Achille Serra, Prefetto di Roma, racconta in un libro
le sue esperienze sul fronte della lotta alla criminalità
Un poliziotto senza pistola (ed. Bompiani, pagg. 294, euro 16,50) è veramente una curiosa novità nel campo editoriale. Gli anni di piombo, quelli della lotta armata, sono stati raccontati soprattutto attraverso le testimonianze di chi ha condiviso e accettato tale forma di lotta. In quel periodo i poliziotti e le loro famiglie vivevano la tensione della paura. Non andavano più al lavoro in divisa, dovevano farsi notare il meno possibile per non essere un bersaglio. La consegna era: riservatezza. Tutto questo perchè i terroristi sparavano ai poliziotti o ai carabinieri in quanto simbolo dello Stato e non per il lavoro che svolgevano.
Il libro di Achille Serra, Prefetto di Roma, è testimonianza e memoria di un momento della nostra storia. E’ la voce di tutti gli attori di quel periodo attraverso il cui ascolto è possibile analizzare le cause che hanno condotto l’Italia a quella deriva. Serra, però, non ci racconta solo del terrorismo, ma anche di una criminalità che faceva capo a personaggi spietati che non indugiavano a coprire di cadaveri la strada della loro fuga. La conoscenza che il poliziotto ha approfondito maggiormente, nel corso della sua carriera, è quella con Renato Vallanzasca. Nel libro è descritto come un uomo duro, un leader incontrastato che meritava la stima dei compagni, perché per primo affrontava le situazioni di pericolo connesse alla sua attività criminale. Serra tratteggia la personalità di un uomo che dà valore alla parola data, che mantiene fede ad essa e possiede un proprio codice d’onore. Ed è proprio facendo leva su questo codice d’onore che Serra è riuscito a conquistarsi il rispetto di tanti malavitosi che hanno riconosciuto in lui un avversario leale. La capacità di meritarsi il rispetto degli avversari. E qui arriviamo al titolo Un poliziotto senza pistola, che evoca la consapevolezza di un uomo di legge capace di affrontare coloro che combatte con la forza della propria autorevolezza.
Vogliamo vedere un aspetto umano dietro alla crudeltà di un delinquente? Ma anche la crudeltà è umana, sono due facce della stessa medaglia.
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“Calabresi mi insegnò a dialogare”
Prefetto Serra, da cosa è partita l’idea di scrivere un libro?
Mi sono posto due obiettivi. Il primo quello di far conoscere alla gente che dietro il ruolo del poliziotto, c’è essenzialmente l’uomo; il secondo per dimostrare come il dialogo debba essere l’arma principale in ogni situazione.
Ci spiega il titolo del suo libro, Poliziotto senza pistola? Si riferisce all’importanza da parte del poliziotto di essere autorevole e per questo motivo maggiormente rispettato?
No. Come ho già detto il poliziotto senza pistola ovvero il poliziotto armato solo della forza del dialogo e non della prevaricazione e arroganza.
In Poliziotto senza pistola evidenzia un sentimento, la condivisione della sfera personale e lavorativa con il proprio collega. Era la situazione di emergenza riconducibile agli anni di piombo che consolidava questi rapporti?
Ho imparato a dialogare subito dopo essere arrivato a Milano nel 1969, quando ebbi la fortuna di incontrare Luigi Calabresi, Commissario di quattro anni più grande di me, anche lui romano, che, ben presto, presi ad esempio. Calabresi era uomo di grande intelligenza, religiosissimo e non ebbe mai modo di usare le armi se non la parola come convincimento e come comprensione delle ragioni dell’altro.
Lo vidi gettarsi nella mischia delle manifestazioni cruente di allora ed evitare cariche della Polizia ed affrontare i giovani per tranquillizzare e dare serenità a tutti.
Può avere dei risvolti negativi?
Assolutamente no, anzi la colleganza tra uomini che svolgono lo stesso compito è fondamentale e deve col passare del tempo rafforzarsi e diventare amicizia. Solo così nei momenti di difficoltà sai di avere le spalle al coperto.
L’impressione che ho avuto alla fine del suo libro è che lasciasse il lettore con la promessa di un seguito della storia. E’ vero? Se sì, ha gia iniziato a scriverlo?
E’ vero. Solo se il libro sarà piaciuto, come mi sembra di poter rilevare dal gran numero di copie acquistate finora, allora vorrei cimentarmi con gli anni 90 trascorsi nelle realtà più disparate italiane da Palermo ad Ancona, Firenze ed infine Roma.
Prefetto, sulla base della sua esperienza, vuole dirci, in sintesi, quali sono stati i cambiamenti positivi, ma anche quelli negativi, della figura del poliziotto in questi anni?
Le Forze dell’ordine sono notevolmente cresciute sotto l’aspetto professionale grazie alla ricerca costante di livelli elevati di istruzione. Il poliziotto si è elevato non solo sotto il profilo tecnico ma, anche, in modo notevole, culturale. Negli anni passati, c’era molta improvvisazione, ma anche una smisurata passione per questo lavoro, che non consentiva feste, né orari d’ufficio.
Certo che un tempo la Polizia non aveva il consenso della gente. Basti pensare che quando alla fine degli anni ’60 e i primi del decennio successivo, il movimento studentesco ogni settimana attaccava con bottiglie molotov, sassi e quant’altro, l’opinione pubblica difficilmente si schierava dalla parte delle Forze dell’ordine. Oggi la situazione è notevolmente mutata, se si pensa che in ogni sondaggio, la gente esprime maggiori consensi per il Capo dello Stato e subito dopo per le Forze di polizia.
Quest’anno, per la seconda edizione del premio Azzeccagarbugli lei è presidente della giuria. Che effetto le fa essere entrato a pieno titolo nel mondo della letteratura gialla?
Sono sorpreso, piacevolmente sorpreso; non credevo realmente che questo “Poliziotto senza pistola” potesse avere tanto credito anche nell’ambito letterario.
Ci sono degli ottimi scrittori-poliziotti: Maurizio Matrone, Piergiorgio Di Cara, Piernicola Silvis, Michele Giuttari. Ha letto o leggerà i loro libri?
Non ho avuto modo di leggere questi libri, ma avendo appreso della loro esistenza, la curiosità mi spingerà a farlo.
(Intervista a cura di Simona Mammano)
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