L’arresto e la condanna a tre anni di carcere a Vienna dello scrittore inglese David Irving ha segnato una svolta nella polemica sul “revisionismo storico” a proposito dei misfatti dei regimi nazi-fascisti. In particolare, Irving era diventato famoso, e molto popolare nella galassia dell’estrema destra europea (ma anche negli Stati Uniti, e tra gli estremisti islamici mediorientali), negando la realtà della Shoah, dell’uccisione da parte dei nazisti di 6 milioni di ebrei. Un Olocausto sistematicamente realizzato, soprattutto nel campo di sterminio di Auschwitz, dove fino all’ultimo furono attive le sale a gas: locali ermeticamente chiusi, nei quali i deportati – uomini, donne e bambini – venivano condotti, spesso subito dopo essere arrivati allo scalo ferroviario del lager, per “fare la doccia”. Una volta chiusi i locali, piastrellati di maiolica, dalle docce sistemate sul soffitto non usciva acqua, ma il micidiale Zyklon B. La raffinatezza maniacale delle SS arrivava al punto di consegnare ai deportati delle false saponette di pomice, che poi venivano recuperate per essere nuovamente usate.
David Irving per anni ha sostenuto, nei suoi libri – il primo e il più famoso è “La guerra di Hitler” – e in convegni e conferenze, che tutto questo non era mai accaduto. Per Auschwitz, dove le “docce” sono state trovate intatte, e anche mucchi di false saponette, lo scrittore sosteneva che erano stati i polacchi (Auschwitz si trova nei dintorni di Cracovia) a costruirle per “attirare i turisti”. Malgrado che, a parte i deportati sopravvissuti, decine di migliaia di testimoni le avessero viste subito dopo la liberazione del lager da parte dell’Armata Rossa. E che sulla “soluzione finale” programmata da Hitler e dai gerarchi nazisti vi siano testimonianze e documenti incontrovertibili.
In realtà basterebbe dire che vi sono i 6 milioni di ebrei uccisi, con il gas e con altri metodi, dalle SS, e anche da reparti della Wehrmacht. Ma Irving ha sempre affermato che queste vittime potevano essere al massimo seicentomila. E non uccisi secondo un preciso piano di sterminio. Insomma, alla base del “negazionismo” dello scrittore inglese vi era la rivalutazione della dottrina nazista, e dello stesso Hitler, arrivando a dire che Hitler era stato il miglior amico degli ebrei, se non ci fosse stato lui lo stato di Israele non sarebbe mai stato fondato.
Queste plateali prese di posizione, avevano valso a Irving in Austria una denuncia per “riattivazione della politica nazista” , reato previsto da una legge precisa, (e un’altra analoga in Germania) con ordine di arresto: nel novembre scorso lo scrittore, probabilmente pensando di poter sfidare la legge ottenendo una pubblicità supplementare, ha varcato in auto la frontiera tra la Svizzera e l’Austria proprio per tenere una conferenza su invito di un’associazione neo-nazista, ed è stato arrestato dalla gendarmeria austriaca e incarcerato.
Fatto singolare, la detenzione ha prodotto nello scrittore un totale ribaltamento delle sue convinzioni. In Tribunale ha chiesto la parole e si è dichiarato colpevole. “Ho sbagliato – ha detto – Scrissi quelle pagine e feci quei discorsi nel 1989. Poi cambiai idea. Continuai a studiare la storia della guerra e dell’Olocausto, e cambiai idea. Andai in Argentina e lessi alcuni dossier segreti sul caso Eichmann, e capii che l’Olocausto non fu inventato”. Esattamente il contrario di quanto ha affermato pubblicamente per anni, fino all’arresto. E Irving ha tentato di scusarsi rifacendosi alle difficoltà di chi si occupa di storia: “Non sono un negazionista. Il mio punto di vista è cambiato, la storia e la ricerca storica sono come un albero in continua crescita. Quando ho scritto quelle frasi non sapevo quanto poi ho appreso con le mie ricerche successive. Se ho offeso qualcuno e la sua memoria me ne dispiace profondamente”.
Questo ostentato pentimento non ha però convinto il Tribunale. Il pubblico ministero Michael Klacki ha ribattuto che Irving “non è uno storico, ma un ambizioso falsificatore della Storia”. E il presidente del tribunale Peter Liebetreu gli ha chiesto: “Si rende conto di quali idee e notizie false lei ha diffuso?”. Inutilmente l’avvocato difensore ha fatto appello alla clemenza, sottolineando il fatto che l’imputato “è ormai un uomo anziano, e a casa deve assistere una moglie in cattiva salute”. Gli otto giurati (sei uomini e due donne) lo hanno all’unanimità dichiarato colpevole, e i giudici hanno emesso la sentenza: tre anni di carcere.
“Una condanna giusta, anche a distanza di tanto tempo”, ha commentato Amos Luzzato, presidente delle Comunità ebraiche italiane. E ha aggiunto: “In Austria e in Germania la parte buona della popolazione non ha ancora superato l’immane senso di colpa, ha ancora le antenne ben alzate. E’ una prerogativa di quei Paesi una legislazione tanto severa sui temi del nazismo. Purtropo va detto che in molti altri Paesi non esiste una legislazione così netta contro il negazionismo”.
E’ così, infatti. E sarebbe opportuno ancora oggi non dimenticare le pesanti responsabilità del fascismo italiano, prima con le vergognose leggi razziali, e poi con l’attiva connivenza nell’Olocausto della “repubblichina” dell’ultimo Mussolini; responsabilità che qualcuno vorrebbe fossero minimizzate, o dimenticate (ad esempio, nel sito di FI, Gianni Baget Bozzo scrive che “Il fascismo fu un errore umano, ma non totale perché creò un periodo culturalmente vivo per la cultura italiana”, e “il nazismo si è rivolto contro Israele, il comunismo contro tutti i popoli”, cancellando nello stesso tempo la memoria della Resistenza, molto sgradita ai neoconservatori nostrani.
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