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Maggio-Giugno/2006 - Interviste
Afghanistan/Iraq
"Quelle morti si potevano evitare"
di a cura di Ettore Gerardi

Il Comandante Falco Accame in questa
intervista analizza gli episodi sanguinosi
in Iraq e Afghanistan che hanno provocato
vittime fra i nostri soldati del contingente
di pace e sottolinea la mancata attuazione
di opportune cautele tattiche

Ancora sangue a Nassiriya e in Afghanistan per la morte di sei nostri militari. Quale il suo pensiero su questi episodi?

Queste dolorose vicende hanno tra loro un punto in comune: con una maggiore attenzione al problema della protezione del personale si sarebbero potute evitare.
L’autobomba di due anni orsono è potuta esplodere all’interno della “caserma” perché non erano state predisposte difese esterne. Bastava sistemare 5 pilastri di cemento fuori della caserma per evitare che l’autobomba potesse entrare.
Il Codice penale militare è molto severo nei riguardi del comandante che non difende adeguatamente la “fortezza”. Una inchiesta presso la Procura militare di Roma venne a suo tempo avviata ma non sappiamo se sia giunta a qualche conclusione.
Quanto alle altre due vicende, a mio parere, anche queste operazioni di guerriglia si sarebbero potute evitare; parlo di operazioni di guerriglia e non di operazioni terroristiche perché si è trattato di operazioni rivolte contro militari e non contro civili disarmati.

A suo giudizio queste morti potevano essere evitate oppure devono essere imputate alle consuete “fatalità”?

Non sappiamo quali misure precauzionali siano state adottate: sicuramente non tutte le seguenti:
1) impiego di ingannatori per le comunicazioni elettroniche o all’infrarosso, in modo da contrastare le possibilità di telecomando delle mine;
2) localizzatori warlock per neutralizzare i detonatori;
3) mezzi blindati con protezione anche dal basso (il che manca ai nostri “scarafoni”);
4) dispositivo automatico di spegnimento incendio;
5) vigilanza aerea sui percorsi;
6) programmazione irregolare degli orari dei trasferimenti;
7) esplorazione preventiva per localizzazione delle mine sui percorsi.
Certo non possiamo attribuire quanto è accaduto al fato o al “destino cinico e baro”. Questo è purtroppo l’atteggiamento irresponsabile di qualcuno.
Neanche quanto è accaduto con le decine di morti e le centinaia di gravi ammalati (o di bambini deformi) per possibili contaminazioni da uranio impoverito dipende dal fato. Nessuno dice che abbiamo adottato le norme di protezione con sei anni di ritardo rispetto a quanto hanno fatto gli Usa!(nel ’93 per i Reparti Usa, nel ’99 per i nostri).

La guerra in Iraq, mai formalmente dichiarata, dopo tre anni dura ancora. Come deve essere giudicato, dal punto di vista militare, questo conflitto?

Se la guerra in Iraq perdura ancora ciò deriva dal fatto che l’operazione è stata pensata come “semplicemente militare”, una operazione dove la vittoria militare era scontata in anticipo perché il rapporto di forza era di 1.000 a 1.
E’ stata intatti una ”passeggiata militare”; ma è stata completamente dimenticata la sua dimensione “strategica”, una dimensione, come ci ha insegnato Clausewitz con la sua celebre formula, che si sviluppa sempre su due livelli operativi, su due strati dell’agire che secondo Clausewitz sono lo strato dell’agire politico e lo strato dell’agire militare; il termine strategia viene da stratos che significa ‘strato’ e ago che significa ‘conduce’, dunque condotta di strati d’azione.
Gli Usa hanno centrato la loro azione sulla condotta dello “strato militare” dimenticandosi dello “strato politico”. Si sono dimenticati della situazione politica dell’Iraq e quindi di tutto ciò che avrebbe potuto alimentare la guerriglia, come accadde in Vietnam, dove le imboscate erano nella giungla, mentre in Iraq sono nella metropoli.
In Vietnam gli Stati Uniti hanno tentato di usare i defolianti, in Iraq il fosforo. Non hanno valutato le conseguenze devastanti dell’uso di questi mezzi sull’opinione pubblica e la fortissima reazione che hanno generato.

Quali erano, a suo giudizio, le caratteristiche della missione militare italiana in Iraq?

Le caratteristiche della missione militare Usa in Iraq erano quelle, come ho accennato, di una “passeggiata militare” per via di un immenso divario di forze. Si è trattato semplicemente di un “trasporto truppe” verso Bagdad al quale non è stata posta alcuna resistenza, la sola resistenza incontrata sono state le tempeste di sabbia.
Del tutto errata è stata la distruzione massiccia di obiettivi di ogni genere che ha prodotto soltanto accresciute difficoltà di vita per la popolazione (di qui, quindi, sentimenti di ostilità) oltre che un enorme dispendio di denaro per la ricostruzione (pensiamo ad esempio ai pozzi di petrolio inutilmente dati alle fiamme).
In sostanza una controproducente dimostrazione di forza. Totalmente errata la decisione di liquidare su due piedi l’esercito iracheno trasformandolo con ciò nel tessuto più importante per la guerriglia.

Ritiene che le nostre truppe debbano essere ritirate immediatamente o è giusto attendere le scadenze annunciate dal Governo Prodi?

Le caratteristiche della missione italiana in Iraq erano quelle proprie della tradizione italiana: andare in aiuto dei vincitori per ricavarne qualche beneficio post bellico. Così come quando Mussolini per saltare sul carro della Germania che sembrava assoluta dominatrice del conflitto, inviò qualche aereo a bombardare l’Inghilterra.
Si è fatta passare come missione di pace, una missione in cui i militari dovevano comportarsi secondo il Codice Penale di Guerra: una contraddizione in termini enorme! Ma il voler mostrare un’apparenza pacifica è stato tra le cause di gravissimi errori compiuti.
Per dare alla caserma che alloggiava il nostro personale il volto pacifico di un commissariato di Polizia, non l’abbiamo difesa all’esterno (salvo poi a doverci ritirare in una zona bunkerizzata) abbiamo inviato elicotteri non protetti (accusando di codardia i piloti che giustamente avevano fatto rilevare l’errore!) salvo poi, dopo la morte del maresciallo Simone Cola ad inviare i “Mangusta”, abbiamo inviato mezzi di trasporto truppe non blindati, salvo poi dopo gli incidenti avvenuti , ad inviare i carri armati.
Abbiamo dovuto presto dimenticarci il volto dei (beati) “costruttori di pace” limitando l’opera “pacifica” quasi esclusivamente a quella dell’addestramento delle Forze di polizia (che avremmo potuto eseguire, e forse meglio, in Italia).
Certamente noi non ci sentivamo “forze occupanti” ma nulla si poteva fare, ovviamente, al fine che i cittadini iracheni non ci “percepissero” come “forze occupanti”. Quanto alla finalità non dichiarata di essere presenti in una zona petrolifera di interesse per l’Italia, non so se questo scopo sia stato conseguito. Io ne dubito.
Un fatto molto grave è che non abbiamo neppure chiesto agli Usa le mappe geografiche delle zone bombardate con armi ad uranio impoverito in modo da poter adottare le adeguate misure protettive.
Dall’Iraq è tornato ammalato di tumore il maresciallo di marina elicotterista Giovanni Pilloni (che tra l’altro ad oggi, e questo è altissimamente deplorevole) non ha avuto neanche una lira d’indennizzo per cure fatte a sue spese e a quelle dei familiari. Uno dei tanti “soldati ignorati” per i quali non ci sono state fanfare (perché questo non contribuiva all’”immagine”). Purtroppo ad uso propagandistico si è creata la categoria dei militari di serie A (eroi) e quella di serie C (fantasmi).
La presenza o il ritiro delle nostre truppe è una questione di “falso prestigio” (affermato o negato). Comunque una questione di facciata.
La componente “costruttori di pace” è minima e pone dei rischi gravi come quelli evidenziatisi nella battaglia dei due ponti (una pagina molto negativa per la condotta delle operazioni e ancor più negativa per il bavaglio messo ai mezzi di informazione. L’addestramento delle Forze di polizia irachene se questo è il compito, può essere fatto in Italia.
Le truppe possono essere ritirate in ogni momento senza che ciò cambi assolutamente il quadro generale - come del resto accadde con il ritiro delle truppe spagnole dall’Iraq. Sono questioni di scelte politiche legate ad una politica estera che nella sua impotenza riesce a differenziarsi solo sul piano del decidere “truppe sì, truppe nò”. Qualche cosa che è soltanto patetico e avvilente. Purtroppo molti cittadini italiani sono così sfiduciati da quanto accade, da non avere neppure la voglia di reagire.


NELLA FOTO: La base italiana a Nassiriya dopo l’attentato di novembre 2003

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