Piernicola Silvis, direttore
della Scuola di Polizia
di Senigallia, descrive attraverso una storia
inventata, il complesso e oscuro fenomeno
della violenza sui bambini. “I mostri sono
tra noi e non sono così strani”
Poliziotto e scrittore. C’è chi si chiede “ancora”? Quello del poliziotto, così vale per il magistrato, è un lavoro che tende ad assorbire una quantità enorme di energia fisica, per la quantità di ore che necessariamente bisogna dedicarvi, ma anche psicologica. E’ un mestiere che, se fatto con coscienza, difficilmente ti abbandona una volta tornato a casa. La tendenza può diventare quindi quella di vivere in ragione di questo lavoro e non sentirsi più parte integrante della società; i turni, il fatto di lavorare quando gli altri sono a casa e viceversa, conoscere la verità di un mondo sotterraneo, nascosto ai più, può farti sentire diverso. Né migliore, né peggiore, solo diverso.
Ben vengano, quindi, i poliziotti che sentono la necessità di coltivare altri interessi come leggere, scrivere, confrontarsi con gli altri, in sostanza.
Questo è il caso di Piernicola Silvis, primo dirigente della Polizia di Stato, da gennaio direttore della Scuola di Polizia di Senigallia. Il 19 maggio è uscito il suo primo libro, Un assassino qualunque (Fazi Editore, pp. 350 – euro 14.50) un noir, un romanzo forte, non tanto per le immagini che descrive, ma per quelle che lascia intuire.
Un giornalista affermato accetta di pagare 6.000 dollari per assistere alla tortura e al conseguente omicidio di un bambino. L’uomo scarica la sua coscienza dicendo a se stesso che l’ha fatto solo per dovere di cronaca. Però ha provato piacere sessuale. Il periodo successivo a questa esperienza diventa per lui un alternarsi tra senso di colpa e giustificazioni. Il senso di colpa viene sedato, così il giornalista vive due realtà, quella pubblica, sempre più colma di soddisfazioni e quella privata che lo trasforma in uno spietato e sempre più disincantato omicida.
La scrittura scorrevole e la costruzione sapiente dell’intreccio narrativo, porta il lettore a cercare le pagine successive per il bisogno di scoprirne i punti di svolta. Non è solo curiosità, è necessità di conoscere, di sviscerare, attraverso le pagine di un romanzo, una realtà che spesso teniamo nascosta a noi stessi.
Con la lettura di questo romanzo si sente il bisogno di saperne di più sulla pedopornografia, di fare il grande sforzo di aprire gli occhi e conoscere questa realtà.
Piernicola Silvis nato a Foggia è primo dirigente della Polizia di Stato. In passato è stato capo della squadra mobile di Vicenza e capo di gabinetto della questura di Ancona. Un assassino qualunque è il suo primo romanzo.
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Quando hai iniziato a scrivere questo romanzo?
Ho iniziato qualche anno fa, nel 2000. L’ho interrotto per tre anni perché mi era sembrata una fatica improba e, soprattutto, destinata al fallimento. Ero sicuro che, con tutti gli aspiranti scrittori che ci sono, non sarebbe mai stato pubblicato. Invece eccomi qua. Devo tutto a una collega esperta di letteratura noir con la quale ho fatto il corso dirigenziale nel 2002, che volle leggere la parte che avevo già scritto e che per fortuna non avevo buttato via. Le piacque e mi stimolò a terminarlo.
Perché hai voluto raccontare proprio questa storia?
La risposta è complessa. In primo luogo per dare sfogo a un desiderio creativo e, fra virgolette, artistico che ho nel Dna. Però volevo anche scrivere una cosa non banale, che facesse riflettere, che fosse utile. Amo molto i bambini, e, nonostante tutto ciò che avevo visto nella mia professione, restai sconvolto da alcune notizie di violenza nei confronti dei minori pubblicate dalla stampa nell’autunno del 2000. Sentii di dover fare qualcosa e così ho scritto questo libro, unendo l’utile della denuncia sociale al dilettevole dello scrivere un romanzo. Naturalmente buona parte della storia è pura finzione. Mi sono sforzato di dare alla trama un po’ di ritmo e soprattutto ho cercato di evitare gli insopportabili luoghi comuni della letteratura di genere. E non ho cercato il bello stile, la frase compita. La mia scrittura è al servizio solo della storia, che come dice Massimiliano Governi, il mio editor, deve essere come ‘una spada’, un paragone davvero efficace. Non voglio che il lettore percepisca che dietro la storia ci sia uno che l’ha scritta, chi mi legge deve vedere un film, insomma, e non deve essere distratto da altro.
Poliziotto e scrittore. E’ difficile conciliare le due attività?
Sì, molto. Scrivere un romanzo con un plot intricato è una fatica enorme, una tesi di laurea è, in confronto, una passeggiata. Aggiungiamoci anche la famiglia e, come dice Gianrico Carofiglio, non restano altro che gli interstizi, gli spazi morti, cioè le mezz’ore in cui sei solo, le notti.
Il nostro è un ambiente di lavoro dove la fantasia e la creatività non è propriamente stimolata, per usare un eufemismo, qual è la tua esperienza?
Come in tutti gli ambienti di lavoro, anche nel nostro ci sono luci e ombre, ma questo non mi preoccupa. Il tema del romanzo è un tema forte, particolare, e se da un lato è, in fondo, una denuncia di certe situazioni estreme, dall’altro è anche un avviso al cittadino: “Attento, i mostri – che poi, come vedi, non sono così ‘strani’ – sono fra noi.” Quindi ritengo sia un tema socialmente utile, in qualche modo vicino al mio lavoro. Forse non vedrò troppe ‘luci’, ma ombre no, non credo ci saranno. Comunque vedremo andando avanti, seguirò il corso delle cose e mi regolerò di conseguenza. Ma questa è la sensazione che ho oggi. Adoro fare il poliziotto, l’ho scelto pur avendo un papà avvocato. E per di più questa professione, come accade anche al magistrato o all’avvocato, mi consente di poter descrivere le vere dinamiche investigative, ed è un grande vantaggio, uno strumento su cui pochi scrittori possono contare.
Hai una storia che sta premendo per essere scritta?
Brutto argomento: nella mia testa frullano sempre storie nuove, basta niente per mettermi a rimuginare su un’idea o su un input qualunque. Però c’è una storia che voglio scrivere a tutti i costi, diversa da ‘Un assassino qualunque’, anche se non meno complessa. Si svolge nel nostro Paese e ripercorre alcuni avvenimenti che hanno segnato la nostra vita degli ultimi decenni. Scritta a modo mio, se così posso dire, cioè a tinte forti e con ritmo serrato.
C’è qualcosa che ti inorgoglisce nella pubblicazione del libro?
Tutti quelli che lo hanno letto mi hanno raccontato di avere, a un certo punto, alzato gli occhi per cercare il proprio bambino, dicendogli ‘Ehi, sta’ qua, non ti allontanare’. Ecco, era proprio il mio scopo: sensibilizzare i lettori. E poi due cose più banali: l’editing non ha nemmeno sfiorato l’impianto della trama, che è rimasto inalterato. Non è stato invasivo, insomma, come spesso invece accade, e questo significa che la storia funzionava. La ha solo ‘asciugata’, grazie a un eccezionale lavoro di bisturi, di ottanta pagine. E poi il titolo: alla fine di centomila vagli editoriali ha retto il mio titolo originale. Una cosa non da poco.
Quali sono state fino ad ora le tue letture? Vuoi consigliare un libro che hai amato particolarmente e perché?
Ho letto un po’ di tutto. Adoro Mann, gli inglesi, De Maupassant. Saggi storici, politici. Amo moltissimo la letteratura di intrigo, le storie con intreccio fantapolitico, le spy story. Amo Greene, le Carré, Forsyth, Connelly, Follett, che scrive in modo eccellente ma che ultimamente è diventato troppo banale, e meno King, che non mi ispira troppo, anche se devo riconoscerne la genialità. Fra gli italiani metto per primo Giorgio Scerbanenco, di cui sono stato un cultore in gioventù. Poi c’è oggi una bella generazione di noiristi e giallisti. Ma è difficile fare dei nomi, soprattutto per chi come me sta debuttando ora in questo mondo. Libri da consigliare? Sì, certo. Per restare nel settore thriller, ‘La spia che venne dal freddo’, di le Carrè. Poi ‘Venere privata’ di Scerbanenco. E ‘Dossier Odessa’ e ‘Il giorno dello Sciacallo’, di Frederick Forsyth. E il giallo dei gialli, ‘Dieci piccoli indiani’, di Agata Christie. Chi non lo ha letto non sa cosa significa non poter staccare gli occhi da un romanzo.
Un’ultima cosa da dire ai lettori?
Sì. Evitiamo la violenza. Fra noi, verso i bambini, verso chi ha meno di noi. Per favore. Partire dalla fantasia di uno scrittore per arrivare a un tentativo di analisi di un mondo nascosto, ma purtroppo reale.
Si sa che la pedopornografia è uno dei reati in maggiore crescita, che richiede uno spazio sempre più frequente sulle pagine della cronaca.
Vediamo di conoscerlo meglio con l’aiuto di esperti che se ne occupano e lo combattono da tempo.
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