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Maggio-Giugno/2006 - Interviste
Pedopornografia
“Fantasie dell’inconscio anche nei normali”
di a cura di Simona Mammano

Fulvio Frati, Psicologo, Psicoterapeuta e Criminologo Clinico, opera da diversi anni nei Servizi Sanitari pubblici e privati dell’Emilia-Romagna, dapprima nei settori delle dipendenze patologiche e del disagio giovanile ed adolescenziale, ed ora anche degli inserimenti lavorativi, della salute mentale, della riabilitazione e della tutela dei Minori.
Dal 04.06.1999 al 28.01.2006 è stato Presidente del Consiglio Regionale dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna e Componente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi italiani.
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Dottor Frati, ho appena finito di leggere il libro di Piernicola Silvis, primo dirigente della Polizia di Stato, pubblicato da Fazi e uscito il 19 maggio. Il romanzo è un noir che ha per protagonista un uomo di successo che, improvvisamente, si rende conto di essere attratto da scene di violenza su bambini, violenze che portano alla morte della vittima. Inizialmente avevo intenzione di commentare il libro e fare un'intervista all'autore. Leggendolo, e sapendo che molti particolari descritti sono frutto di un'indagine reale, ho invece sentito la necessità di fare un'analisi più complessa di questo mondo sotterraneo, e di intervistare uno studioso che come Lei si occupa da tempo di questi argomenti.
Dottor Frati, cosa pensa Lei in generale dell’attuale fenomeno della pedofilia nel nostro Paese?

Si tratta sicuramente di un fenomeno molto complesso, a cui per fortuna si sta ormai rivolgendo anche nel nostro Paese almeno una parte dell’attenzione che esso effettivamente merita. Tuttavia questo è un argomento che richiede di essere ancora molto approfondito, un po’ perché l’opinione pubblica in generale evidenzia di possedere spesso al riguardo molti pregiudizi e poche vere informazioni sufficientemente fondate e consolidate sul piano scientifico, ed un po’ perché anche gli stessi "addetti ai lavori" nei vari ambiti, ed a mio avviso soprattutto in ambito politico e giornalistico-radiotelevisivo più che in quelli, ad esempio, sanitario o giuridico, spesso ragionano molto "in bianco e nero", come si suol dire, correndo di conseguenza il rischio di assumere posizioni troppo "sbilanciate" in un senso o nell’altro e, quindi, scarsamente utili all’espressione ed alla diffusione di informazioni e valutazioni chiare e costruttive su questo complessissimo problema. Ad ogni modo, nell’ambito scientifico si intende oggi per "Pedofilia" la tendenza, presente in alcune persone, a svolgere attività sessuale con soggetti minorenni ed in particolare al di sotto dei 13-14 anni: come afferma al riguardo il D.S.M.-IV-TR, vale a dire la più recente versione del "Manuale Statistico e Diagnostico" messo a punto da un’imponente gruppo di studiosi appartenenti all’Associazione degli Psichiatri Americani e di fatto diffuso ed accettato in tutto il mondo, "la focalizzazione parafilica della Pedofilia comporta attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli)". Inoltre il soggetto con Pedofilia, perché di Pedofilia vera e propria si possa effettivamente parlare, deve avere almeno 16 o più anni, e deve essere di almeno 5 anni maggiore del bambino. Peraltro, per i soggetti tardo-adolescenti con Pedofilia non viene specificata una precisa differenza di età, e si deve ricorrere alla valutazione clinica; è perciò necessario tenere conto al riguardo sia della maturità sessuale del bambino che della differenza di età.

Chi sono, in genere, le "vittime" dei pedofili, e che tipo di comportamenti maggiormente mostrano i pedofili verso di loro?

I soggetti con Pedofilia di solito mostrano attrazione per i bambini di un particolare sesso e di una particolare fascia di età. Alcuni soggetti preferiscono i maschi, altri le femmine, e alcuni sono eccitati sia dai maschi che dalle femmine. Quelli attratti dalle femmine di solito preferiscono quelle tra 8 e 10 anni, mentre quelli attratti dai maschi di solito preferiscono bambini un po’ più grandi. La Pedofilia che coinvolge vittime di sesso femminile si riscontra più spesso di quella che coinvolge vittime di sesso maschile. Alcuni soggetti con Pedofilia sono attratti sessualmente solo da bambini (e si parla allora di "Pedofilia di Tipo Esclusivo"), mentre altri sono talvolta attratti da adulti (e si parla allora, in quest’ultimo caso, di "Pedofilia di Tipo Non Esclusivo"). Per quanto riguarda invece i comportamenti che maggiormente i soggetti che sfogano i propri impulsi con bambini evidenziano, essi possono limitarsi a spogliare il bambino e a guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in presenza del bambino, a toccarlo con delicatezza e a carezzarlo. Altri, comunque, sottopongono il bambino a fellatio o cunnilingus, o penetrano la vagina, la bocca o l’ano del bambino con le dita, con corpi estranei, o col pene, e usano vari gradi di violenza per fare ciò. Queste attività, ed è questo a mio avviso uno degli aspetti più distorti e pericolosi della personalità dei pedofili, sono di solito giustificate o razionalizzate sostenendo che esse hanno valore educativo per il bambino, che il bambino ne ricava piacere sessuale, o che il bambino era sessualmente provocante - argomenti comuni anche nella pornografia pedofilica. In altri termini, molti soggetti con fantasie, impulsi o comportamenti pedofilici non provano significativo disagio. È perciò importante sottolineare al riguardo che il disagio che a volte si riscontra in una parte di queste persone non è minimamente necessario per formulare una diagnosi di Pedofilia. I soggetti che hanno una modalità di eccitamento pedofilico ed agiscono sulla base di queste fantasie o di questi impulsi con un bambino giustificano, di per sé, la diagnosi di Pedofilia sia che essi mostrino sia che essi non mostrino un significativo disagio per queste proprie caratteristiche e per questi loro comportamenti.

E’ più frequente, di solito, la pedofilia intrafamiliare o quella verso minori non legati al pedofilo da vincoli stretti di parentela?

A mio avviso è un po’ più diffusa la pedofilia intrafamiliare, anche perché più "nascosta" e quindi più difficile da smascherare. Per quella che è la mia esperienza la tipologia più diffusa è quella del "patrigno", o comunque del "maschio adulto convivente non padre naturale della vittima", che abusa dei figli avuti dalla propria attuale convivente nei suoi precedenti matrimoni o dalle sue precedenti relazioni. Da non trascurare è a mio avviso anche l’incidenza del padre naturale che abusa della figlia femmina o delle figlie femmine, e in casi non rarissimi anche del figlio o dei figli maschi: più rara, a mio avviso, è la figura della madre come madre abusante o incestuosa, anche se alcuni casi di questo tipo ho avuto modo di riscontrarli. Non infrequenti, anzi al contrario estremamente presenti e pericolosi, sono le figure abusanti legati da vincoli di parentela meno stretti: zii, cugini, cognati ecc. Comunque non vi sono, al riguardo, regole precise: i soggetti pedofili possono infatti limitare le loro attività ai propri figli, a figliastri, o a parenti oppure possono scegliere come vittime bambini al di fuori della propria famiglia. Molto spesso i soggetti con Pedofilia minacciano o comunque cercano di condizionare pesantemente la loro vittima per evitare che parli. Altri, specialmente coloro che mettono in atto i comportamenti pedofili con grande frequenza, sviluppano complicate tecniche per avere accesso ai bambini, che possono includere il guadagnare la fiducia della madre del bambino, lo sposare una donna con un bambino attraente, lo scambiarsi bambini con altri soggetti con Pedofilia, o, in casi rari, adottare bambini di Paesi sottosviluppati o rapire bambini ad estranei. Va comunque sottolineato al riguardo che, tranne nei casi in cui il disturbo è associato a vere e proprie forme di sadismo sessuale, il soggetto pedofilo può essere attento ai bisogni del bambino per ottenere l’affetto, l’interesse, e la fedeltà del bambino stesso, e per evitare che questi riveli l’attività sessuale.

Quando inizia in genere a decorrere il comportamento pedofilico, e che decorso esso presenta di solito?

Il disturbo inizia di solito nell’adolescenza, sebbene alcuni soggetti con Pedofilia riferiscano di non essere stati eccitati da bambini fino alla mezza età. La frequenza del comportamento pedofilico varia spesso a seconda dello stress psicosociale. Il decorso è di solito cronico, specie in coloro che sono attratti dai maschi. Il tasso di recidive dei soggetti con Pedofilia con preferenza per i maschi è all’incirca doppio rispetto a coloro che preferiscono le femmine, e in ogni caso è sempre, a mio avviso, troppo alto anche perché, anche quando il pedofilo viene scoperto e soprattutto nel nostro Paese, scattano con una significativa e certamente mai eccessiva frequenza le misure punitive ma, purtroppo, non con altrettanto sufficiente frequenza quelle terapeutiche e riabilitative.

Vorrei continuare ora l'intervista "a tutto tondo", esaminando le varie angolazioni da cui si può analizzare questo fenomeno. Casualmente, il giorno in cui ho iniziato a leggere il libro, la stampa ha dato la notizia degli arresti fatti dalla squadra mobile di Roma, ma il modo in cui i giornali (li ho letti tutti) hanno affrontato l'argomento non mi ha soddisfatto. Alcuni hanno messo l'articolo in mezzo alla cronaca, parlandone in maniera piuttosto asettica. Come mai, secondo Lei, è avvenuto questo?

Proprio per quanto ho cercato di sottolineare all'inizio di questa intervista, e cioè che anche gli stessi "addetti ai lavori" in ambito giornalistico e radiotelevisivo spesso ragionano molto "in bianco e nero", correndo di conseguenza il rischio di assumere posizioni troppo "sbilanciate" in un senso o nell’altro e, quindi, scarsamente utili all’espressione ed alla diffusione di informazioni e valutazioni chiare e costruttive su questo complessissimo problema. E' proprio per questo che, a mio avviso, di questi argomenti si deve scrivere e parlare ancora molto, proprio per far capire alla gente che "il mostro" non è da un'altra parte, ma spesso è molto, molto vicino a noi ed alla nostra normale quotidianità e che, soprattutto, il pedofilo è all'apparenza una persona come tutti gli altri, che riesce a fare quello che vuole proprio perchè non lo si distingue e riconosce abbastanza. Come si suol dire, quando vuole entrare nell'ovile e "mangiare gli agnelli" il lupo non se lo scrive proprio in fronte che è un lupo, ma anzi si traveste egli stesso da agnello e, il più delle volte, riesce anche a travestirsi molto bene e purtroppo, nel caso del pedofilo, anche a passare troppo a lungo del tutto inosservato.

Vorrei chiederle ora qualche ulteriore considerazione sulla personalità dei pedofili. Possono considerarsi patologici, con una infermità mentale, o è solo un'etica distorta che li porta a non sentirsi colpevoli o ad autoassolversi? Poi, come ha fatto giustamente presente lei, perchè se ne parla così poco? E' una rimozione sociale? E' più comodo pensare che il problema non esista o che le vittime e i carnefici siano solo il risultato del degrado?

Innanzitutto vorrei dire, al riguardo, che personalmente condivido molto quello che scrive Guglielmo Gulotta sul suo testo "Elementi di Psicologia Giuridica e di Diritto Psicologico" (Milano, Giuffrè, 2000) in cui questo autore fa un’affermazione molto forte, ma a mio avviso molto vera: "avere fantasie sessuali pedofile o provare attrazione per i bambini non significa necessariamente che azioni pedofile verranno messe in atto, ed anzi, è ormai provato che fantasie pedofile ed eccitazione per materiale pedofilo sono presenti anche in parte della popolazione "normale" e cioè che impulsi di tipo pedofilico esistono e sono stati registrati in tutte le persone, anche nei cosiddetti "normali", quantomeno nell’inconscio". L’inconscio è infatti un’entità in cui la morale non esiste, ed impulsi di questo tipo hanno delle basi biologiche in qualche modo presenti, anche se ovviamente in misura diversa, anche tra la popolazione cosiddetta "normale". C’è però una differenza fondamentale da chiarire: un conto sono infatti gli "impulsi inconsci" (dei quali non si può ovviamente fare colpa a nessuno), ed un altro conto sono le "azioni", che sono il risultato di una mediazione tra queste spinte e la personalità del singolo che le compie. Ciò che varia da persona a persona è l’intensità di questi impulsi, in primo luogo, e in secondo luogo la forza dell’Io che in qualche modo deve governare queste forze rapportandole ad un esame di realtà, e quindi rendendole compatibili con la realtà stessa. E’ chiaro che nel pedofilo ci sono in generale impulsi molto forti e un’inadeguatezza di base nel loro controllo.
A maggior ragione questa inadeguatezza diventa spiegabile, dal punto di vista della sua dinamica, quando non si parla di abuso sessuale o di pedofilia ma si parla di maltrattamenti, laddove l’atto educativo esagerato, condannabile, ma a volte fatto con intenzioni educative, travalica il limite dell’accettabile e diventa maltrattamento. Qualcosa di dinamicamente analogo avviene anche, per esempio, nella giustificazione (sempre inaccettabile) del pedofilo in cui ricorre l’argomentazione "io non pensavo di fare nessun male al bambino…con me si è dimostrato sempre molto affettuoso ed anzi in fondo è affetto quello che io ho cercato di dare a questo bambino…", negando così l’atto sessuale in sé, ma magari ammettendo tutta una serie di altri tipi di approccio anche fisico (se non sessuale) come abbracci, carezze, baci, rimandandola all’affettività, e quindi ad aspetti positivi.
A volte un atteggiamento analogo si ritrova anche nel maltrattante, per cui viene portata una giustificazione positiva, magari di tipo educativo, per atti che sono comunque inaccettabili.
Occorre poi tener presente che, in qualche modo, va valutato il ruolo che, nel compimento del reato, ha avuto la vittima, senza tuttavia entrare mai in logiche sbagliate come sono quelle finalizzate a giustificare il colpevole del maltrattamento (che non va mai giustificato). Tuttavia risulta diverso se si parla di un bambino i cui comportamenti appartengono alla sfera della normalità o se si ci si trova a che fare con ragazzi davvero trasgressivi, incontenibili, a volte anche provocatori (senza che questo possa diventare in alcun modo una giustificazione della violenza che è poi l’adulto ad attuare verso di loro). L’oltrepassare certi limiti non è ovviamente mai giustificato, ma l’eventuale atteggiamento più o meno compiacente della vittima deve essere valutato e tenuto presente, senza che questo possa in alcun modo attenuare il totale giudizio di condanna verso il pedofilo, per spiegare correttamente la dinamica di quanto è successo ed entrare realmente in una logica di "prevenzione secondaria" efficace.

Frati, considerando la sua conoscenza e preparazione sull’argomento "pedofilia" e la sua esperienza pilota compiuta nelle carceri su detenuti abusanti, vorrei proseguire questa intervista rivolgendole la seguente domanda: come viene vissuta, all’interno delle carceri italiane, la condizione di questo particolare tipo di detenuti?

Il principio che vale per tutti è il comma 2 dell’art. 27 della Costituzione, che afferma che i rei hanno diritto ad un trattamento penitenziario che cerchi in qualunque modo di reinserirli nella società, nel tentativo di evitare che tornino a commettere i reati per cui sono stati chiamati a rispondere.
E’ un principio costituzionale giusto, condivisibilissimo, ma di difficile attuazione in pratica, soprattutto quando si tratta di reati gravi o di reati che hanno alcune caratteristiche particolari, quali, ad esempio, sono quelli che hanno come vittime i bambini.
I bambini infatti sono tra le vittime che maggiormente inducono solidarietà e reazione ostile nei confronti del colpevole. E ciò emerge in modo evidente quando si tratta poi di reati a sfondo sessuale, i cui autori spesso hanno una coazione a ripetere molto forte.
Quanto questo principio costituzionale, giusto, sia di difficile attuazione, è emerso anche poche settimane fa, quando è uscito sulla stampa nazionale un articolo dove si registrava un fatto di cronaca in cui, in un carcere del nostro Paese, un detenuto, avendo appreso che il suo compagno di cella era un pedofilo, ha preso la caffettiera e l’ha ucciso colpendolo alla testa.
Ciò perchè non tollerava di essere in cella con un pedofilo.
Questo fatto offre uno spunto anche per sottolineare che esiste un cosiddetto "codice d’onore", mai scritto nero su bianco ma che di fatto c’è, fra i detenuti, per cui il pedofilo è un soggetto da punire. Un soggetto che non ha diritti e al quale non può essere neppure consentito l’accesso al circuito carcerario neppure in un’ottica di riabilitazione.
A volte nemmeno le istituzioni sono al sicuro dai pregiudizi: spesso esiste altresì un reazione non meditata anche da parte delle strutture, in cui vengono trattati male e disprezzati. Ma a questa reazione emotiva, comprensibile dal punto di vista umano, a volte corrisponde una reazione violenta che, se agita, non può in alcun modo essere giustificata.
In alcune carceri hanno cercato di affrontare il problema istituendo delle sezioni speciali per detenuti particolari che non possono stare con gli altri carcerati perchè correrebbero reali pericoli, e vengono inviati per questo motivo in sezioni protette. Si tratta di detenuti che per ragioni particolari non possono stare con gli altri, come i cosiddetti "pentiti", i transessuali ed appunto i pedofili. Ma purtroppo non tutte le carceri sono attrezzate con sezioni speciali.

Generalmente è la violenza fisica che viene considerata dai "non addetti ai lavori" come "vera violenza", in quanto si attua l’annullamento dell’altro sul piano fisico e quindi anche psicologico. Ed è opinione ricorrente che, nelle forme più gravi, questo tipo di violenza possa essere agita solo da persone non equilibrate, da "anormali", malati o delinquenti. Ma questa attribuzione della violenza alla sfera della diversità potrebbe essere letta come la spia della difficoltà ad accettare la propria parte violenta, rendendola pensabile solo se agita da altri attraverso un meccanismo di tipo proiettivo?

Si, condivido molto questa lettura. Purtroppo l’argomento è complesso, ed è molto difficile dare delle risposte sul piano generale, che invece andrebbero valutate di volta in volta. Certamente è più facile per chi si vuole sentire a tutti i costi "normale" pensare che certe azioni siano imputabili solo a soggetti malati o anormali e che quindi in realtà non lo riguardino. L’esperienza ci dice che in realtà non è così: leggiamo nella cronaca di tutti i giorni azioni, anche estreme, messe in atto da cittadini che fino a quel momento erano considerati perfettamente normali. Il confine fra normalità e anormalità è un confine di fatto più teorico che reale, nel senso che all’interno di ciascuna persona ci sono dei confini fra i comportamenti accettabili e i comportamenti inaccettabili dal punto di vista del giudizio sociale, ma questi confini riguardano zone che sono tra loro, a volte, intersecate e non ben definite.
C’è tutta un’area "grigia" intorno ai comportamenti socialmente condivisi, senza dimenticare che molto dipende anche dalle sollecitazioni esterne. Credo quindi che sia sbagliato ritenere che certi comportamenti di violenza e di maltrattamento nei confronti di minori vengano messi in atto solo da persone malate in senso psicopatologico, perchè in realtà spesso pressioni esterne, anche familiari, potrebbero esporre chiunque a comportamenti di questo tipo. Ciò però non deve in alcun modo rendere giustificabili tali atteggiamenti. Piuttosto bisogna cercare, in un’ottica di prevenzione prima, e di comprensione poi, di rendersi consapevoli che siamo tutti a rischio, e credo che ognuno di noi debba considerarsi come un potenziale autore di azioni violente.
La psicoanalisi stessa non ha trattato solo di sviluppo sessuale, ma ha parlato anche dell’istinto di morte. L’aggressività e la violenza (che sono scritte nel Dna di ciascuno di noi e che poi, come per tutte le cose, sono la risultante dell’azione congiunta di elementi congeniti, innati e di fattori ambientali), determinano quello che poi si esprimerà dal punto di vista dei comportamenti e dal punto di vista della visibilità reale dei fenomeni.
Il fenotipo è sempre il risultato dell’azione combinata e congiunta e dell’interazione tra genotipo, fattori ambientali ed esperienziali. L’esperienza di ciascuno di noi è in grado di incidere sul nostro comportamento e quindi anche gli elementi esterni non vanno sottovalutati: nessuno è immune da potenziali eccessi, che però, se non vengono tenuti adeguatamente presenti, possono arrivare in maniera imprevista con conseguenze anche fortemente negative e pesanti.

Un' ultima domanda, per concludere. L’intervento della legge contro la pedofilia agita, l’intervento della magistratura e delle Forze dell’ordine per intenderci, può presentare anche aspetti dannosi nei confronti dei bambini?

La legge italiana prevede sia l’incidente probatorio che le audizioni protette come strumenti operativi in grado di evitare danni al bambino nelle fasi inquirenti successive al primo intervento. Rispetto al cosiddetto "primo intervento esistono importanti strumenti legislativi, in particolar modo l’art. 403 del Codice Civile che concede anche alla pubblica sicurezza la possibilità di intervenire direttamente. Controverso è invece sul piano scientifico se sia l’atteggiamento giusto quello di intervenire sempre con le Forze dell’ordine, anche nei casi di un minimo sospetto, o se non occorra invece di norma acquisire elementi più precisi prima di intervenire in modo così drastico.
Personalmente credo che non esista una risposta precisa, non c’è una regola prefissata, ma occorre sempre valutare caso per caso. Ci sono casi dove un intervento della pubblica sicurezza può essere controproducente anche per lo stesso bambino, e casi in cui è assolutamente dovuto e necessario. Ma occorre capire prima a monte se questo intervento è necessario o meno, e qui l’atteggiamento degli operatori deve essere basato su tre linee direttrici che cercherò quindi ora di dettagliare. Una prima linea è quella di avere sempre una preparazione specifica, in modo tale che gli operatori non vengano mai mandati allo sbaraglio: questi sono settori complessi dove "la nebbia è più di casa del sereno", e quindi occorre avere una competenza specifica oltre che una competenza professionale generica. Non per questo si deve aver paura ad entrare nella nebbia, ma sempre con comportamenti prudenti, cercando di capire e vedere senza premura. E’ poi inevitabile, come seconda necessità, lavorare sempre in un’équipe multidisciplinare integrata: non ci deve mai essere un solo operatore, ma più operatori con diverse professionalità (psicologo, educatore, assistente sociale, neuropsichiatria infantile…) e soprattutto figure integrate fra loro, in cui ci sia una forte comunicazione, con relativa valutazione in équipe delle singole situazioni.
Il terzo elemento a cui mi riferisco si potrebbe definire come la "taratura del termometro", nel senso che l’operatore deve abituarsi a tararsi per essere lui stesso un affidabile termometro della situazione. Questo lo si ottiene cercando di acquisire col tempo, e lavorando su se stessi, un atteggiamento profondamente "laico", aperto alla curiosità di capire, ed utilizzando sempre gli strumenti cognitivi, ma affiancati anche da strumenti emotivi. La propria sensibilità, la propria storia e la propria esperienza sono uno strumento in più per cercare di sbagliare un po’ meno… Non va dimenticato, né è di poca importanza, che in questi casi sono molto frequenti sia i falsi positivi sia i falsi negativi, per cui un atteggiamento troppo sbilanciato da un lato o dall’altro sarebbe sicuramente deleterio. Non si devono mai trarre conclusioni affrettate, sia nel caso di colpevolezza reale sia nell’atteggiamento di negazione del fatto, anche perché è sempre meglio ricordare che non è compito dell’operatore emettere verdetti, cosa che invece spetta casomai solo al giudice.
Un esempio di quanto possa essere devastante il comportamento imprudente degli operatori che si occupano di abuso nei casi di falso positivo, è stato riportato anche nella cronaca giornalistica di qualche tempo fa. Un padre siciliano, la cui figlia piccolissima aveva sofferto di perdite di sangue vaginali, fu indagato pesantemente ed infine arrestato per molestie sessuali, e solo successivamente si scoprì che la bambina aveva invece un tumore. Sono casi, e questo ne è un esempio, che fanno riflettere su quanto ci sia in gioco, e che non sono solo i minori ad avere dei diritti, ma anche gli adulti. A ciò in questo caso specifico è da sommare la tragedia che accompagnò l’incarcerazione e la scoperta di un male incurabile che poi, tra l’altro, portò la bambina alla morte.
I falsi positivi e negativi sono due estremi che proprio per la loro frequenza giustificano il fatto che chi si occupa di queste vicende deve fare esami il più possibile approfonditi, investigando la realtà a 360 gradi, e che solo alla fine di un’indagine così ben fatta si può avere la possibilità di fare delle ipotesi sufficientemente esteriorizzabili, nelle sedi opportune, avendo la coscienza di aver fatto il possibile, che comunque non sempre coincide col giusto. E’ infatti questo un terreno paludoso, in cui il confine fra lecito e illecito è molto labile per cui è sempre opportuno e doveroso raccogliere un grandissimo numero di elementi prima di ritenere di essere giunti a qualunque tipo di conclusione.

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