Dopo 30 ore di viaggio da Pisa all’Afghanistan, arriviamo ad Herat dove ha sede l’Fsb (Forward Support Base), per sbarcare alcuni militari dell’Arma azzurra e ripartire per Kabul. L’Fsb non colpisce tanto la fantasia di un giornalista, perché, è un grande spiazzo con alcuni container, decine di enormi tende mimetiche e due Px, una base logistica mista italo/portoghese/spagnola che rifornisce di materiali tutta la zona. Non mi sono preoccupato più tanto di quello scalo, avrei visto Herat e l’Fsb, come previsto, dopo quattro giorni.
Quattro giorni dopo, un volo militare mi portava da Kabul ad Herat, per visitare questo famoso Prt italiano. Anche in questa occasione l’Fsb non è stato in cima alle mie priorità, comunque era stata già programmata una visita alla struttura, non sarei sfuggito.
Il giorno della visita, come d’obbligo, andiamo a porgere i nostri saluti all’italiano più alto in grado dell’Fsb, un Colonnello dell’aeronautica, vice comandante della base.
Entriamo in un container bianco, elegantemente arredato all’interno, per essere annunciati al “comandante” e questo ci riceve immediatamente. L’ufficio del comandante è spazioso, alle pareti le foto di rito, il capo di Stato Maggiore, il Presidente della Repubblica, tante carte geografiche, un tavolo da riunione ed un signore in mimetica desertica, con i gradi da colonnello ci accoglie. Non ci posso credere – direbbe Aldo del famoso trio – davanti a me ho Maurizio Cocciolone, ve lo ricordate? Quello di: “I am captain Maurizio Cocciolone...” – davanti agli schermi di tutta Italia. Il navigatore del Tornado, abbattuto dalla contraerea irachena, durante la prima Guerra del Golfo. Quello che aveva suscitato un’ondata di commozione mista a rabbia nelle case di tutti gli italiani. Un connazionale catturato e picchiato da iracheni “cattivi”. Io avevo 20 anni all’epoca. Simpatizzavo più per Bellini, il pilota del Tornado che però non aveva fatto dichiarazioni alla tv, pur essendo, come Cocciolone, prigioniero.
La prima domanda viene spontanea, ma Cocciolone la evita subito. “Per favore non parliamo di quella storia, sono passati 16 anni”. Ha ragione lui. Peccato, avrei tanto voluto pescare nel torbido - ma diamine, sono pur sempre un sociologo-giornalista, non un cerca-gossip di qualche rivista scandalistica.
Parliamo dell’attività dell’Fsb e dell’attentato suicida ad opera di al-Qaeda, contro gli italiani a dicembre (2005), Cocciolone – ci dice - è voluto andare in prima persona a dirigere i soccorsi. Sulle prime non ci credo, poi vedendo le foto, mi arrendo all’evidenza. Proprio non mi sembra uno che prende e parte, in prima persona. Decido di fare il mio lavoro, senza ulteriori pregiudizi, e chiedo a Cocciolone, osservatore privilegiato, come considerare un attentato suicida contro le truppe italiane, terrorismo o guerriglia? Mi risponde pacatamente, spiegandomi il suo punto di vista: nonostante in molti considerino gli attentati ai militari una forma di guerriglia e terrorismo solo le azioni che colpiscono i civili - mi ricorda che - i militari non viaggiano sempre da soli in mezzo al deserto ma nella confusione delle strade, a contatto con i cittadini, e colpire i ragazzi con le stellette vuol dire colpire anche chi non le ha. Una risposta veramente efficace.
Continuo a stuzzicare il mio osservatore privilegiato e scelgo come argomento, le torture nelle carceri di guerra, si fa serio e taglia corto: “I veri soldati quelle cose non le fanno, fattelo dire da chi le torture le ha subite”. Ineccepibile anche stavolta.
Ci salutiamo, con la promessa di vederci il giorno dopo, per una consegna di acqua in un villaggio vicino.
L’indomani si parte dall’Fsb e dopo una decina di minuti di viaggio su una strada asfaltata (allora esistono!) e qualche minuto di sterrato, si arriva a quello che un po’ malignamente avevamo definito il Cocciolone’s Village. Quattro case di fango, a cui gli italiani dell’Fsb portano acqua e qualche genere alimentare. Iniziano le operazioni di riempimento da un’autocisterna dell’Aeronautica, e il comandante Cocciolone aiuta a girare e rigirare un vascone di plastica azzurra che fa da deposito d’acqua. Mi allontano per fare due foto ai bambini e dopo un po’, me lo ritrovo a dare dolci ai più piccoli, e poi a sorridere e scambiare due chiacchiere con il capo villaggio. Per chi non lo sapesse, questa cosa si chiama confidence-building, e Cocciolone ha capito come si fa. E’ tempo di tornare indietro, gestire l’Fsb richiede delle decisioni ed il vice comandante, le deve prendere. Decisioni importanti, come quando dopo l’abbattimento, per nulla shockato, da un Awacs, Cocciolone ha diretto gli aerei Nato contro gli obiettivi serbi nella guerra del Kosovo. Scopro di aver sbagliato, scopro che un soldato non è affatto come Rambo, e, sempre rispettando ed ammirando Bellini, non posso non riconoscere che il colonnello Cocciolone è un gran soldato.
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