le informazioni veicolate dal web, non resta altro che formare una cultura critica nel giovane utente di Internet in grado di capire la differenza tra una informazione seria e la “spazzatura”. Cultura critica che è possibile formare solo in ambito scolastico e solo se il giovane avrà a disposizione un docente in grado di trasmettergli una competenza di questo tipo. Competenza che oggi è difficile reperire, anche solo fra le righe, nei programmi ministeriali.
Tornando quindi al ruolo formativo della scuola possiamo dire che solo durante le ore passate a scuola il giovane assorbe, attraverso una passiva aggregazione sociale, le regole sociali che guideranno il suo comportamento nell’immediato e nel futuro. Questo attualmente avviene in modo passivo poiché nessuno guida ed indirizza questa formazione e le regole che vengono fornite ed acquisite non sono quelle di valore sociale bensì della sottocultura del gruppo di appartenenza. E siccome parliamo di un’età giovanile, con un cervello ancora molto plastico in grado di assorbire, come una spugna, tutti i modelli che trova intorno a sé, la formazione che viene effettuata ha tutti i caratteri della forza e della permanenza, per cui anche a distanza di decenni, in piena età adulta, queste regole interpersonali saranno ancora valide e determinanti.
Se escludiamo la scuola dal progetto della prevenzione della devianza giovanile non resta molto altro. Non ci sono altre istituzioni in grado di effettuare una formazione sociale oppure in grado di fornire delle valide regole di comportamento e di interazione sul lavoro, in società, in famiglia.
Da sempre la scuola rappresenta il futuro della società e tutti i filosofi ed i pedagogisti hanno profuso nella scuola e nella formazione le maggiori energie di pensiero e di studio. Oggi che la pedagogia non esiste più, sostituita dalle “scienze della formazione e dell’educazione”, ci ritroviamo a fare i conti con chili e chili di letteratura pedagogica, stilata ed elaborata nel corso degli ultimi due millenni, fin dai tempi dell’antica Grecia o dei Romani, senza che tutta questa cultura ed esperienza abbia una ricaduta pratica su come venga gestita ed organizzata la scuola oggi.
La didattica, la gestione dei docenti, i programmi ministeriali, i criteri di valutazione rispondono ad esigenze politiche secondo il modello del ministro di turno e non sono improntate sulla base delle conoscenze psicologiche ed educative emerse in oltre 20 secoli di insegnamento, per cui in Italia si continua a privilegiare la nozione sul metodo e la valutazione dell’alunno è basata solo sulla somma degli errori. La psicologia evolutiva ha dimostrato che questi sono metodi scorretti, buoni solo per avere un bel voto, ma non in grado di assicurare la riuscita nella vita e nella società civile.
Eppure la scuola, pur con i suoi limiti, i suoi errori ed i suoi anacronismi è oggi l’ultima trincea che ancora possa difendere la società civile da una criminalità e da una devianza giovanile sempre più agguerrita e feroce. Oggi che la famiglia protegge ma non educa, le forze di Polizia “abbaiano ma non mordono”, la magistratura giudica ma non condanna, lo sport è businnes e non un gioco, il denaro accumulato dalle banche e dalle aziende è un fine e non un mezzo… solo la scuola è in grado di offrire una formazione sociale per i cittadini di domani.
Solo la scuola perché almeno un terzo della vita di ogni giovane si svolge dentro le sue mura, solo la scuola perché interviene nel periodo più recettivo della mente e dello sviluppo psicointellettivo del giovane, solo la scuola perché rappresenta una “società in miniatura”, un piccolo modello dove poter iniziare a sperimentare le relazioni interpersonali. Solo la scuola per questi e per mille altri motivi che è superfluo sottolineare, poiché tutti li conoscono e li riconoscono, anche se poi non vengono applicati nelle scelte del quotidiano e vengono ignorate dal legislatore.
Per i cittadini di domani, per fare di loro dei buoni cittadini, la scuola deve porsi come palestra formativa per dei buoni rapporti sociali, per il rispetto delle regole, per il senso della responsabilità, per quell’etica e quella morale che la famiglia non è più in grado di sviluppare e la Chiesa ha smesso di promuovere nei propri praticanti.
Continuiamo a ritenere importante e che deve essere acquisito da ogni alunno il corretto uso dei verbi oppure l’effettuazione di una corretta moltiplicazione, tuttavia questo non deve far perdere di vista che l’obiettivo globale della scuola deve essere la crescita e la maturazione di tutte le funzioni mentali e sociali del giovane e non solo delle sue nozioni culturali.
Tuttavia la scuola non è fatta di soli alunni o di sole aule, la scuola è innanzi tutto formata dal corpo docente su cui ricade il peso maggiore della responsabilità della formazione sociale, dello sviluppo psicologico e della maturazione individuale e non solo della cultura. Formazione globale, su tutti questi aspetti, vuol dire attenzione anche agli aspetti sociali e relazionali dell’alunno in tutti i momenti ed in tutte le situazioni che formano e completano l’esperienza scolastica. Momenti giovanili formativi irripetibili e fondamentali che banalmente e colpevolmente oggi vengono trascurati e persi a favore di miti ed ideologie che rappresentano il bene e l’interesse solo di qualche azienda, di qualche divo, di qualche “operazione di marketing”.
(cannavicci@iol.it)
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