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Aprile/2006 - Interviste
Religione e convivenza
"Quanto è difficile essere cristiani nei Paesi islamici"
di Intervista a cura di Gianni Verdoliva

Patrick Sookhdeo, reverendo anglicano,
ex musulmano, descrive dal suo osservatorio
del Barnabas Fund, le condizioni, spesso
durissime, dei fedeli delle varie chiese nelle
regioni musulmane. “Abbiamo bisogno
di musulmani liberali, per sostenere la libertà
religiosa e i principi di uguaglianza”


Essere cristiani nel mondo islamico. Un argomento scottante di cui ben pochi si occupano. O, se lo fanno, è assolutamente in modo parziale. Raccontando di un mondo ideale e meraviglioso i cui cristiani e musulmani coesistono pacificamente.
Se certamente esistono alcune realtà positive il quadro generale è, invece, alquanto sconfortante. Dall’Indonesia ai territori palestinesi, dalla Turchia all’Egitto, dall’Iran alla Nigeria, dall’Iraq al Bangladesh i gruppi islamici incitano alla violenza nei confronti delle minoranze cristiane. Chiese incendiate e distrutte, omicidi, rapimenti, atti di vandalismo, incarcerazioni arbitrarie, processi sommari per blasfemia. Un quadro inquietante. A farne le spese non solo i cristiani ma anche le altre minoranze religiose. E gli stessi musulmani liberali. Ad alzare la voce e a parlare per chi non può farlo due studiosi. Il francese di origini siriane Joseph Yacoub e il britannico nativo della Guyana Patrick Sookhdeo. Cattolico caldeo uno, anglicano l’altro. Laico uno, prete il secondo. Più cauto e diplomatico uno, più diretto il secondo. Pur nella diversità degli approcci e delle aree di riferimento, Yacoub è uno specialista degli assiro caldei, la più antica minoranza religiosa dell’Iraq, Sookhdeo segue il fenomeno, poco conosciuto, delle conversioni dall’islam al cristianesimo, entrambi raccontano attraverso i contatti locali e le informazioni che non arrivano ai grandi media, una situazione di pesante discriminazione. Della quale il mondo occidentale continua a non voler prendere atto.
Patrick Sookhdeo dirige l’Institute for the Study of Islam and Christianity e il Barnabas Fund un ente assistenziale che si occupa di fornire aiuto materiale ed assistenza ai cristiani che vivono nei paesi islamici. Reverendo anglicano, si occupa anche di rompere il muro di indifferenza che circonda tali tematiche e ha, di recente, lanciato la Right to Justice Campaign, il cui obbiettivo è garantire diritti ed equità nei paesi musulmani per tutte le religioni. Le sue prese di posizione e le sue denuncie mettono la sua sicurezza a repentaglio al punto da non poter fornire una propria foto per la pubblicazione.

Reverendo Sookhdeo, cosa l’ha spinta ad occuparsi delle minoranze cristiane, il suo personale percorso di fede, un senso generale di giustizia o entrambe le cose?
Entrambe le cose. Il mio personale percorso di fede mi ha fatto capire che Dio è un dio di giustizia e di grazia e noi siamo chiamati attraverso il suo amore a concretizzare questa giustizia. Dio ha creato le persone a sua immagine e le ingiustizie contro le persone sono una discriminazione nei confronti di Dio.
Lei è un ex-musulmano divenuto prete anglicano, conosce altre persone che sono passate dall’islam alla chiesa anglicana?
Ci sono molti musulmani che fanno un percorso di fede che li porta ad abbracciare il cristianesimo. Tra costoro ci sono anche degli anglicani. Ad esempio c’è un vescovo anglicano in Africa che è lui stesso un ex-musulmano.
Nel Regno Unito non abbiamo molti casi di musulmani che diventano anglicani. E questo per due motivi. Da un lato la Chiesa d’Inghilterra non solo non fa nessuna azione di evangelizzazione tra i musulmani ma addirittura scoraggia le conversioni. Molti vescovi non sono contenti di fronte ai casi di convertiti e il livello di accettazione dei nuovi arrivati è molto basso. Inoltre la Chiesa ritiene che le conversioni possano danneggiare il dialogo interreligioso con l’islam.
Il testo “Islam in Britain” presenta una situazione in cui i musulmani che vivono nel Regno Unito stanno diventando sempre più alienati dal resto della società. Secondo alcuni osservatori ciò accadrebbe semplicemente a causa del razzismo e della cosiddetta islamofobia. Quale è la sua opinione in merito?
La crescente alienazione delle comunità islamiche britanniche e l’aumento della tendenza conservatrice nelle stesse non è frutto del razzismo ma di un ritorno all’insegnamento dei precetti classici dell’Islam. Ci sono innumerevoli moschee, madrasse e centri islamici in cui si predica il ritorno alla tradizione di Maometto con l’intento di consolidare la ummah, l’unità di pensiero del mondo islamico.
Unità di pensiero che non si limita ai precetti religiosi ma che sfocia del politico attraverso il calcolato consolidamento e la ridefinizione dell’identità islamica. In questo modo il credo islamico controlla e regola tutti gli aspetti delle comunità musulmane. Alienandola dal mondo circostante.
Parlando di islamofobia, perché non si incontra mai il termine buddismofobia o wiccanfobia?
Perché il termine islamofobia è stato coniato apposta per essere usato come un’arma nei confronti di chiunque dica qualunque cosa che sia critico nei confronti del pensiero islamico. Altre religioni non hanno questa tendenza assoluta alla protezione totale nei confronti dei propri fedeli. Si usa l’islamofobia per zittire l’opposizione, la critica e il dibattito.
Durante le proteste dei gruppi islamici che hanno fatto seguito alla pubblicazione delle vignette su Maometto, i poliziotti londinesi hanno semplicemente scortato un corteo di gente furiosa che urlava slogan di odio. Che cosa pensa il cittadino britannico medio del comportamento tenuto dalle Forze di polizia?
I britannici sono profondamente scontenti e turbati, credono che la Polizia avrebbe dovuto arrestare coloro che incitavano l’odio. Ci sono state delle lettere di protesta ai giornali e l’argomento è stato sollevato a vari livelli incluso quello politico.
Sta avendo sostegno per il suo lavoro dal governo, dalla Chiesa e dalla famiglia reale?
Noi siamo un organismo religioso. Riceviamo fondi da persone di fede cristiana o da singole chiese. Non riceviamo nessun contributo finanziario da parte del governo.
Abbiamo sostegno morale ed intellettuale da parte di alcuni settori della Chiesa anche se la gerarchia ecclesiastica si trova in difficoltà per quello che facciamo perché questo disturba il dialogo con le comunità islamiche. Quanto al Governo, la documentazione e il materiale che forniamo e cosa diciamo ha esercitato una certa pressione sui suoi membri. La monarchia ha dei legami molto stretti con le famiglie reali islamiche e cosa noi diciamo e facciamo disturba il loro modo di pensare. Sempre di più i leader religiosi cristiani hanno simpatia per la nostra causa ma non sono in grado di esprimerlo visibilmente come dovrebbero.
L’opinione pubblica non è ben informata riguardo alle condizioni in cui vivono i cristiani nei paesi islamici e le storie che li riguardano raramente vanno nelle prime pagine. Perché?
Esiste una reale difficoltà da parte del mondo dei media nell’affrontare il tema della situazione dei cristiani nel mondo islamico. Nel Regno Unito esiste una sorta di codice non scritto che consiste ad evitare di scrivere articoli o editoriali che possano offendere i musulmani. Recentemente in Nigeria ci sono state 56 chiese distrutte e 40 cristiani sono stati uccisi in seguito alle violenze perpetrate da parte dei musulmani. Eppure di tutto questo non si è scritto o se lo si è fatto è stato in maniera fugace. Se fossero state distrutte 56 moschee e fossero stati uccisi 40 musulmani, tutti i giornali ne avrebbero dato un risalto enorme. Le redazioni sono nervose e non sanno come comportarsi in merito.
Ci sono però dei cambiamenti. Il Catholic Herald mi ha richiesto un editoriale sulla persecuzione dei cristiani nel mondo musulmano. Ho anche ricevuto richieste di interviste dalla Bbc e dalla Cnn. Gli attacchi verso le minoranze cristiane si stanno intensificando a tal punto che i giornali non possono affermare che siano argomenti di scarsa importanza.
Lei ha lanciato la “Right to Justice Campaign”. State ricevendo il sostegno di organicismi di sostegno ai diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch?
Al momento non abbiamo richiesto il sostegno di altre organizzazioni che si occupano di diritti umani. Facciamo anche molta attenzione a non essere coinvolti con gruppi che hanno schieramenti o ideologie politiche. Certo, in passato abbiamo collaborato con Amnesty International. Speriamo ovviamente che il tema delle persecuzioni religiose venga trattato anche della organizzazioni umanitarie di tipo generalista. Anche se come cristiani abbiamo la responsabilità primaria di aiutare gli altri cristiani.
Tutti i cristiani soffrono le stesse discriminazioni e persecuzioni o alcune chiese sono, in quale modo, più “protette” di altre?
Non direi. Tutto dipende dal contesto. In Egitto sono i copti che sono attaccati con frequenza, pur essendo la chiesa cristiana più antica e più numerosa del paese. In Iran la chiesa cattolica intrattiene delle relazioni formali col governo, e questo ha fatto si che le comunità cattoliche venissero in qualche modo risparmiate dalle persecuzioni che invece si concentrano sulle chiese evangeliche e sui cristiani che parlano farsi.
Nel nordafrica invece sono proprio i cattolici ad essere maggiormente presi di mira.
In Sudan invece sia i cattolici che gli anglicani e i presbiteriani sono sotto mira in ugual misura. In Indonesia ad essere attaccate sono le chiese che fanno azione di evangelizzazione che è vista come una minaccia all’unità islamica. In ogni caso gli attacchi contro le comunità cristiane, indipendentemente dalla denominazione, sono in aumento. C’è poi la questione della discriminazione legale legata all’implementazione della sharia in base alla quale i cristiani non godono degli stessi diritti dei musulmani. Inoltre i cristiani sono spesso capro espiatorio perché sono associati al mondo occidentale, agli Stati Uniti, a Bush, etc.
Molti rappresentanti del mondo della sinistra radicale sostengono che Israele è uno stato di apartheid e stanno facendo pressioni per azioni di boicottaggio economico e culturale. L’Arabia Saudita ha un sistema di apartheid religioso e di genere molto rigido ma nessuno prende in considerazione l’idea di un boicottaggio. Perché?
Occorre riflettere su diversi aspetti. Ultimamente c’è stata una convergenza ideologica tra i gruppi no-global e la sinistra anticapitalista e antimperialista e i gruppi islamici. Il focus di questa allenza è contro Israele e contro gli Stati Uniti.
Purtroppo anche alcune chiese si stanno avvicinando a questo tipo di approccio che tende a non vedere o a sminuire le violazioni dei diritti umani nel mondo islamico.
C’è poi la dipendenza dal petrolio che gioca un ruolo decisivo. Senza dimenticare il senso di intimidazione provato dai governi dei paesi occidentali che ormai hanno paura della reazione islamica.
Riescono le minoranze religiose nei paesi islamici ad avere sostegno e protezione dalle locali Forze di polizia?
In genere è difficoltoso per un cristiano essere aiutato dalla Polizia, e questo a causa della struttura della società e dell’organizzazione della Polizia stessa. I poliziotti fanno parte della comunità locale e sarebbero socialmente ostracizzati se prestassero soccorso ai cristiani in contesti ove questo è considerato inopportuno. Quanto al sistema giudiziario, essendo basato spesso sulla legge islamica, non offre una grande protezione ai cristiani.
Anche le altre minoranze non cristiane (ebrei, zaraostriani, mandeisti, baha’i, animasti, etc) subiscono lo stesso tipo di vessazioni dei cristiani?
Tutti i gruppi religiosi non musulmani sono a rischio. L’ondata di violenza anticristiana in passato si era abbattuta sulle comunità ebraiche. In Iraq sono i mandeisti a subire i maggiori attacchi. In Iran sono le comunità baha’i. C’è un peggioramento generale della situazione.
Tutti parlano dei musulmani moderati ma non è ben chiaro che cosa definisca moderato un musulmano. Non sarebbe meglio invece parlare di musulmani progressisti che sono i soli, ad esempio, a respingere il terrorismo in tutte le sue forme?
Abbiamo bisogno dei musulmani liberali. Sono gli unici che possono operare una separazione tra la sfera religiosa e quella politica, porre una maggiore enfasi sull’individuo e reinterpretare il Corano e renderlo adattabile alla realtà moderna delle democrazie, essere fedeli alla nazione in cui vivono e difendere la libertà di religione e l’uguaglianza tra uomini e donne.
Teologi musulmani liberali, femministe musulmane, lesbiche e gay musulmani, musulmani liberi pensatori, etc. Possono costituire un segnale di speranza per il futuro?
Credo che ci sia un crescente movimento dissidente in seno all’Islam. Si tratta in prevalenza di donne. Questi dissidenti corrono dei grossi rischi per il solo fatto di esprimere dei concetti che vanno contro il pensiero assoluto islamico. Inoltre i governi e l’opinione pubblica occidentale non li finanziano e non li sostengono.
Pamela Taylor, una musulmana canadese che è stata una delle prime donne a svolgere la funzione di imam ha affermato, sul sito Muslim Wake Up, di essere stata ispirata anche dalle donne prete. Non crede che avere più donne in posizioni di leadership nelle chiese cristiane possa aiutare le musulmane a portare cambiamenti positivi nella loro fede?
Non credo che possa avere influenza. Bisogna prima di ogni cosa affrontare lo status legale della donna nella legge islamica. Questo è il primo passo per il cambiamento. In alcuni paesi, come il Marocco che ha modificato il codice di famiglia, sono stati fatti dei passi avanti in questa direzione.
Stando alle informazioni che ha tramite il Barnabas Fund ha l’impressione che i cristiani che vivono nei paesi islamici abbiano il sentimento di essere stati abbandonati dall’occidente e dalle stesse chiese cristiane?
Assolutamente si. I cristiani dei paesi islamici si sentono solo ed abbandonati. Devo però valutare positivamente alcune prese di posizione del Vaticano che ha chiesto, all’interno del dialogo col mondo islamico, la reciprocità. Mi auguro che anche altre chiese possano prendere simili posizioni.
E’ ottimista o pessimista riguardo al futuro? Perché?
Sono pessimista. Anche la Commissione dell’Onu per i diritti umani tiene in scarsa considerazione le nostre istanze. E, in generale, il mondo islamico abbraccia in modo sempre più totale il conservatorismo.

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