Gli inglesi, si sa, nutrono per Venezia una sorta di passione romantica. E potrebbe stupire la proposta avanzata sul Times del 5 giugno scorso dall’editorialista Rachel Campbell-Johmston, che in sintesi dice: la Serenissima è condannata, basta con questo accanimento terapeutico, lasciamola morire in pace. “Meglio assistere alla sua splendida decadenza, fino alla dignitosa morte per vecchiaia – scrive la Campbell-Johnston – che trasformarla in una Disneyland, una Venezia fasulla e artificiale, a uso e consumo esclusivo dei turisti”.
A questa proposta, lucidamente provocatoria, fa eco un convegno dell’autorevole Royal Geographical Society sul tema “E’ stato speso abbastanza denaro per salvare Venezia?”. Nel 1966 una grande inondazione ricoprì piazza San Marco e buona parte della città. “L’evento – sottolinea l’editorialista del Times – serve a ricordarci che Venezia sta affondando. Continua a inabissarsi al ritmo di 10 centrimetri al secolo, da quando è stata costruita, e la situazione non sta certo migliorando. L’effetto serra fa aumentare più rapidamente il livello del mare. La laguna è infestata dall’inquinamento. E se nella prima decade del ventesimo secolo piazza San Marco veniva ricoperta dall’acqua meno di dieci volte all’anno, ora accade sessanta volte all’anno”. La barriera mobile anti-inondazione. Al costo di 4 miliardi e mezzo di euro, proteggerà la città per qualche decennio, ma non potrà risolvere il problema. “Se amate Venezia, lasciate che muoia”, titola il quotidiano inglese.
Del resto, pur senza auspicare una resa di fronte all’ineluttabilità del tempo che tutto distrugge, il sindaco Massimo Cacciari, a nome del consiglio comunale, ha chiesto al governo una revisione del progetto della barriera mobile, il Mose, avviato nel 2003. A questo proposito, aumentano i dubbi sulla sua reale efficacia, anche tenuto conto dell’esigenza di proteggere l’ecosistema della laguna. Naturalmente, data l’oggettiva difficoltà di trovare una soluzione ottimale, i pareri sono diversi, ma tutti sono d’accordo nello studiare meglio il doloroso problema. “Chiediamo al governo – dice Cacciari – un momento di riflessione e ripensamento per un’autentica verifica a 360 gradi e per l’avvio di una vera sperimentazione di opere alternative al Mose, procedendo soltanto con quelle opere che saranno comunque compatibili con qualunque decisione futura”.
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