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Aprile/2006 - Articoli e Inchieste
Islam
Le leggi del Corano e quelle del Codice
di Alessandro Floris

I Paesi musulmani devono percorrere
una lunga strada verso il rispetto dei diritti
della persona umana e l’eguaglianza
tra i cittadini: un universo in trasformazione,
anche se, in molte situazioni, troppo lenta


La galassia dei Paesi islamici offre un panorama composito e spesso sfuggente rispetto a considerazioni di carattere generale.
Quando si esamina la legislazione di tali Paesi, non si può prescindere da alcune indicazioni circa la sharia’a (legge islamica) e le sue applicazioni pratiche. Difatti, l’Islam attribuisce al Corano, oltre che un significato religioso, anche un valore normativo. Questo testo, che la tradizione islamica ritiene essere stato rivelato al profeta Muhammad dall’Arcangelo Gabriele, costituisce un nucleo immodificabile di disposizioni, corredato dai detti attribuiti al Profeta, e da alcuni episodi, riguardanti il comportamento del Profeta stesso e dei primi musulmani, che assurgono al valore di regole. Tuttavia, gli Stati moderni a totalità o a maggioranza musulmana, hanno affiancato alla sharia’a dei moderni testi giuridici, spesso recependo, seppur con alcune modifiche, i codici dell’Europa occidentale, ed in particolare quelli italiani, francesi e tedeschi.
In alcuni campi, come nel diritto di famiglia o testamentario, il diritto tradizionale islamico ha trovato una sua costante collocazione al posto delle disposizioni di matrice europea.
Questo discorso generale, deve ovviamente trovare alcune pratiche specificazioni: la Turchia, ad esempio, dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano, ha vissuto una drastica azione politico-giuridica posta in essere da Ataturk, che ha adottato integralmente il codice civile svizzero. Questa decisione sicuramente spregiudicata, oltre ad aver generato ovvi problemi con il passaggio repentino ad un sistema di diritto basato su principi completamente diversi, ha causato grandi benefici, ponendo la Turchia in una posizione privilegiata, rispetto agli altri Paesi musulmani, nei confronti dell’Occidente. Indubbiamente gli standard di vita turchi sono estremamente vicini quelli di altri Paesi europei.
Tra i Paesi che hanno avvicinato la loro legislazione a quella europea, sopprimendo alcuni istituti tradizionali dell’ordinamento giuridico islamico, troviamo la Tunisia, che ha abolito la poligamia, adottando invece la monogamia, seppur con argomentazioni che hanno mantenuto un formale rispetto della legge islamica.
L’evoluzione attuale degli ordinamenti giuridici delle nazioni a maggioranza musulmana, evidenzia grandi diversità tra i singoli Stati, ma ritengo che l’indice di sviluppo di tali ordinamenti non sia determinato dall’applicazione o meno di norme tradizionali islamiche, quanto da inveterate abitudini sociali che, in alcuni Paesi, portano alla sistematica impunità di chi si macchia di comportamenti crudeli o inumani.
Certamente, non sarà possibile trovare alcun brano del Corano o di altri testi sacri che autorizza gli uomini a violentare o sfigurare le donne. Eppure, nella tragica quotidianità degli ambienti tribali, ad esempio in Afghanistan o in Pakistan, vediamo come i costumi sociali e culturali fanno si che tali atti restino in gran parte impuniti, o che siano le stesse vittime ad essere sanzionate.
In Afghanistan, nel gennaio 2004, la loya jirga ha adottato una nuova Costituzione. La nuova Carta comprende garanzie a favore dei diritti civili, ma non prevede alcuna misura di sicurezza specifica contro gli abusi, come ad esempio la parità di diritti coniugali tra uomini e donne.
La maggioranza degli atti di violenza perpetrati contro le donne non vengono denunciati, per timore di rappresaglie o di dure punizioni giudiziarie contro la vittima stessa, mentre un numero molto esiguo di atti di violenza sono stati oggetto di indagini o sono approdati in tribunale. La tradizione e il codice di comportamento sociale hanno dettato le decisioni dei giudici nei casi di violenza sulle donne. Molte donne sono state imprigionate per presunti reati quali la fuga da casa, l’adulterio e l’attività sessuale illecita (rapporti sessuali fra una donna e un uomo non sposati) – noti come zina.
La magistratura è rimasta inefficace, corrotta e prona alle intimidazioni da parte di gruppi armati. Nelle zone rurali, i tribunali funzionavano a malapena. In molti casi sia giudici che avvocati erano ignari della legge e hanno consentito il verificarsi di gravi discriminazioni contro le donne. Spesso atti di violenza, matrimoni forzati e l’uso di donne e ragazze come merce di scambio per la risoluzione di controversie non venivano considerati reati. Fra i funzionari del sistema di giustizia penale, anche tra i giudici, regnava la confusione sugli esatti presupposti legali per considerare quale “reato” la “fuga da casa”. Tale reato non viene contemplato dal codice penale afghano. Le detenute venivano trattenute per prolungati periodi di tempo, senza presupposti legali, e non veniva loro concesso il diritto a un processo equo.
In Pakistan, nonostante i gruppi femminili abbiano richiesto che la rinuncia di azioni penali per i delitti “d’onore” da parte degli eredi della vittima fosse vietata allo scopo di dissuadere eventuali esecutori, tale provvedimento è rimasto invariato. L’Assemblea Nazionale ha comunque approvato un progetto di legge che ascrive a reato offrire una donna quale compenso per un omicidio, reato punibile fino a 3 anni di carcere. In base a un altro emendamento, le indagini relative ad accuse penali ai sensi della legge sulla blasfemia e della zina (sesso illecito) devono essere condotte solo da alti funzionari di polizia.
Sempre per quanto attiene alla violenza contro le donne, ha suscitato scalpore nell’opinione pubblica dell’Arabia Saudita, il caso della presentatrice televisiva Rania al-Baz, aggredita da suo marito il 4 aprile 2004 nella loro abitazione di Jeddah. La donna ha riportato 13 fratture facciali. Il marito è stato accusato di tentato omicidio, ma l’accusa è stata in seguito ridotta a lesioni personali aggravate delle quali è stato ritenuto colpevole. È stato condannato a 6 mesi di reclusione e a 300 frustate. Rania al-Baz aveva di fronte a sé l’opzione di una causa civile con la quale poteva chiedere un risarcimento (qisas) nelle forme di un indennizzo o di una punizione fisica in proporzione al danno che aveva subito, ma ha apparentemente scelto di perdonare il marito in cambio del divorzio e della custodia dei suoi due figli. Suo marito ha scontato più della metà della pena. In Arabia Saudita il divorzio è principalmente prerogativa dell’uomo. I diritti delle donne in questo campo sono talmente limitati che diventa pressoché impossibile per loro esercitarli. Per ottenere il divorzio, a differenza dell’uomo, la donna deve provare di aver subito danni o il torto del marito, essere in grado di pagare un risarcimento, affrontare il rischio di perdere l’affidamento dei figli ed essere in grado di convincere una magistratura esclusivamente maschile.
Un altro aspetto particolarmente censurabile della legislazione e del sistema punitivo dei Paesi musulmani, è il frequente ricorso che viene fatto, in alcuni di essi, a pene corporali particolarmente cruente, nonché alla pena di morte. Una applicazione estremamente rigida di quelli che sono ritenuti principi islamici viene effettuata in Iran, dove vigono leggi e procedure a carattere discriminatorio.
Alle persone sono stati costantemente negati impieghi statali sulla base dell’appartenenza religiosa e delle opinioni politiche secondo i cosiddetti gozinesh, o requisiti di “selezione” che impediscono di essere impiegati al servizio di enti statali. Leggi analoghe sono applicabili ad altri organismi come l’Ordine degli avvocati o i sindacati.
A gennaio del 2004, i principi gozinesh sono stati utilizzati dal Consiglio dei Guardiani, che verifica che le leggi e le politiche rispettino i precetti islamici e la Costituzione, per non consentire a circa 3.500 candidati di presentarsi alle elezioni parlamentari di febbraio. L’esclusione di circa 80 parlamentari uscenti è stata condannata a livello nazionale e internazionale.
I gozinesh costituiscono la base giuridica per leggi e procedure discriminatorie. I gruppi religiosi ed etnici che non sono riconosciuti ufficialmente, quali Bahai, Ahl-e Haq, Mandaeans (Sabaeans) e i cristiani evangelici, sono stati automaticamente sottoposti alle disposizioni dei gozinesh e hanno subito discriminazioni in un numero di settori, compreso l’accesso all’istruzione.-
Nel mese di marzo 2004, in seguito a ripetute bocciature, il presidente Khatami ha ritirato le proposte di legge che proponevano l’estensione dei poteri del presidente e proibivano al Consiglio dei Guardiani di estromettere i candidati al parlamento. A maggio, quest’ultimo ha votato ancora una volta per la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Il precedente tentativo del parlamento di ratificare la Convenzione era stato respinto dal Consiglio dei Guardiani nell’agosto 2003.
Ad aprile dello stesso anno, si sono segnati invece alcuni passi avanti, almeno sul piano formale, per quanto attiene al rispetto dei diritti dell’individuo. Il capo della magistratura ha emesso un’ordinanza giudiziaria che, secondo quanto riferito, proibirebbe l’utilizzo della tortura. A maggio, è stata promulgata una poco pubblicizzata legge relativa al "rispetto delle legittime libertà e della salvaguardia dei diritti civili". La legge prevede inoltre provvedimenti contro forme di tortura.
Nel corso dell’anno sono state promulgate leggi che concedono maggiori diritti alla minoranze religiose e alle donne ma nel mese di giugno il nuovo parlamento ha rigettato l’approvazione di un progetto di legge del precedente parlamento che accordava alle donne gli stessi diritti di eredità degli uomini. Ad agosto 2004, il Consiglio dei Guardiani ha respinto una proposta che avrebbe reso l’Iran Stato parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne.
Un evidente avvicinamento alla parità dei diritti tra gli esponenti dei due sessi si è registrato in Marocco, dove è stato approvato un nuovo codice di diritto di famiglia che ha apportato significativi miglioramenti nel quadro legislativo relativo alla protezione dei diritti delle donne. A entrambi i coniugi sono state riconosciute pari responsabilità nella conduzione della vita familiare e nella crescita dei figli, e il dovere della moglie di obbedire al proprio marito è stato abolito. Per le donne, l’età minima per contrarre matrimonio è stata innalzata dai 15 ai 18 anni, la stessa degli uomini ed è stata eliminata anche la necessità per le donne di avere un tutore (wali) di sesso maschile. Rigide restrizioni sono state imposte alla poligamia maschile. È stato riconosciuto il diritto di divorzio su base consensuale e la possibilità di divorzio unilaterale unicamente per volontà del marito è stata posta sotto rigido controllo giudiziario. Tuttavia, le disposizioni regolanti i diritti di successione, ampiamente discriminanti nei confronti delle donne, sono rimaste sostanzialmente invariate.
Una legge sulla tutela dell’integrità sessuale è stata promulgata recentemente in Tunisia, come emendamento all’art.226 del codice penale. La legge estende la definizione di aggressione sessuale a parole, gesti o azioni che minano la dignità e i sentimenti della persona e aumenta le sanzioni per aggressione sessuale sul posto di lavoro o in luoghi pubblici a un anno di reclusione e a un’ammenda di 3.000 dinari (pari a circa 2.430 dollari americani). La pena viene raddoppiata se la vittima è minorenne o un soggetto mentalmente o fisicamente vulnerabile.
Come è dato vedere da questa rapida carrellata di Paesi lontani e disposizioni normative, al giorno d’oggi molti ordinamenti giuridici di Stati islamici, o comunque a forte maggioranza musulmana, sono in una fase di transizione verso una più efficace tutela dei diritti fondamentali della persona umana. La strada verso la parità dei diritti tra tutti i cittadini, di ogni sesso e religione, è ancora lunga, ma percorribile.
Non bisogna dimenticare come, in questo campo, il Corano e l’Islam in genere, abbiano rappresentato, all’epoca della loro nascita, una forma di tutela per l’individuo addirittura rivoluzionaria, rispetto alla cultura esistente in Arabia, ma anche nella gran parte del mondo conosciuto.


FOTO: il Corano

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