In molti considerano sia le PMC sia le PSC come agenzie che forniscono dei mercenari.
Dai servizi offerti da queste agenzie, ma soprattutto, dalla definizione delle Nazioni Unite nella convenzione del 1989, all'articolo 1, il mercenario: "è reclutato localmente o all'estero con lo scopo di combattere un conflitto armato, essenzialmente per un guadagno privato o per una compensazione materiale, o anche colui che è reclutato localmente o all'estero con lo scopo di partecipare a premeditati atti di violenza diretti a spodestare un governo o l'ordine costituzionale di uno stato, minacciare l'integrità territoriale di uno stato essendo sempre motivato da un guadagno privato o da una compensazione materiale. Gli uomini che lavorano come contractors non possono essere, in alcun modo, considerati come mercenari, in quanto, semplicemente, non partecipano ad azioni o atti di guerra.
Il problema della visibilità internazionale di questi contractors, si è posto esclusivamente con la guerra in Iraq, dopo che la propaganda politica, interessata più alla demagogia che al diritto, si è accorta dell'esistenza di questi operatori della sicurezza. Nessuno, infatti, ha mai posto il problema quando, impiegati della società Dyncorp americana, sotto la supervisione diretta del Dipartimento di Stato, facevano parte delle missioni internazionali di polizia delle Nazioni Unite in giro per il mondo. Nessuno ha mai chiamato “mercenari” quegli uomini e quelle donne che, pagati da una società privata, garantivano i diritti umani in Kosovo, in Bosnia, in Liberia, a Timor Est ed in tutte le altre missioni di polizia civile.
Gli stessi servizi che le compagnie private hanno assicurato in altri teatri di peacekeeping, li stanno assicurando in Iraq, dove al contrario d’altre zone, stanno subendo un gran numero di perdite umane e non solo di operatori della sicurezza o bodyguard ma anche di autisti, camionisti, meccanici, cleaning-guys. Fino al 21 novembre 2005, sono morti, nel solo Iraq, 286 “contractors” di varie nazionalità (http://icasualties.org).
Il problema più grande, per la gestione di queste compagnie private, è la loro qualificazione e responsabilità giuridiche. I contractors, operano al di fuori della catena di comando militare, non sono soggetti alla disciplina militare ed alle garanzie della Convenzione di Ginevra.
Se soldati, impiegati in missioni di peacekeeping o in missioni di guerra, sono soggetti alle Corte Marziale o alla leggi internazionali di guerra o di pace, non è ancora chiaro sotto quale giurisdizione siano i contractors. Quello che è certo, è che i contractors, non sono soggetti alle leggi del paese ospitante. Per un certo verso è anche comprensibile, in quanto, il sistema probatorio, le garanzie legislative, l'indipendenza degli organi giudicanti dei paesi ospitanti, non è certo quella dei paesi di provenienza.
In Bosnia e Kosovo i contractors dipendenti delle PSC ed operanti per le Nazioni Unite sono sotto la giurisdizione e di regolamento di disciplina dell'Onu. In Iraq ed in Afghanistan i contractors americani sono sotto l'egida del Dipartimento di Stato o di quello della Difesa. In questo momento esiste una sorta di limbo giudiziario, infatti, i contractors godono dell'immunità per i reati commessi. La consuetudine è che, alla commissione di un reato, sia del sistema penale del paese d’origine, sia del sistema penale del paese ospitante, il reo venga licenziato dalla compagnia ed espulso dall'area di missione.
Bisogna sottolineare che il licenziamento e l’espulsione sono forse più dovuti al mantenimento della credibilità al livello internazionale, allo scopo di guadagnare ulteriori commesse, da parte delle aziende, che quello di perseguire le illegalità dei propri dipendenti.
L'attività legiferativa di diritto internazionale in merito alle PMS e PSC è tuttora carente, i singoli stati nazionali, avendo accolto e perlopiù ratificato la convenzione Onu sui mercenari, a mio mai avviso inapplicabile per queste agenzie, si basano ancora su vecchie leggi, promulgate al tempo in cui il fenomeno non era così evidente, come, ad esempio, l’US Arms Export Act del 1968. Si aspetta ancora uno sforzo chiarificatore internazionale, come quello del “Green Paper” del governo britannico del febbraio 2002 (“PMC’s: Options for Regulation”). Nel frattempo, le agenzie di sicurezza si sono autodotate di regole: alcune garantiscono più le società che le possibili vittime di reati, altre sembrano più simili al codice del Bushido dei Samurai che a norme giuridiche vere e proprie.
L'Italia ha posto un freno notevole allo sviluppo delle agenzie di sicurezza internazionale con l’articolo 288 del codice penale, infatti: "Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da tre a sei anni".
In pratica, un'azienda italiana (reclutando in Italia) può fornire dei servizi non letali a favore di un'altra forza armata, rimane alla libera interpretazione del giudice, se sia possibile garantire la sicurezza in armi di un privato o di una sede istituzionale all’estero in zone di guerra o di peacekeeping, è invece vietata qualsiasi attività (non approvata) di mercenariato classico.
Il diritto internazionale è molto preciso nel descrivere il lavoro del mercenario, usando un minimo d’onestà intellettuale, si evince che negli articoli delle convenzioni internazionali, non ci si riferisce né agli uomini delle PMS né a quelli delle PMC. È vero, scortano, proteggono, riparano, addestrano, sparano, a volte uccidono a volte muoiono, ma non fanno la guerra. Nel caso in cui, i contractors dovessero partecipare alla guerra con azioni offensive (bombardamenti, assalti, rastrellamenti etc) dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti dei mercenari.
Allo stato attuale, non esistono evidenze che supportino presunti impegni contrattuali di compagnie private, in attività riferibili al mercenariato. Fino ad oggi, nessuno ha visto, filmato o fotografato, neanche in Iraq o Afganistan, contractors che istituzionalmente si sostituiscono, nelle azioni di guerra, ai militari.
Le agenzie di sicurezza internazionale sono a scopo di lucro e come tutte le società, devono essere regolamentate con la certezza del diritto, è una scorrettezza chiamarli mercenari caricandoli di tutto il peso negativo del termine poiché, come le guardie giurate in Italia, sono composte da uomini che hanno fatto della sicurezza (intesa in maniera più allargata rispetto alle GPG), un lavoro.
La sicurezza non è né buona né cattiva, è l'uso che se ne fa che la rende buona o cattiva.
|