Il Ministro Roberto Maroni denuncia il pericolo
che rappresentano per le imprese italiane
le importazioni da Paesi dell’estremo Oriente
dove i lavoratori sono sfruttati e privi di diritti sindacali,
e prospetta la necessità di dazi e quote. “L’Europa è debole,
e, se è il caso, bisogna andare oltre i suoi vincoli”. Quanto
alla devolution, la Lega conta sull’approvazione referendaria
delle modifiche costituzionali, e considera importante
l’alleanza al sud con il Movimento di Raffaele Lombardo
Onorevole Maroni, cinque anni al governo come Ministro del Lavoro e del Welfare. Potrebbe, dal suo punto di vista, tracciare un quadro dei rapporti tra lavoro dipendente e imprese in Italia? E tra Sindacati e Confindustria?
Cinque anni consecutivi alla guida del Ministero del Welfare sono davvero un record. Pensi che sono diventato il decano dei ministri dell’Unione Europea: non era mai successo che un esponente del governo italiano raggiungesse tale record.
Il rapporto tra lavoro dipendente e industria è andato mutando negli ultimi decenni.
Sono cambiati i tipi di lavoro, le aspettative del singolo lavoratore, le esigenze degli imprenditori. Adesso nessuno pensa di entrare in un’azienda e uscirne trenta-quaranta anni più tardi, dopo aver maturato la pensione. Oggi un giovane sa di avere di fronte a sé una carriera lavorativa che lo porterà a cambiare posto di lavoro diverse volte.
Le aziende, da parte loro, devono fare i conti con la concorrenza sleale che viene dall’estremo Oriente: hanno perciò bisogno di grande flessibilità per poter competere con nuove realtà che possono aggredire le nostre imprese sottopagando i propri dipendenti, sfruttando i bambini, ignorando completamente i diritti sindacali. Questo è il nuovo scenario che abbiamo di fronte.
Quanto al rapporto sindacato-Confindustria, direi che varia molto a seconda delle circostanze, delle convenienze e dei punti di riferimento.
A quali esigenze rispondono i concetti di flessibilità e mobilità, spesso accolti con diffidenza da chi nel lavoro cerca certezze e prospettive valide? In fine legislatura si è posto il problema degli esuberi nei settori in crisi: Fiat, in primo luogo, ma anche chimico e tessile. Quale situazione passerà al prossimo governo, qualsiasi esso sia?
Flessibilità e mobilità sono concetti che per forza devono far parte del moderno mercato del lavoro.
Con la legge Biagi abbiamo cercato – riuscendoci – di modernizzare quello che era il più rigido mercato del lavoro a livello europeo. E i risultati si sono visti. Nonostante anni di crescita economica vicino allo zero, siamo riusciti ad aumentare significativamente il numero di posti di lavoro e di ridurre altrettanto significativamente i livelli di disoccupazione, scendendo ben sotto la media europea.
I settori che lei ha citato sono in crisi anche a causa della miopia dell’Unione Europea, che non ha voluto difendere certe realtà industriali particolarmente presenti in Italia, lasciandoli in balia dello tsunami in arrivo da Cina e India.
Il prossimo governo si troverà dunque un numero di disoccupati nettamente inferiore a cinque anni fa, più occupati, ma soprattutto dovrà fare i conti con la concorrenza sleale asiatica, che sta mettendo in crisi interi settori produttivi.
Complessivamente, dal suo osservatorio ministeriale, come vede collocato il “sistema Italia” nella gara con in grandi emergenti, Cina, India, e altri?
Come dicevo, c’è bisogno di agire immediatamente con misure drastiche. Non ho paura a parlare apertamente di dazi e quote.
Quando Prodi era presidente della Commissione Ue, mise oltre sessanta dazi su altrettanti prodotti di importazione. Evidentemente non si è preoccupato di difendere l’economia italiana e chi comanda a Bruxelles continua a preferire altre politiche.
Non dimentichiamo che la patria del liberismo, cioè gli Usa, hanno messo recentemente dazi fortissimi nei confronti dei prodotti cinesi che stavano danneggiando seriamente l’economia statunitense. Non si capisce perché non si voglia fare la stessa cosa a vantaggio delle nostre imprese.
Italia e Unione Europea. Non crede che i problemi italiani, soprattutto quelli del lavoro e della competitività produttiva, possano essere risolti solo in un quadro di più stretta integrazione europea?
Assolutamente sì. Il problema vero è che l’Europa è debole e per una serie di motivi non riesce a garantire.
Bisogna guardare in faccia la realtà e, se è il caso, andare oltre i vincoli imposti da Bruxelles.
In una Italia sempre più strutturata sulle autonomie regionali, come si collocano alcune posizioni recentemente avanzate dalla Lega Nord sul tema della devolution?
La devolution è il motivo fondante della costituzione della Casa delle Libertà.
Noi nel 2001 siamo entrati in questa alleanza perché nel programma c’era scritto che avremmo realizzato la devolution, avremmo cioè intrapreso la via riformista della trasformazione della struttura dello Stato da centralista a federalista.
Pur tra mille difficoltà siamo riusciti a modificare la Costituzione, ora manca solo il passaggio referendario.
Ormai la strada verso il federalismo è tracciata: anche al Sud finalmente si sta muovendo qualche cosa di importante e sono convinto che l’alleanza tra Lega Nord e il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo darà grandi risultati, sia elettorali che politici
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Roberto Maroni
Roberto è nato a Varese il 15 marzo 1955. Avvocato, sposato, due figli, prima di entrare in politica ha diretto l’ufficio legale della sede italiana di una azienda statunitense. Con Umberto Bossi è stato tra i fondatori della Lega Lombarda, ricoprendo la carica di segretario provinciale a Varese.
Nel 1990 viene eletto consigliere comunale a Varese, ed entra nel Consiglio nazionale della Lega. Alle elezioni politiche del 1992 è eletto deputato nella circoscrizione Como-Sondrio-Varese; alla Camera è prima vicepresidente del gruppo parlamentare leghista, e poi capogruppo al posto di Formentoni, eletto sindaco di Milano.
Prima delle elezioni del 1994 conduce una trattativa, poi fallita, con Mario Segni per un cartello elettorale comune, che sarà invece realizzato con Silvio Berlusconi. Nel 1994 è nuovamente eletto alla Camera, ed entra nel governo Berlusconi come vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno. Alla fine del 1994 la Lega esce dalla coalizione di governo, contro il parere di Maroni, che esprime il suo dissenso dalla decisione presa da Bossi. Comunque, alle elezioni del 1996 Maroni è candidato della Lega, e viene eletto nel proporzionale.
Alle elezioni del 13 maggio 2001 Roberto Maroni è eletto nel maggioritario a Varese, e dopo essere stato in predicato come ministro della Giustizia nel secondo governo Berlusconi, assume l’incarico di ministro del Welfare.
FOTO: Roberto Maroni
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