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Aprile/2006 - Articoli e Inchieste
Afghanistan ' Missione a Kabul e dintorni
La riforma del sistema giudiziario afgano
di Leandro Abeille


Come rilevato dalla Conferenza di Roma, sulla giustizia in Afghanistan, del dicembre del 2002: “Lo sviluppo di un imparziale ed efficiente sistema giudiziario in Afghanistan è un requisito vitale per i bisogni degli afgani, per proteggere i loro diritti umani, con particolare considerazione ai settori più vulnerabili della società, per assicurare pacifiche risoluzioni delle dispute, per promuovere un buon governo associato al processo di democratizzazione, per supportare lo sviluppo sociale ed economico e per facilitare gli investimenti privati o le donazioni internazionali”8.
Al di là dei proclami e degli incoraggiamenti internazionali, l’Afghanistan ha bisogno della giustizia. Per troppo tempo i signorotti locali hanno spadroneggiato sulla popolazione, in un periodo di autonomia (1979-2001) la quale, ha fatto crescere nell’immaginario collettivo, che la giustizia fosse solo quella del più forte.
Molti dei principali personaggi che hanno partecipato alla guerra contro i sovietici e contro i talebani, sono convinti che la vittoria da loro il diritto di comportarsi come se fossero al di sopra della legge e di ignorare le norme e le regole stabilite.
In un rapporto diffuso lo scorso anno, Human Rights Watch denuncia che molti ufficiali di alto livello e consiglieri dell’attuale governo afgano, sono implicati nei principali crimini di guerra e abusi contro i diritti umani dall’inizio degli anni ’90 in poi9.
L’Afghanistan ha bisogno di giustizia uguale per tutti, senza che ci sia qualcuno più “uguale” degli altri.
Dallo scorso anno, l’Italia, tramite i propri esperti nel settore della giustizia, con il supporto di alcune organizzazioni internazionali quali l’Idlo (International Development Law Organization), l’Undp (United Nations Development Programme) e l’Isisc (Istituto Superiore di Scienze Criminali) e della Judicial Regorm Commision afgana, sta portando avanti un complesso lavoro di riforma del sistema giudiziario. Il programma prevede: il recupero delle infrastrutture giudiziarie e delle prigioni; la formazione professionale di magistrati, procuratori, avvocati e ufficiali penitenziari; la stesura di un nuovo Codice di procedura penale; la ri-scrittura del Codice civile; l’elaborazione di un Codice minorile (mai esistito prima).
Il progetto, costato fino ad ora più di 25 milioni di euro, si preannuncia molto più complesso di quanto possa sembrare. Innanzitutto esistono scarse compatibilità tra i sistemi giuridici anglosassone (di Enduring freedom, Unama e di una parte di Isaf) basato sulla Common Law, quello italiano (che ha la guida del programma) basato sul Civil Law ed infine quello afgano a metà tra la legge tribale e la shari’à.
Le incompatibilità, che a livello giuridico potrebbero essere risolte, diventano difficilmente sormontabili a livello sociale. Le culture sono, infatti, la genesi dei vari sistemi giuridici ed hanno valori di riferimento differenti, per questo un valore fondante e magari comune tra giurisprudenza italiana ed anglosassone non è tale, o considerato addirittura deviante, da quella tribale o sharaitica.
Qualche settimana fa un afgano musulmano, convertito al cristianesimo, è stato arrestato. Per la legge afgana, rischia la condanna a morte. Tutto lascia presupporre che la riorganizzazione del sistema giudiziario sarà una sfida ardua per i giuristi italiani.

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