In uno sceneggiato televisivo, la ricostruzione
dei delitti D’Antona e Biagi: con poco
spazio alla riflessione sull’assurdo
sacrificio di questi servitori dello Stato
Lo sceneggiato televisivo “Attacco allo Stato” recentemente trasmesso su Canale 5 si muove tra luci e ombre diversamente apprezzabili dagli spettatori a seconda di informazioni possedute e sensibilità. Ad esso va riconosciuto in ogni caso il merito di avere portato nelle case di molti italiani, stimolandoli a un minimo di conoscenza e riflessione, gli omicidi di Massimo D’Antona e di Marco Biagi commessi da terroristi sedicenti eredi delle Brigate Rosse. Peccato che ciò sia avvenuto nel gorgo mediatico che ormai tutto corrompe e inghiotte.
Si pensi alle prime scene: Massimo D’Antona è stato appena spietatamente ucciso quando un’improvvisa interruzione mostra una bella ragazza che lecca ammiccante un gelato. Che soddisfazione del pubblicitario per la reclame del suo prodotto: ice-cream al brivido direbbe il linguaggio subliminale! Così per tutto il film: ogni dieci minuti, tre o quattro spot di pubblicità. Sono le regole del mercato, si dirà, specie per una tv commerciale. Ma passiamo brevemente ai contenuti. Il film scorre fluido, buona la recitazione dei personaggi, ritmo incalzante, persino con finale all’arrivano i nostri... Il commissario della Digos, Raul Bova, è bello, bravo e testardo, lavora tanto, pensa persino “in apnea”. Si batte contro terroristi fanatici avulsi da qualsiasi struttura o complicità superiori, con una squadretta di pochi poliziotti, frenato da ostacoli burocratici e da un questore manovrato da invisibili Capi. Lo spettatore è più o meno avvinto. Ma quanta approssimazione attorno a quei morti veri! Quanti hanno potuto leggere dentro le righe, oltre le scene? Si sorvola sul fallimento istituzionale che ha consentito l’omicidio dei due bravi giuristi al servizio dello Stato, lasciati soli, abbandonati a un destino segnato. Dopo gli insanguinati “anni di piombo”, dopo le centinaia di magistrati, carabinieri, funzionari di polizia, giornalisti, cittadini ammazzati in mirati attentati e nelle tante stragi irrisolte che hanno messo a rischio mortale la stessa democrazia del Paese, chiunque avrebbe immaginato di trovare uno Stato preparato, con maggiore sensibilità e responsabilità politica, strutturato con organismi di sicurezza dalla lungimirante capacità di analisi, in moderna sinergia tra le Forze di polizia, tra queste e la magistratura. Invece nessuna riflessione in tal senso, nessun interrogativo, tutto si dà per scontato, quasi fosse naturale che gli anni di sangue, morte, terrore non siano serviti a niente. Forse si teme di disturbare in alto. D’altro canto non è grazie all’aiuto di autorevoli uffici pubblici che si è potuta girare la fiction e poi distribuirla in prima serata? Che importa? In fondo la trama avvince, l’audience ci sarà, sotto sotto qualcosa si dice o lascia intuire.
In questo approssimativo scenario cade la prima vittima, in via Salaria a Roma il 20 maggio 1999: Massimo D’Antona il consulente del ministro Bassolino che sta lavorando su controverse tematiche del lavoro, in una fase di accesi conflitti sociali persino tra i sindacati che peraltro hanno già subìto attentati. Nel film la polizia ignora persino chi sia. Le indagini annaspano, il giovane commissario indaga, s’incazza. Per fortuna nel suo ufficio giunge una brava poliziotta informatica che sa risalire le tracce delle schede telefoniche. Poi è un susseguirsi di ostacoli burocratici, indiscrezioni, col questore pressato dall’alto che spinge a concludere, a produrre qualche “notizia” che accontenti i capi, il ministro, i giornali…
E arriva il secondo omicidio, il 12 marzo 2002 in via Valdonica a Bologna: Marco Biagi, assistente del ministro Maroni, giurista del lavoro, costretto da tempo a vivere nel terrore, lui, la moglie, la famiglia. Sono passati più di due anni, nel film sembra ieri. E’ la fotocopia del primo dramma, ma questa volta in alto tutti sanno. Lo sceneggiato scivola veloce, solo un cenno alla scorta tolta. Mostra appena che la moglie di Biagi dignitosamente rifiuta la visita del prefetto e dei grigi commis di Stato. Nessun accenno ai grandi perché: come é stato possibile togliere la protezione a un uomo in grave pericolo che pieno di sgomento aveva implorato gli riattivassero il sistema di protezione? Nulla aveva insegnato l’uccisione due anni prima di Massimo D’Antona e i successivi proclami dei terroristi? Nessun cenno a responsabilità politiche e istituzionali! L’allora ministro del lavoro non era forse intervenuto coi vertici del Viminale? Marco Biagi era un “rompiballe”...
Il film si sviluppa con gli arresti scaturiti dopo l’uccisione a Castiglion Fiorentino il 2 marzo 2003 di Emanuele Petri, il sovrintendente di polizia dalla grande professionalità e dal gran cuore. Controllando con scrupolo sul treno Roma-Firenze due persone sospette, ha trovato nel piombo delle loro armi il suo destino di morte. Quel giorno si era fatto cambiare il turno di servizio per poter poi aiutare un portatore di handicap. Il suo sacrificio permette, oltre all’arresto di un terrorista e al ferimento mortale dell’altro, di acquisire elementi essenziali all’indagine per il commissario e la sua squadra. Su quest’aspetto il film coglie nel segno: la polizia si basa su rari funzionari testardi, talora scomodi, e soprattutto sui tanti anonimi operatori, agenti, appuntati, sottufficiali che lavorano giorno e notte, per senso di servizio e per passione. La loro abnegazione, il loro sacrificio segna, talora purtroppo, anche il successo dei capi, dei ministri!
Lo sceneggiato ora si avvia alla fine. Il ritmo accelera, la suspense aumenta, potrebbe esserci una terza vittima, ma questa volta arrivano i nostri. Il commissario e la sua squadra arrestano gli ultimi terroristi pronti ad uccidere. La notizia riempie i giornali. Il questore, il capo della polizia, il ministro sono soddisfatti. Il commissario si allontana amaro e rassegnato: ha appena ricevuto l’ordine per un servizio d’ordine pubblico allo stadio. Deve interrompere le indagini. Che importa se alcuni terroristi sono fuggiti! Lo scopo ufficiale è raggiunto, lo Stato sembra avere vinto. Sul teleschermo appaiono i titoli di coda, i ringraziamenti. L’ennesima pubblicità incombe. I capi sono rimasti nell’ombra... Chissà che non li insegua la voce della terrorista che dalle sbarre conferma: “Marco Biagi non sarebbe stato ucciso se avesse avuto la scorta”. Spietata condanna morale. Ma chi risarcirà mai l’amore di un marito, di un padre perduto per sempre? Il film é finito: alla prossima fiction.
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