In Afghanistan il 53% della popolazione vive sotto la soglia della povertà (meno di un dollaro al giorno), in Italia: nessuno.
L'Afghanistan ha una superficie totale di 647.500 kmq, più del doppio dell'Italia (301.230 kmq) non ha accesso al mare e nemmeno dei fiumi importanti: una landa arida con inverni freddissimi ed estati caldissime. Il tutto condito dalla polvere che, in certi giorni, è cosi fitta da sembrare nebbia. Da secoli un Paese cuscinetto tra le spinte geopolitiche della Russia e dell’Inghilterra prima, dei vicini ex-Sovietici, Usa, Cina, Iran e Pakistan attualmente, mantiene sempre una sola costante: la guerra.
Popolazione
E’ divisa per etnie: Pashtun il 42%, Tajiki il 27%, Hazari il 9%, Uzbeki il 9%, Aimak il 4%, Turkmeni il 3%, Balochi il 2% ed altri che rappresentano il 4%. La religione quasi universalmente praticata è l’Islam, sunnita per l’80% e sciita per il 19%, il restante 1% si divide tra cristiani, ebrei zoroastriani e buddisti. Le lingue parlate sono il Persiano o Dari per il 50%, il Pashtu per il 35%, un dialetto derivato dal turco (Uzbeko e Turcomanno) per l’11% e 30 linguaggi minori (principalmente Balochi e Pashai) per il 4%; in molti conoscono più di una lingua ed alcuni dialetti.
La popolazione è stata stimata in 30 milioni di persone, circa la metà degli italiani ma con una crescita di molto superiore. Ogni 1000 persone infatti, nascono circa 47 bambini, cinque volte il tasso italiano (9 ogni 1000) anche se ne muoino 21, il doppio dell’Italia (10).
L'età media in Afghanistan è 17 anni e mezzo, mentre in Italia siamo sui 41. La struttura della popolazione in base alle classi di età è impressionante se comparata a quella italiana [vedi tabella in fondo a questa pagina]
Ecco allora che si profila l’essenza del’Afganistan: un Paese di giovani che non hanno istruzione, possibilità, benessere, in sostanza, non hanno futuro.
[Tutti i dati percentuali sono confrontabili su The world Factbook in www.cia.gov]
Economia
L'Afghanistan è un Paese poverissimo secondo la Banca mondiale è nei 59 paesi che hanno la peggiore economia al mondo, in compagnia di Burkina Faso, Somalia, Sierra Leone ed Haiti. Ha un reddito procapite inferiore a quello della Striscia di Gaza e del Burundi, stimato al di sotto degli 825 dollari per anno [dati disponibili su www.worldbank.org].
Questi dati non rendono giustizia alla povertà dell'Afghanistan, non danno neanche la possibilità di comprendere cosa voglia dire essere poveri in un paese povero. Nonostante le tante carenze, l'Italia è un paese “ricco” e ha superato problemi che adesso ci sembrano talmente lontani da essere inconsistenti: la fame, i diritti civili, l’acqua, la scarsità di medicine (di qualsiasi tipo) negli ospedali. Erano i problemi dell'Italia del dopoguerra, dell'Italia di sessant'anni fa: sono i problemi dell'Afghanistan di oggi.
Gli indicatori della povertà di un paesi sono molteplici, il più drammatico è la mortalità infantile, in Afghanistan è di 163 bambini ogni 1000 nuove nascite mentre, fortunatamente, in Italia è di 6 ogni 1000. Un altro segno rivelatore del benessere è rappresentato dall’aspettativa di vita, gli uomini afghani hanno una vita media di 42-43 anni mentre per le donne è di qualche mese più alta, gli uomini italiani si aspettano di vivere circa 77 anni, mentre le donne circa 82. Normalmente le donne sono molto più longeve degli uomini, il fatto che per le afghane non sia così, si ricollega all’assenza totale di welfare, per cui, chi rimane vedova non ha più accesso alle risorse economiche di famiglia.
Continuando con gli indicatori di povertà si arriva all’alfabetizzazione, in Afghanistan la percentuale delle persone che dai 15 anni in su sa leggere e scrivere è del 36%, meglio gli uomini con il 51% che le donne al 21%, in Italia il 98,6% della popolazione, nella stessa fascia di età è alfabetizzata, anche se anche da noi si registra una leggera differenza tra gli uomini con il 99% e le donne con il 98,3%. Il numero di utilizzatori di internet danno un’idea della interazione popolazione-globalizzazione- interscambio – cultura, in Afghanistan sono circa 1000 in Italia (fanalino di coda europeo) sono 18,5 milioni.
Per finire, l’occupazione, il tasso medio di senza lavoro in Afghanistan è del 40% mentre in Italia si attesta intorno 8%. Gli stipendi medi non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli italiani, un operaio edile medio guadagna circa 3 dollari al giorno, lavorando dall’alba al tramonto con un’ora di pausa per 2 pasti forniti di solito dal datore di lavoro. La parola sindacato non è ancora stata tradotta nel liguaggio del posto. Per far capire quanto è importante la sicurezza che garantisca una ricrescita economica vera, tra i lavoratori dipendenti più ricchi ci sono i soldati ed i poliziotti: guadagnano “la favolosa cifra”di circa 50 dollari al mese.
Gli occupati afghani lavorano nell’agricoltura per l’ 80% mentre questa voce per gli italiani non va oltre il 5%, nell’industria il 10% quando da noi è il 32% e nei servizi il 10%, laddove qui è del 63%. C’è da sottolineare che più un paese è povero, più la maggior parte degli occupati è nell’agricoltura. Più l’economia è debole, più la bilancia dei pagamenti è in perdita: l’Afghanistan esporta per 471 milioni di dollari (escluse le esportazioni illegali) mentre l’Italia per 372 milliardi di dollari ed importa per 3.87 miliardi di dollari, mentre noi importiamo per circa 370 miliardi di dollari.
Sia l'industria che l'agricoltura, hanno un livello neanche lontanamente comparabile con quello italiano, sia dal punto di vista della tecnica sia per l'organizzazione del lavoro. In un “complesso industriale” di Kabul a qualche centinaio di metri dalla base italiana, si producono scatole di cartone ed uva passita. Il complesso è composto di due capannoni: nel primo si trovano montagne di uva pronta per essere spedita (le malelingue affermano che la destinazione sia all'interno dei panettoni italiani), mentre, nella seconda stanza c'è una pressatrice a rulli, con almeno tre volte l'età di chi ci lavora che schiaccia il cartone, il quale, verrà piegato per farne delle scatole, da una decina di donne che sono in uno spiazzo, all'esterno. Si lavora solo di giorno perche non c’è corrente elettrica e la pressatrice funziona con un vecchio gruppo elettrogeno.
La situazione non migliora per i di servizi pubblici: le scuole sono le peggiori al mondo, s’insegna a leggere e scrivere ma non si va oltre, la matematica, la geografia e la storia si accennano appena. Gli ospedali sono carenti in tutto, ad iniziare dai medici che guadagnano cerca 45 dollari al mese e per uno stipendio di questo tipo, razionano la loro presenza a due ore al giorno per cinque giorni a settimana. Le strumentazioni mediche ed i laboratori per le analisi cliniche sono pressoché inesistenti, il responsabile italiano per la ricostruzione sanitaria di Herat, a scopo esemplificativo afferma che, per un neo, si taglia il braccio, poiché non c'è la possibilità di effettuare tutte quelle analisi che permetterebbero di scoprire l'eventuale presenza di patologie serie.
Gli afghani sono unanimi nel sostenere che la povertà, l'analfabetismo e la carenza del senso dello Stato siano da imputare ai 25 anni di guerre che il paese ha subito, ed in particolare al periodo di governo dei talebani. Per questo la maggioranza della popolazione desidera un maggior impegno della comunità internazionale.
[Tutti i dati percentuali sono confrontabili su The world Factbook in www.cia.gov]
Politica
Dopo la sconfitta dei talebani, l’Afghanistan si è dato una nuova forma di governo ed attualmente, sta faticosamente tentando di ricostruire uno stato che sia quanto più possibile riconoscibile dalla gente. Con le elezioni, le prime a suffragio universale (dall'età di 18 anni), è stato direttamente eletto per 5 anni (dal dicembre 2004), con un sistema a doppio turno, un nuovo capo dello Stato che secondo la Costituzione ricopre anche il ruolo di capo del governo in quella che la legge fondamentale definisce la repubblica islamica dell'Afghanistan.
L'ex re, Zahir Shah, il quale ha vissuto in esilio in Italia per decenni ha attualmente il titolo onorifico di “padre della nazione” e presiede simbolicamente alcune cerimonia. Questo titolo probabilmente sparirà alla morte del vecchio re, in quanto, non è ereditario.
Il Consiglio di governo è formato da 27 ministri, proposti dal presidente ed approvati all'assemblea nazionale, attualmente, l'attuale presidente Hamid Karzai (eletto al primo turno con il 55.4% dei voti), ha chiamato a Kabul numerosi ex signori della guerra, tecnici e politici di professione.
L'assemblea nazionale consiste di due camere la “Wolesi Jirga” (Casa del popolo), composta di non più di 249 rappresentanti, eletti per 5 anni e dalla “Meshrano Jirga” (Casa degli anziani) composta di 102 rappresentanti, un terzo eletti dai consigli provinciali per 4 anni, un terzo eletti dai consigli locali per tre anni ed un terzo nominati dal presidente per 5 anni, di questi ultimi la metà sono donne e almeno quattro rappresentano i disabili e le minoranze.
L’impegno più importante per lo Stato sarà quello di essere riconosciuto, non tanto a livello internazionale ma dai suoi stessi cittadini. Nonostante le libere elezioni la fedeltà degli afghani non è verso l’istituzione eletta ma verso il clan, o il signore della guerra di turno.
E’ un fatto comprensibile poiché, per quasi tre decadi, i clan, comandati da veri e propri “tagliagole”hanno gestito (privatamente) la cosa pubblica ed hanno rappresentato l’equivalente dello Stato.
Non esisteva allora un solo Afghanistan ma tante piccole province, governate dal più forte. Karzai ha riunito tutti (i più presentabili) signori della guerra nel suo governo, proprio per dare un senso di unità al paese e soprattutto, per tenerli lontani dalle beghe e dagli interessi locali. A governare le province sono andati dei governatori, eletti dalla gente ma provenienti da realtà differenti rispetto al periodo dei Talebani, i quali erano fortemente presenti a Kabul, Kandahar, Jalalabad ma lasciavano ampi spazi ai signorotti locali in altre province.
Non stupisce il fatto che, in alcune di queste province, tanto per ricordare che il vero potere è detenuto dall’ex signore della guerra, scoppino incidenti guidati. L’ultimo ad Herat tra sciiti e sunniti, fermati dall’inviato del presidente, guarda caso, l’ex despota della provincia: Ismail Khan.
S’intravede allora la futura azione dello Stato: esautorare pian piano gli ex-signori della guerra che hanno ancora interessi (e milizie) nelle province e non danno affidabilità e soprattutto non mostrano fedeltà alle istituzioni.
Questo, anche grazie alla comunità internazionale, dovrebbe avvenire senza spari, e per la prima volta, sarebbe la democrazia a far sentire la sua voce.
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