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Aprile/2006 - Interviste
Religione e convivenza
“In Iraq anche la nuova Costituzione si contraddice tra Islam e democrazia”
di Intervista a cura di Gianni Verdoliva

Joseph Yacoub, professore all’Università Cattolica di Lione, autore di “Menaces sur les chrétiens d’Iraq” che sarà prossimamente pubblicato in Italia, è un esperto della situazione degli assiri-caldei, i cristiani iracheni. Se la presenza cristiana in Iraq rimonta al I secolo dopo Cristo, oggi queste comunità vivono una situazione precaria, tra l’occupazione americana e la minaccia islamica.

Professor Yacoub, quale è in questo momento la situazione dei cristiani in Iraq?
La situazione delle comunità cristiane non è affatto positiva. Dopo l’intervento americano abbiamo assistito a molti episodi di attacchi e di persecuzione nei confronti dei cristiani. Dall’agosto del 2004 molte chiese a Baghdad, a Massoul, a Kirkouk sono state incendiate, in molte città è stato imposto il velo islamico anche alle donne cristiane e i negozianti di vino sono stati attaccati. Si stima che circa 40.000 cristiani siano partiti in esilio, di questi una gran parte si trova in Giordania e in Siria. A causa dell’anarchia totale che regna nel paese i cristiani, in quanto minoranza, sono particolarmente vulnerabili.
Quali sono i pericoli che potrebbero nascere dalla Costituzione irachena?
Ho sotto gli occhi la costituzione, mi sono procurato la versione originale in arabo e l’ho commentata. L’articolo 2 dice che l’Islam è la religione ufficiale dello stato e anche una fonte principale di ispirazione per le leggi. Si dice inoltre che “è proibito adottare una legge che si oppone alle costanti dei precetti dell’Islam. Questo è inquietante, anche perché non si definisce quali siano questi precetti. Comunque l’articolo 2b dice che non si possono adottare leggi che sono in contraddizione con i principi della democrazia. E ciò è in contraddizione con l’articolo precedente. Inoltre riguardo alla Corte Federale, essa deve essere composta anche da esperti di giurisprudenza islamica, con tutto ciò che ne può derivare.
L’Amministrazione Bush ha detto che lo scopo della guerra era di far arrivare la democrazia in Iraq. Cosa sta facendo per preservare la libertà religiosa?
Certo, a parole, l’amministrazione Bush si dice attenta alle tematiche della libertà religiosa ma in concreto non credo sia stato fatto molto. I responsabili delle chiese hanno dei contatti con gli americani, ma questo rischia di essere controproducente perché i cristiani possono essere associati agli americani ed essere ulteriormente a rischio di violenze. La volontà americana di esportare la democrazia ha fallito. L’ambasciatore americano in Iraq Zalnay Khalilzad ha dichiarato “La lotta per la democrazia valeva la pena se il risultato è arrivare ad una repubblica islamica?” Anche un ufficiale americano ha dichiarato: “Ci preparavamo a stabilire la democrazia ma stiamo lentamente prendendo coscienza dell’avvento di una forma di repubblica islamica”.
Quale è il ruolo che possono avere i cristiani nel processo di ricostruzione?
I cristiani sono molto attivi anche se non lo si sa. Le chiese hanno molti contatti con le autorità religiose sciite e sannite. Dopo il drammatico incidente dei morti annegati è stata celebrata una messa a Bagdad per gli iracheni sciiti e sono state presentate le condoglianze. I cristiani iracheni ci tengono a dire di essere iracheni prima di essere cristiani.
Perché c’è cosi’ poca attenzione riguardo alla sorte delle minoranze cristiane nel mondo arabo?
I cristiani dell’oriente stanno vivendo un dramma e si sentono abbandonati e ritengono che l’occidente non si occupi di loro. Per quel che riguarda gli assiro-caldei dell’Iraq spero che dall’esterno possa arrivare una pressione affinché abbiano garanzie e siano protetti.


FOTO: Joseph Yacoub

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