Sarà pubblicato in tutto il mondo (in Italia da Mondatori) il libro “Cien horas con Fidel”, una raccolta, di oltre 700 pagine, di conversazioni avute dal gennaio 2003 al dicembre 2005 con Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde diplomatique. Ne risulta una sorta di autobiografia, e considerazioni di varia natura che il “lider maximo” – il quale in agosto compie 80 anni – esprime su temi sociali e politici.
“Ci hanno accusato di trasferire tecnologia nucleare in Iran. Noi non ci siamo mai posti il problema di costruire armi nucleari perché non ne abbiamo bisogno. Anche se possedessimo la tecnologia, quanto costerebbe produrle? E a che scopo realizzare una bomba atomica quando il nemico ne possiede migliaia? Nessuno deve arrogarsi il diritto di fabbricare armi nucleari. E ancor meno il diritto che l’imperialismo si è attribuito di imporre la propria egemonia e di rapinare le risorse naturali e le materie prime dei Paesi del Terzo mondo”. “Oggi non c’è un vero capitalismo, non c’è concorrenza. Oggi domina il monopolio in tutti i grandi settori. C’è una certa concorrenza tra i Paesi per produrre televisori o computer. Ma il capitalismo non esiste. Persino le auto sono prodotte dalla Banca mondiale. Cinquecento multinazionali gestiscono l’80 per cento dell’economia mondiale. I prezzi non sono concorrenziali… E’ la pubblicità a decidere quello che si vende e quello che non si vende. E chi non dispone di ingenti capitali non è in grado di pubblicizzare i propri prodotti, anche se sono di eccellente qualità”. “La società dei consumiè una delle più nefaste invenzioni del capitalismo avanzato. E’ possibile immaginare 1,3 miliardi di cinesi con il tasso di motorizzazione degli Stati Uniti? O 1 miliardo di indiani che consumano come in America?... In cinque o sei decadi le società del consumo avranno esaurito le riserve accertate e potenziali di combustibili fossili”.
Per quanto riguarda il suo potere a Cuba, “se mi capitasse qualcosa all’improvviso, l’Assemblea nazionale e l’Ufficio politico si riunirebbero ed eleggerebbero al mio posto Raul. Ma ha solo quattro anni meno di me, appartiene alla prima generazione rivoluzionaria, destinata a scomparire”. Evidentemente il vecchio Fidel, che riesce ad esprimere, sia pur inframezzate con un frasario propagandistico, alcune idee ragionevoli, non è neppure sfiorato dal dubbio che magari i cubani, dopo quasi mezzo secolo,vorrebbero vedere alla testa del loro governo qualcuno con un cognome diverso.
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