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Luglio-Agosto/2006 - Articoli e Inchieste
Condotte antisociali
La genetica del crimine - Lombroso aveva ragione
di Marco Cannavicci - Psichiatra-Criminologo

Non bisogna dimenticare però che
esistono anche conoscenze su
condizionamenti in grado di ridurre
e annullare gli effetti della
predisposizione biologica


Lo sviluppo delle tecnologie che permettono di poter “vedere” il cervello in azione, come ad esempio la Risonanza Magnetica Nucleare e la Tomografia ad emissione di positroni (PET), è giunto a livelli tali da poter osservare anche le manifestazioni cerebrali del comportamento criminale e distinguere quali aree della corteccia sono implicate nella condotta deviante. Gli studi che ne sono derivati hanno riacceso l’interesse per un argomento, quello della genetica criminale, che si pensava fosse stato chiuso con l’archiviazione definitiva, circa 60 anni fa, degli studi di Cesare Lombroso. Ed invece la produzione di immagini del cervello del soggetto mentre ruba, imbroglia, racconta una menzogna ha permesso di identificare le aree cerebrali del crimine e collegare quindi il loro sviluppo con il bagaglio genetico di partenza. La domanda “criminali si nasce o si diventa?” diviene quindi pertinente con lo sviluppo e le evidenze di questi studi.
La ricerca genetica, stimolata dalle osservazioni effettuate con i nuovi strumenti neuroradiologici, ha puntato quindi l’attenzione su un disturbo di personalità che appare come una diretta emanazione di un temperamento criminale geneticamente determinato: il Disturbo Antisociale di Personalità. Cardini diagnostici di questo disturbo di personalità sono appunto il mentire, imbrogliare, truffare continuamente tutte le persone con cui si ha a che fare, violare continuamente la legge, senza provare il minimo senso di vergogna o di rimorso. Sono soggetti che da sempre sono studiati dagli psichiatri e dai criminologi, i quali hanno coniato per loro inizialmente il termine “psicopatico” e poi successivamente “sociopatico”. Si è ritenuto per molto tempo infatti che il disturbo della condotta fosse determinato da condizioni sociali (soggetto quindi “sociopatico”), tuttavia gli studi effettuati di recente sull’assetto genetico e cromosomico di questi soggetti hanno spostato l’attenzione dal sociale all’individuale, identificando le cause della condotta criminale nella struttura della personalità.
Lo sviluppo di condotte antisociali in questi soggetti è molto precoce, si manifesta già intorno ai 15 anni, per poi proseguire ininterrottamente fino ad oltre i 50 anni mettendo in atto continuamente irresponsabilità, irritabilità, aggressività, noncuranza e disprezzo per la verità. Secondo stime effettuate negli Usa, di questo disturbo ne soffrono l’1% delle donne ed il 4% degli uomini compresi tra i 30 ed i 50 anni di età.
Gli studi effettuati negli Usa sul Disturbo Antisociale di Personalità hanno dimostrato che questo disturbo è trasmissibile geneticamente. Per decenni sono stati seguiti bambini dati in adozione per verificare se lo sviluppo delle condotte antisociali dipendeva dal genitore biologico, quello adottivo o dall’ambiente. Le conclusioni dimostrano che la condotta antisociale, sia per i maschi che per le femmine, è correlata al genitore biologico, quindi trasmessa geneticamente, risultando indifferente sia al genitore adottivo che all’ambiente. A conferma di queste evidenze recentemente è stato pubblicato uno studio sui gemelli che permette di far risaltare l’aspetto genetico su quello ambientale. Negli Usa studi di questo tipo sono molto difficili da effettuare poiché la popolazione è geneticamente eterogenea ed è fortissimo quindi il rischio di scivolare a conclusioni su differenze razziali e questo per gli americani non è politicamente corretto. Tuttavia in Europa, nei paesi scandinavi in particolare, essendo geneticamente omogenea la popolazione studiata, il rischio di uno stigma razziale non c’è stato e quindi sono stati possibili molti studi su gemelli e su fratelli dati in adozione a famiglie diverse. Nei paesi scandinavi si è dimostrato, utilizzando delle scale di aggressività come indice dell’antisocialità e confermando i primi studi americani, come questa sia correlata al genitore biologico e non a quello adottivo. Le percentuali che derivano da questi studi dimostrano che la condotta antisociale è sovrapponibile al 40% con i genitori biologici ed al 24% con la condivisione dell’ambiente sociale. Buona parte di questi studi, tra l’altro, non sono stati effettuati negli ultimi anni, poiché nell’area scandinava l’influsso lombrosiano di cercare nel fisico e nei cromosomi la prova della predisposizione al crimine, dal 1860 ad oggi non si è mai interrotta. Uno degli studi più importanti e più convincenti condotto sui gemelli e relativo al comportamento criminale, includeva tutti i gemelli maschi nati nelle isole danesi tra il 1881 ed il 1910. Dall’analisi di oltre un migliaio di coppie di gemelli emerse in modo forte l’evidenza di una influenza genetica sulle condanne per crimini, con una concordanza globale al 51% per i gemelli identici (detti monozigoti) ed al 30% per i gemelli diversi (detti dizigoti). Altri studi successivi hanno confermato prevalenze intorno al 50% per i gemelli identici ed al 25% per i gemelli diversi. Tutti gli studi sono concordi nell’affermare che il condizionamento genetico determina lo sviluppo di condotte devianti ed antisociali già nella fase adolescenziale, contribuendo in modo sensibile alla criminalità minorile, proseguendo tali condotte anche nella vita adulta. Il condizionamento sociale ed ambientale, secondo gli stessi autori, è attivo già nella vita adolescenziale, tuttavia i suoi influssi nelle condotte adulte solo molto scarsi, per cui l’ambiente sociale risulta essere anch’esso determinante nelle condotte devianti minorili, ma non nelle devianze dell’adulto.
Un successivo studio, condotto in Danimarca tra il 1924 ed il 1947 su oltre 14mila adozioni, ha confermato anche per i bambini adottati quanto si era già visto sui gemelli: le condotte criminali degli adottati sono correlati ai genitori biologici in maniera prevalente rispetto ai genitori adottivi. Si conferma quindi la trasmissione genetica della predisposizione alle condotte antisociali, osservando che i figli di genitori non criminali mantengono una condotta lontana dal crimine anche in presenza di genitori adottivi criminali. La percentuale più elevata del comportamento criminale veniva manifestata da soggetti che avevano sia genitori adottivi che biologici condannati per aver commesso dei crimini, con condotte criminali che emergevano prevalentemente nell’adolescenza. Superata l’adolescenza, il rischio della condotta criminale diminuiva sensibilmente.
Uno studio simile, condotto successivamente in Svezia, ha evidenziato l’ulteriore correlazione tra genitori biologici criminali ed alcolisti con figli criminali ed alcolisti, anche se adottati da altre famiglie. C’è da dire che la mediazione con il crimine è determinata dall’alcolismo, in quanto l’abuso di alcool è correlato con la commissione di crimini violenti. Chiunque abusi di alcool è in qualche modo predisposto al commettere crimini violenti.
Recentemente sono stati condotti negli Usa degli studi che hanno cercato una correlazione tra sensibilità neurologica alla dopamina, un neurotrasmettitore eccitante del cervello, e le condotte criminali. La dopamina è una sostanza attivante, eccitante, stimolante che viene prodotta dal cervello dietro stimolazioni di piacere, sia di tipo sessuale che attraverso le sostanze stupefacenti, come i cannabinoidi, la cocaina e le anfetamine. La mancanza di adeguati livelli di dopamina nel cervello determinano la ricerca continua del piacere attraverso le novità, le condotte eccitanti e relativamente a rischio (come la guida spericolata, i film paurosi o i giochi di eccitazione e paura del luna park). Ci sono persone che non producono, in modo geneticamente determinato, adeguati livelli di dopamina nel cervello e questo li espone a condotte impulsive, esplorative, volubili, eccitabili, impazienti e stravaganti. Condotte in qualche modo correlabili con le condotte aggressive, devianti e violente.
Questi studi concludono che la vulnerabilità genetica a questa mancanza di dopamina, ed ai successivi correlati comportamentali, risiede in una anomalia genetica del Dna sul cromosoma n. 11. Sono stati quindi selezionati dei soggetti con questa anomalia cromosomica ed è stato visto che hanno una tendenza più alta della media, spesso di tipo patologico, a ricercare novità e stimoli eccitanti. Sembra anche che sia correlata a questa situazione genetica la dipendenza patologica dalle sostanze stupefacenti, già a basse dosi.
Già in passato degli studi condotti in Svezia avevano dimostrato il collegamento tra cromosomi soprannumerari e condotte criminali. In alcuni individui maschi si è visto che i cromosomi non sono 46 (44 + XY), come di norma, bensì 47 (cioè maschi con un cromosoma Y in più, 44 + XYY). Il cromosoma Y in più determina una condotta iperattiva che sfocia in disturbi comportamentali e sociali.
In ogni caso, dopo svariati anni in cui è prevalsa la tendenza ad evitare studi di questo tipo, anche negli Usa stanno aumentando le ricerche sulle correlazioni tra assetto genetico e personalità, assetto genetico e condotte antisociali e criminali. I risultati che si stanno avendo dimostrano che l’assetto genetico è in grado di determinare la qualità e la quantità della produzione di neurotrasmettitori cerebrali, in grado quest’ultimi di determinare condotte e comportamenti, fra cui anche quelle devianti e criminali.
Alcuni centri di ricerca sono in grado di predire, valutando l’assetto genetico della persona, il grado di tolleranza allo stress, la soglia della depressione, la soglia dell’ansia patologica, la soglia di tolleranza all’esposizione al trauma psichico. Non solo, questi studi sono in grado di predire anche il grado di tollerabilità e di efficacia delle terapie con farmaci antidepressivi ed ansiolitici, anticipando e differenziando coloro che risponderanno positivamente alla terapia da coloro che non risponderanno alla terapia o ne avranno solo effetti collaterali da intolleranza.
Insomma le conoscenze su queste correlazioni tra genetica e comportamento stanno aumentando progressivamente e vertiginosamente. Non altrettanto stanno aumentando le cornici normative e giuridiche entro cui si inseriranno questi dati e queste conoscenze. E’ ipotizzabile come gli avvocati difensori cavalcheranno queste evidenze per sottrarre gli imputati che loro difendono dalle responsabilità giuridiche, così come è ipotizzabile far ricadere condotte devianti sotto il profilo di uno stato di malattia, geneticamente determinato. Il magistrato quindi si troverà di fronte a situazioni nuove in cui potrebbe essere chiamato ad ordinare non una condanna in carcere, bensì l’obbligo di una terapia che prevenga ulteriori condotte criminali.
Altre ricadute giuridiche potrebbero esserci sulla predittività dei comportamenti devianti, non ancora manifestati, e sulle indagini genetiche in corso di assunzione presso ditte private ed enti pubblici. C’è infatti il problema della prevenzione per i soggetti a rischio genetico, ma che ancora non hanno commesso il crimine. Che fare in questi casi? Lombroso a suo tempo si espresse per un internamento preventivo a vita che salvaguardava la società dai rischi del “criminale nato”, parere che fu accolto dal legislatore di quel tempo e dal 1908 in poi si sono internati a vita in manicomio criminale soggetti che avevano solo la predisposizione “fisica” al crimine, senza ancora averlo commesso.
C’è poi il problema delle assunzioni e degli arruolamenti nelle Forze di polizia e nelle Forze armate: con l’indagine genetica è possibile stimare il rischio della vulnerabilità allo stress, alla depressione, al suicidio, alla condotta deviante. In tutti questi casi è possibile definire come inidoneo al servizio un soggetto solo sulla base di una predisposizione genetica. C’è il rischio quindi di sovrastimare queste risultanze biologiche dimenticando che la predisposizione genetica chiede comunque un completamento ambientale per potersi esprimere e che esistono anche conoscenze su condizionamenti in grado di ridurre ed annullare gli effetti della predisposizione genetica. Tutto questo chiede ulteriori studi, comunque in atto sia negli Usa che in Europa, e cornici giuridiche più evolute ed aggiornate, a tutt’oggi neanche ipotizzate dal legislatore italiano più illuminato.
(cannavicci@iol.it)



FOTO: Cesare Lombroso

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