Diego Buso, Dirigente del Compartimento di Polizia Postale e delle Telecomunicazioni del Lazio, ha seguito importanti indagini di pedopornografia su Internet, fenomeno in continua espansione, che ha bisogno di operatori specializzati. Cerchiamo di capire come e quando la polizia postale interviene.
Dottor Buso, da quanti anni si occupa di pedopornografia?
Mi occupo della materia dal 2000 dopo essere entrato nella Specialità della Polizia di Stato cui viene attribuita per legge la competenza esclusiva a porre in essere attività di contrasto ai reati di sfruttamento, favoreggiamento e induzione alla prostituzione minorile, alla produzione, commercio e diffusione della pornografia minorile e di propaganda del turismo sessuale nei confronti di minori, allorché tali condotte vengano poste in essere utilizzando lo strumento telematico e la rete Internet in particolare. Nel gennaio 2000 ho infatti assunto la direzione della Sezione Operativa del Compartimento di Polizia Postale e delle Comunicazioni per il Veneto, Servizio specializzato di Polizia giudiziaria a livello interprovinciale. Nel maggio 2003 ho assunto la direzione del Compartimento di Polizia postale e delle Comunicazioni per la Toscana e lo scorso mese di dicembre del Compartimento per il Lazio.
Nel corso di questo lustro ho avuto il privilegio di condurre svariate indagini nel settore che hanno investito parecchi servizi della rete Internet, arrestando decine di persone e denunciandone numerose centinaia sia nel territorio nazionale sia favorendo tali attività nel territorio di Paesi esteri
Come inizia l’attività di indagine?
L’attività di indagine nel settore della pedopornografia può iniziare a seguito di segnalazione o denuncia da parte di cittadini e/o enti che rappresentano reali o potenziali situazioni di disagio in cui versano minori ovvero realtà virtuali in cui è possibile reperire materiale pornografico prodotto impiegando minori degli anni diciotto.
Talora la notizia criminis è frutto diretto dell’attività costante di monitoraggio della Rete che viene assicurata da personale qualificato delle Squadre Informatiche dei Compartimenti, attraverso la quale lo stesso può venire in contatto:
- con siti web dal contenuto illecito, spesso fruibili previo pagamento;
- con comunità ad accesso riservato (concesso in realtà ai soli membri autorizzati dal loro amministratore );
- con chat-line che offrono canali o stanze nelle quali i frequentatori coltivano un morboso interesse per la scabrosa materia arrivando a scambiarsi foto e filmati illeciti ovvero informazioni su giovani potenziali vittime di adescamento;
- con materiale illecito esplicito costituito da foto e filmati di pornografia minorile diffusi attraverso i programmi di file-sharing ( condivisione di file ) potenzialmente a tutte le persone connesse alla Rete che utilizzino lo stesso applicativo.
La fase successiva è quella della rappresentazione di quanto acquisito alla Autorità Giudiziaria cui spetta in concreto la valutazione sulle successive modalità di conduzione delle investigazioni che possono svilupparsi secondo attività di polizia giudiziaria di tipo tradizionale o, dove ritenuto necessario, attraverso il ricorso alle invasive tecniche di contrasto delineate dalla vigente normativa, introdotte nel mese di agosto del 1998 e ulteriormente potenziate lo scorso mese di febbraio 2006.
I poliziotti che entrano a far parte di una squadra che si occupa di questi reati vengono preparati con corsi appositi e c’è una selezione iniziale?
Gli operatori di Polizia giudiziaria che vengono impiegati nelle attività di contrasto alla Pedopornografia on line sono caratterizzati dall’avere conoscenze elevate nel campo dell’informatica spesso selezionati direttamente dai corsi di istruzione fra coloro che sono in possesso di diplomi o lauree di tipo specialistico o che, prescindendo dal possesso di un titolo, possano comunque vantare conclamate capacità tecniche.
L’impiego diretto nelle attività di contrasto viene favorito con gradualità dai Funzionari e dai quadri delle strutture investigative compartimentali, alla luce della inclinazione del personale ad operare in un particolare settore di Internet o del grado di maturità dimostrato nella gestione di situazioni critiche sotto il profilo tecnico o nelle quali lo stress di natura psicologica legato alla frequentazione di certi ambienti virtuali o al bombardamento di pornografia sia stato intenso.
Nel corso delle indagini gli operatori di Polizia vengono a contatto con realtà particolarmente cruente, vedere scene di violenza su bambini, anche molto piccoli, traumatizzano. Si possono avvalere di un supporto psicologico?
Da tempo esiste presso il Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma la figura dello psicologo alla quale viene riservato il compito di seguire tutti gli operatori che nello svolgimento del loro lavoro giornaliero a contatto con materiale tanto scabroso quanto disturbante possano avere manifestato direttamente e chiaramente o con segnali indiretti una situazione di sofferenza.
Particolarmente delicata è la situazione di coloro che vengono impiegati nelle attività di analisi dei supporti informatici sequestrati a soggetti indagati per delitti legati alla pornografia minorile. Costoro sono infatti esposti al bombardamento di decine o centinaia di migliaia di file pornografici di svariata natura, magari concentrati all’interno di un solo disco rigido. In taluni casi, dopo qualche tempo è stato lo stesso operatore a chiedere di poter svolgere altri tipi di investigazione digitale per non venire più a contatto con il predetto materiale.
La sua esperienza l’ha portata a fare una sorta di scheda della persona che vede, scarica o scambia filmati di pedopornografia?
La mia esperienza professionale mi porta anzitutto ad escludere che i tipi di delitto elencati nella domanda, cioè quelli relativi alla diffusione e alla fruizione della pornografia minorile, vengano commessi da soggetti di sesso femminile. In due sole occasioni infatti, in circa un migliaio di casi trattati, l’interesse si è orientato nei confronti di donne. Nel primo caso era stata l’indagata ad essersi spontaneamente assunta, nel corso delle indagini preliminari, in sede di interrogatorio, la responsabilità di comportamenti illeciti contestati al marito. Al termine dell’investigazione la donna è stata denunciata per autocalunnia finalizzata a salvare il proprio compagno da una condanna che avrebbe potuto avere effetti nefasti nell’ambiente di lavoro: tale ipotesi investigativa è stata già fatta propria dal giudice collegiale in primo grado.
Nel secondo caso la personale convinzione che i fatti contestati ad un soggetto indagato potessero essere in realtà essere stati commessi dalla convivente non ha potuto trovare adeguati riscontri investigativi. Per quanto concerne l’età degli indagati non possono essere fatte significative distinzioni, anche se la stessa pare diminuire a seconda del livello di difficoltà che deve essere superato per utilizzare un particolare servizio della Rete. Per quanto concerne la professione esercitata dagli indagati, non esistono categorie che non siano state interessate: vi sono infatti studenti, insegnanti, persone impegnate nel volontariato, liberi professionisti, operai, commercianti, appartenenti alle Forze dell’ordine, militari etc.
Una ultima osservazione, basata esclusivamente sulla mia esperienza personale di indagini dirette a contrastare il fenomeno sotto il profilo della domanda, mi porta a rilevare che in una percentuale significativa coloro che si sono dimostrati particolarmente attivi nella raccolta e nella collezione di file illeciti erano a contatto per ragioni di lavoro o per interesse legato a volontariato con minori e che in un certo numero di casi gli stessi avevano già avuto precedenti segnalazioni per presunti abusi o sono stati indagati per lo stesso motivo alla luce di quanto rinvenuto nelle perquisizioni o a seguito dell’analisi dei supporti sequestrati.
Quando vengono arrestati, come reagiscono? (si sentono in colpa, negano ecc.). Ha avuto maniera di vedere anche le reazioni dei loro famigliari?
Nelle persone toccate da tali investigazioni probabilmente la reazione più diffusa è quella di giustificare il proprio comportamento affermando che lo scopo ultimo della raccolta di tale materiale era quello di investigare un fenomeno e fare denuncia successivamente alle Forze di polizia. In qualche caso qualcuno ha fatto anche delle denunce preventive o si è inserito in associazioni di volontariato per creare un alibi al proprio comportamento.
Vi è stato invero anche qualcuno che dopo un primo momento di choc ha ringraziato gli operatori per essere finalmente arrivati, dando così la possibilità di cercare un momento di recupero da impulsi che negli anni, seguendo una sorta di escalation comportamentale, erano divenuti difficilmente controllabili.
Per quanto concerne l’atteggiamento delle famiglie va rilevato che, quasi sempre, nel momento dell’intervento coattivo di arresto o nella esecuzione di una perquisizione delegata esso si presenta come di negazione assoluta di quanto contestato, talora con comportamenti molto più ostili nei confronti degli operanti di quelli posti in essere dai diretti interessati.
Quando nel corso dell’attività escono delle evidenze e dei riscontri nei confronti dei destinatari del provvedimento, l’atteggiamento cambia passando ad un improvviso e irreale silenzio o a visibile fastidio nei confronti del familiare.
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