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Maggio-Giugno/2006 - Laboratorio
La democrazia è sicurezza
di Massimiliano Valdannini

Perché democrazia rimanga sinonimo di sicurezza e sicurezza un equivalente di democrazia e perché eventi come Napoli, Genova, Val di Susa e da ultimo Ferrara non cadano nell’oblio, reputo necessario che per tentare di comprendere come mai possa essere accaduto tutto ciò, si debba conoscere parte del passato per poter affrontare il futuro e recuperare.
Aprirò leggendo una dichiarazione di voto fatta in Parlamento il 4/3/1981 dal senatore Spadaccia: “Infine il problema grave è quello del coordinamento. Poco fa il senatore Pecchioli ha detto che eravamo stati chiamati ad approvare un decreto legge stralcio di questa riforma. [...]
Io ho l’impressione che non sia stato attuato non per cattiva volontà del Ministro: ho l’impressione che non dovremmo affidare alla buona o alla cattiva volontà del Ministro la soluzione dei problemi del coordinamento. Dovevamo affidarci alla legge, ma comunque dobbiamo affidarci soprattutto ad una volontà complessiva di risolvere questi problemi.
Ho l’impressione che qui abbiamo a che fare con resistenze che si sono espresse anche in quest’aula quando il relatore Murmura ha parlato di incomprensioni addirittura a proposito dell’unificazione delle sale operative. Non pretendo di essere un tecnico in materia mi limitavo semplicemente a ragionare a lume di buon senso nel proporre quell’emendamento.
Non ritengo possibile in sostanza, che in una grande città esistano sale operative non unificate, parallele e incomunicabili tra loro e non comprendo, se non appunto riferendomi a resistenze che esistono e che dobbiamo superare nell’interesse di tutti, il senso della norma che avete approvato, cioè quella che autorizza il Ministro a studiare forme di collegamento tra sale operative, e soltanto in determinati casi a proporne l’unificazione. Ma in questi casi il parallelismo, la concorrenzialità, le separatezze, la duplicazione significano spreco, non l’emulazione dei Corpi in un quadro comune e rischiano di significare spreco di risorse che pagheremo gravemente in termini e in costi. Questo problema del coordinamento ci ha anche impedito di affrontare contestualmente, in una logica magari diversa da quella che proponevano, i problemi dell’Arma dei Carabinieri e i problemi della Polizia...”
In quella dichiarazione di voto si intravedono quelle che furono le problematiche irrisolte di allora e che affliggono, a tutt’oggi, le due maggiori strutture di Polizia a carattere nazionale.
A distanza di anni possiamo tranquillamente asserire che non solo non si sono mai affrontati seriamente i problemi dell’Arma dei Carabinieri, ma quei riflettori che erano stati accesi sulla Polizia si sono quasi nuovamente rispenti.
Dopo le dichiarazioni di voto di allora, da parte di tutti i parlamentari, il successivo 1° aprile 1981, entrò in vigore la legge che riformava il Corpo delle Guardie di Ps.
Il primo aprile, per quelli della mia generazione, ricorda l’arruolamento periodico che avveniva nel disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e quindi, oltre a rammentare la gioventù, tale data rappresenta anche un giorno epocale allorquando il 1° aprile del 1981 si raggiunse il traguardo della completa democratizzazione della Polizia, restituendo alla collettività un’Istituzione più vicina alle istanze dei cittadini.
Da quel mio 1° aprile sono trascorsi oltre trent’anni mentre dal secondo si è girata la boa dei vent’anni, e quindi credo sia d’obbligo fornire un tracciato di quanto è stato fatto dall’allora “Movimento unitario dei poliziotti democratici” all’attuale pletora di sigle sindacali esistenti.
Dal Movimento nacque spontaneamente il Siulp (ad ispirazione confederale Cgil, Cisl e Uil) al quale fu immediatamente contrapposta un’altra sigla sindacale, e da queste due, nel tempo, ne sorsero altre a dismisura, nella logica del “divide et impera”.
Nascite dovute alle motivazioni, le più disparate. La nascita di tutti questi sindacati sta a significare che non tutto ha funzionato per il giusto verso.
Queste divisioni e diaspore a chi sono servite? Che interesse avevano coloro che le hanno condotte in porto? E’ stato fatto solo per opinioni divergenti all’interno delle varie sigle nate di volta in volta, oppure c’è stato sempre qualcuno o qualcosa dietro ad ogni defezione?
Una su tutte, però, merita più attenzione, ed è quella che portò alla spaccatura del Siulp, con l’uscita delle due sigle confederali legate al mondo della sinistra, e quindi degna di un maggiore interesse da parte della politica stessa.
Quello di spaccare l’unico sindacato unitario, dal dopoguerra ad oggi, ad ispirazione confederale non ha avuto le stesse origini che hanno prodotto la miriade di sindacati all’interno della Polizia, ma vi fu una operazione di élite che vide scendere in campo il gota della più grande organizzazione confederale italiana con l’impegno attivo di uomini e di risorse economiche. [...]
Come vediamo, 20 anni sembrano trascorsi inutilmente in quanto ci troviamo sempre a combattere contro i muri di gomma, i burattinai e i “grandi vecchi”! La natura del sospetto è insita in me, avendo già vissuto la stagione dell’ostracismo da parte dei poteri forti sull’allora nascente legge di Riforma della Polizia. La legge 121/81, tra tutte le leggi varate dal Parlamento, fu definita epocale sia per i contenuti sia per le innovazioni che avrebbe dovuto apportare per una maggiore sicurezza della collettività e di coordinamento tra le Forze dell’ordine.
Ancor prima di essere approvata, dietro le quinte c’era già chi remava contro, preferendo una Polizia militarizzata alla pari dei Carabinieri perché, ieri come oggi, c’è più di qualcuno, ed anche in alcuni settori della sinistra, che ha la convinzione che l’essere militare sia sinonimo di fedeltà e di cieca ubbidienza.
In questi venti anni i tentativi di smantellare l’impianto della legge 121/81 si sono susseguiti e, guarda caso, dove la destra ha sempre fallito c’è riuscito un governo di centro sinistra (con il solo voto contrario di Rifondazione Comunista) approvando la legge 78/2000, affossando di fatto l’impianto originale della legge 121/81 che prevedeva un coordinamento reale nella nazione dalle tante Polizie.
La legge di Riforma della Polizia si incuneò verso il traguardo finale in un esatto periodo storico, che vide il calar della cosiddetta fase del ‘tintinnar di sciabole” e la nascita contestuale del piano di rinascita nazionale che aveva già posto gli uomini giusti nei gangli vitali della cosiddetta prima Repubblica.
Mentre nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza si lottava per organizzare il “Movimento democratico dei poliziotti” tendente a democratizzare e smilitarizzare la Polizia, parallelamente, nel 1966, due uomini come Freda e Ventura inviavano lettere anonime a 2000 militari, senza che i vertici militari né quelli politici obiettassero, annunciando la creazione di una struttura clandestina denominata “nuclei difesa dello Stato” costituita “in seno alle Forze armate” e da “militari di grande prestigio e autentica fedeltà” con il compito “di stroncare l’infezione prima che essa divenga mortale” partecipando a “una lotta vittoriosa contro la sovversione”, cioè contro il pericolo comunista.
La storia è fatta di corsi e ricorsi storici ed accadimenti simili ne sono state riempite le cronache come nell’ultimo caso di “Polizia parallela” e sul quale non ha potuto far meno di parlarne l’ex senatore del Pci Pecchioli esperto di servizi deviati, trame atlantiche e massoni nonché uno dei padri della 121/81 che ha avuto modo di sottolineare “nella Polizia la democratizzazione è stata un percorso lungo e difficile, tornandogli alla mente la battaglia dei poliziotti democratici del ’75-’76, quando la Scuola di Polizia dei sottufficiali di Nettuno era comandata da un uomo che denunciava al Tribunale militare gli agenti riuniti con i parlamentari in assemblea per discutere il progetto di riforme” (Liberazione, 3 luglio 2005).
Basti fare una semplice riflessione su quelle che erano le progettualità del “Piano di rinascita Propaganda2” di Licio Gelli, che possiamo dire esser state portate quasi tutti a compimento eccezion fatta per la magistratura e la sicurezza, chiusi i quali il progetto potrà dirsi completato.
Di questi attacchi interni ed esterni all’impianto della legge 121/81 potremmo riempirne pagine e pagine.
Ecco forse alcune delle risposte all’ostracismo per il varo della legge di Riforma della Pubblica Sicurezza, sia per la sua applicazione nonché la continua diffidenza verso una Polizia civile ed anche la spiegazione per cui molti poliziotti della prima ora vennero definiti “inaffidabili” e “sovversivi” dall’allora gerarchia militare e oserei dire sino ad oggi benché le stellette siano scomparse dai nostri baveri da diversi lustri.
Una sorta di nostalgia per il passato passa sotto i nostri occhi vedendo funzionari di una Polizia civile indossare la stella a cinque punte (segno inequivocabile di militarità), indossare la sciarpa Albertina, la riscoperta degli alamari da bavero indossati dai delegati di Polizia durante il ventennio, il reingresso in pompa magna dei cappellani (ma solo quelli di religione cattolica), insomma un inseguimento sempre più disperato ed affannoso di una Polizia civile verso un modello di tipo militare. [...]
E’ per questo che la politica deve riappropriarsi del controllo diretto degli apparati di sicurezza e di intelligence, prevedendo tra i tanti obiettivi, nel prossimo governo dell’Unione, quello di ricreare la Commissione Interni nei due rami del Parlamento, la divisione del Comparto Sicurezza da quello della Difesa, scegliendo quale modello di sicurezza si vorrà adottare in ambito nazionale se di tipo civile o di tipo militare, riaprendo immediatamente le procedure concorsuali dirette per l’accesso nelle Forze dell’ordine, rivedendo i modelli di insegnamento da adottare all’interno delle varie Scuole di Polizia prediligendo docenti esterni con l’abolizione degli stereotipi autoreferenziali attuali, non escludendo una sana riflessione sull’apertura al pieno godimento di tutti i diritti civili, politici e sindacali dei lavoratori in uniforme alla pari di tutti gli altri cittadini italiani, non escludendo aprioristicamente forme regolamentate di sciopero.
L’esercizio di questo strumento fondamentale, e sancito dalla nostra Costituzione, non deve essere considerato come blasfemo o indice di anarchia, ma basterebbe orsservare chi questo diritto già lo ha (leggasi Vigili del Fuoco e medici) che pur essendo categorie di primaria importanza e necessità, nei momenti in cui hanno indetto degli scioperi non hanno fatto mai venire meno la loro presenza e professionalità.
E allora perché no la Polizia?
Torno sul fatto della necessità dei concorsi perché l’attuale target culturale della Polizia si è notevolmente abbassato, poiché gli standard di arruolamento nelle Forze armate prevedono dei parametri differenti da quelli che erano previsti per l’accesso diretto in Polizia che prevedevano la formulazione di oltre 1.400 test, prove attitudinali e psicologiche e che aveva portato ad avere nel 70% dei casi degli operatori di base con un diploma di scuola media superiore ed il restante 30% di una o più lauree, con un innegabile innalzamento del livello culturale.
Allo stato attuale la Polizia si trova ad avere al suo interno uomini (e non più donne) selezionati tra altri enti, su screening non adatti ad una futura attività di polizia, preparati e forgiati a modelli operativi militari di occupazione, addestrati con sistemi operativi conflittuali e/o di attacco, poi tutto ad un tratto vengono immessi nelle Forze dell’ordine con un approccio diretto in un contesto civile e sociale, dove la conflittualità sarebbe la componente da non mettere mai in pratica, dove non ci sono scenari di guerra, dove non c‘è nessun nemico da annientare, esseri umani da “annichilire”, o città da conquistare.
In pratica si vuole ritornare ai modelli di arruolamento post bellico e di scelbiana memoria dove serviva soltanto la monavalanza per l’ordine pubblico, uomini che obbedivano senza discutere, e dove la professionalità, la cultura, la preparazione e i diritti erano soltanto mere chimere e pie illusioni. Si potrebbe continuare a lungo su questa analisi ma alla fine non vorrei che da ciò si traesse una chiave di lettura tutta negativa di ciò che è stata la legge 121/81 e trarne consequenzialmente un necrologio.
Ad oltre 20 anni bisognerebbe ripartire da quelle che furono le dichiarazioni di voto di quel marzo del 1981 e quindi di non lasciare più alla buona volontà del Ministro di turno o sperare sulla vigilanza democratica da parte delle organizzazioni sindacali, ma di applicare puntualmente la legge varata in ambito parlamentare il cui impianto rimane a tutt’oggi ancora più che valido.
L’unica modifica che dovrebbe essere apportata alla legge 121/81 sarebbe quella relativa alla revisione della parte dedicata alla disciplina che fu ideata in forma veramente repressiva e che sino ad oggi nonostante le buone dichiarazioni di intenti non è stata mai fatta oggetto di modifica.
Oggi la riforma è saldamente nelle mani dell’Amministrazione e il sindacato oscilla tra l’accomodamento e la puntata di piedi talvolta velleitaria.
Fino ad oggi la filosofia della Riforma imposta dall’Amministrazione non ha incontrato seri ostacoli sprecando in larga parte e dissipando le energie del Movimento.
Questa crisi sta conducendo alla frantumazione dei soggetti sociali, alla atomizzazione delle spinte, allo stallo politico, che potrebbe essere la premessa del caos e della svolta autoritaria (Genova, Napoli docet).
I pericoli sono anche in mezzo a noi, li conosciamo e nel tempo hanno assunto mille forme e mille aspetti, perciò via con i penultimatum e avanti con i fatti concreti, solo così potremo riaprire una nuova stagione di democraticità all’interno degli apparati di sicurezza.
Ogni stagione produce i suoi frutti, e per certi aspetti la legge 121/81 non è null’altro che un frutto di una determinata stagione che allo stato attuale sta attraversando il suo periodo autunnale con la perdita di foglie qua e là e si sta, forse, avvicinando anche al periodo invernale, ma non sarà oggi, e forse neanche domani, ma prima o poi arriverà la primavera.
La natura con tutte le sue manifestazioni è ciclica e chi ha gioito durante i periodi autunnali ed invernali sappia che prima o poi una nuova primavera esploderà con tutta la sua magnificenza di colori, di germogli, di profumi con il risveglio di tutto il creato.
E’ solo una questione di tempro ma una nuova primaverà arriverà.

(Intervento al Seminario di studio sul tema “Democrazia è sicurezza”)

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