Gli eschimesi inuit, che abitano l’Artico canadese, non sono ecologisti. Agli eschimesi inuit dell’estinzione dell’orso bianco polare (l’Ursus Marinus, che con un’altezza fino 2,5 metri e un peso di 6-8 quintali, è il carnivoro più grande della terra) non importa nulla: per loro questo animale è sempre stata una preda di caccia, e intendono che continui ad esserlo.
Premesso che il Canada è l’unico Paese nel quale la caccia all’orso bianco è consentita, a minacciare i “diritti” degli inuit non è il governo canadese, che anzi lo scorso anno ha aumentato le quote di caccia, ma quello statunitense, che potrebbe accettare la richiesta contenuta in una petizione del Natural Resources Defense Council e di Greenpeace: inserire l’orso bianco tra le specie protette. Questo vieterebbe ai cacciatori statunitensi di andare a caccia di questi giganti polari, e di tornare dal Canada con la testa dell’animale ucciso come ambito trofeo da appendere in soggiorno.
Già, perché gli eschimesi inuit si preoccupano essenzialmente del fatto che cessi l’arrivo di cacciatori americani, che costituiscono la grande maggioranza di questa macabra categoria di turisti: al prezzo pagato per le concessioni di caccia, si deve aggiungere il compenso di 8000 dollari che una guida inuit riceve per ogni battuta, e di 4500 per ognuno dei suoi assistenti. Per di più, il restringersi dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale costringe gli orsi ad avvicinarsi alle comunità inuit , rendendo così più facile la caccia. Braccato dagli uomini e dal clima l’Ursus Marinus rischia – i cui esemplari in tutto l’Artico sono circa 20.000 – rischia di avviarsi verso la scomparsa.
“La caccia all’orso bianco è uno stile di vita, e un modo per sopravvivere – ribattono i rappresentati degli eschimesi – Se non verranno più gli americani, cercheremo di attirare altri cacciatori stranieri”. Tradizioni e business, sulla pelle dell’orso.
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