home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:52

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
Gennaio/2006 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Hamas, ha vinto le elezioni e ora le scelte sono difficili
di Leandro Abeille

Se domani si dovessero tenere delle vere libere elezioni in medioriente, vincerebbero i partiti islamici un pò dappertutto. E’ il paradosso dell’esportazione della democrazia.
La religione è politicamente vincente, i sondaggi del Pew research center sono emblematici al riguardo, le persone che ravvisano come “positivo” un ruolo maggiore dell’Islam nella politica sono: il 97% in Giordania ; il 94% in Pakistan 94%; il 93% in Marocco; l’88% in Indonesia; il 54% in Libano e il 39% in Turchia (www.Pewglobal.org, dati del luglio 2005).
Gli attuali partiti e movimenti islamici, si sono formati e sono cresciuti nel tempo, in contrapposizione a regimi dispotici, che facevano del nepotismo, dell’assenza di pluralismo e delle libertà individuali, una cultura politica. Questi regimi, sostenuti, soprattutto al tempo dei due blocchi, dagli Stati Uniti o dall’Unione Sovietica, hanno fatto parte di un gioco politico eterodiretto che gli ha garantito il potere. Nessuno di questi è stato mai democraticamente eletto. Penso al Mubarak del dopo Sadat e del dopo Nasser, penso ai Saud, allo scià Reza Phalavi, ad Assad, allo stesso Saddam, tutti fedelissimi di superpotenze che garantivano loro il comando, assicurandosene al contempo, i favori.
Viene da pensare che la vera guerra per il possesso delle fonti petrolifere, sia stata combattuta tanti anni fa, con il supporto da una parte Occidentale o Sovietica, da governi dispotici e perlopiù incapaci di politiche sociali che non fossero la repressione.
Il 1979, l’anno della cacciata dello Scià di Persia e la presa del potere da parte del religioso Khomeini, è stato un anno emblematico, avrebbe dovuto far pensare gli analisti politici ed invece, è stato considerato un caso isolato, dovuto ad una serie di coincidenze “sfortunate” e difficilmente ripetibili. Nessuno si è chiesto come mai, nonostante fosse stata agita, una feroce repressione da parte di uno stato forte, in possesso dell’esercito più potente del medioriente, dei religiosi siano riusciti in una impresa epocale: la fondazione di uno stato teocratico tramite una rivoluzione popolare ed un regolare referendum.
C’è stato poi l’esempio delle elezioni algerine e della vittoria del Fronte Islamico di Salvezza, bloccate ed annullate da un colpo di Stato militare, ed ora, la vittoria di Hamas, il movimento di resistenza islamica. Ovunque ci siano votazioni, i partiti islamici, se ammessi elezioni, avanzano. La spiegazione non è complessa. La gente ha deciso di affidarsi ai religiosi, perché forniscono delle speranze di una ricostruzione dello stato, secondo logiche redistributive egalitarie e non in base al grado di parentela o amicizia col rais di turno. In contesti dominati dal ristagno economico, dalla puntuale repressione delle libertà fondamentali, non ultima, quella di espressione o di associazionismo politico, e dalla mancanza di welfare, in assenza di alternative al sistema capitalistico, icona occidentale rappresentativa di una cultura odiata, non rimane che la lotta politica diretta dai religiosi. Questi, sostituiscono il linguaggio politico nel linguaggio simbolico mistico-religioso, spostando i luoghi deputati al proselitismo politico, nelle moschee e nelle scuole teologiche, deviando il senso di appartenenza dal nazionalismo, storicamente fallito, alla religione.
Il successo di Hamas, sta tutto nella dicotomia “buon governo religioso-mal governo laico”. Hamas vince dove l’Autorità Nazionale Palestinese, guidata dal al-Fatah partito storico, secolare, incapace e corrotto, fallisce. Hamas vince, perché è in grado di fornire i servizi essenziali alla popolazione che al-Fatah non assicura.
Il movimento conquista i cuori e le menti dei palestinesi, non solo con la propaganda ma anche fornendo una rinnovata fierezza alla gente. Hamas è un orgoglio nazionale per i palestinesi, i suoi militanti sono rispettati, i suoi shaid sono venerati.
Appena Israele ha lasciato la striscia di Gaza, smantellando gli insediamenti e arretrando con l’esercito, Hamas ha gridato ai quattro venti la vittoria contro l’invasore sionista. Niente di più falso. Israele ha deciso unilateralmente di lasciare la striscia, in seguito alla pressione internazionale, alla validità del muro in quanto deterrente per gli attentati terroristici, e all’antieconomicità della protezione armata dei coloni. Hamas, col ritiro Israeliano, non c’entra ma i palestinesi gli riconoscono l’impegno alla lotta, contro quella che definiscono “entità sionista”, poco importa se la storia è un’altra.
Il vero campanello d’allarme della perdita di terreno di al-Fatah c’era già stato anni fa, con la creazione di Fatah-Tanzim, un gruppo che, nelle intenzioni, doveva affrontare gli oppositori interni e l’esercito Israeliano, per dare la sensazione ai palestinesi che non solo Hamas “facesse qualcosa”. Non è servito, e Tanzim si è spento sotto gli echi delle vittorie del movimento di resistenza islamica. Al-Fatah ha perso perché ha governato male, perché non è stato abbastanza vicino ai bisogni dei palestinesi e secondo una parte della popolazione, perché ha rinunciato alla lotta “dura” contro Israele.
Hamas ha invece ridato la speranza alla gente. Negli ospedali c’è Hamas, per i poveri c’è Hamas, nelle scuole c’è Hamas, contro i soprusi degli israeliani o contro quelli dei funzionari dell’ANP corrotti c’è Hamas e, come abbiamo visto, c’è Hamas anche al momento del voto.
Una parte di merito nel successo del movimento, ce l’hanno i governi americano ed europei, poiché, seppure le iniziative di democratizzazione ed impulso pacificatore siano state lodevoli, dare finanziamenti alla cieca, senza avere un minimo controllo sulle spese ed il governo che l’ANP, guidata da al-Fatah, attuava, è stato un errore. Non è uno sbaglio da poco e neanche il primo che i governi occidentali fanno: dare credito a personaggi ambigui, dittatori che pensano molto più alle loro tasche rispetto al benessere dei propri concittadini.
La democrazia vuole che vinca chi ha il maggior numero di voti, qualunque sia il sistema di voto ed Hamas ha vinto. Ora è alla prova di maturità.
Sono inutili le richieste che arrivano da più parti nei confronti del movimento: rinunciare al terrorismo e riconoscere Israele in cima. Il terrorismo e la lotta contro Israele sono state le carte vincenti, che Hamas non può rinnegare, pena la scomparsa politica. Il movimento potrebbe prendere tempo ed intanto governare, ma senza una svolta forte decreterebbe la propria morte.
Il movimento è ad un bivio che ne sancirà la trasformazione, da una parte c’è lo scontro frontale con Israele e l’occidente; dall’altra, l’avvicinamento alla real-politik, sulla scorta di Hezbollah. Hamas ha però una responsabilità in più rispetto ai cugini libanesi, non fa parte del governo, ma è il governo.
Questo vuol dire che, nonostante la costituzione di Hamas sia fortemente improntata alla lotta contro Israele e nonostante sia il cavallo di battaglia del gruppo, potrebbe essere dimenticata in virtù di un’autorevole pragmaticità che il movimento potrebbe scoprire più conveniente.
Ora la posta in gioco è più alta, se prima delle elezioni, un kamikaze si faceva saltare uccidendo dei civili israeliani, veniva considerato un atto terroristico, la reazione internazionale poteva essere una richiesta di condanna da parte dell’ANP e qualche omicidio mirato.
Hamas è attualmente al governo ed è stato democraticamente eletto, agisce in nome di tutti i palestinesi, un attacco terroristico non apparirebbe più tale, ma sarebbe considerato un atto di guerra. La risposta consisterebbe in una sola opzione: il conflitto totale tra Israele e l’ANP.
Gli ultimi fatti ci dimostrano un comportamento altalenante della forza di governo palestinese. A giudicare dall’increscioso episodio delle caricature di Maometto, pubblicate in Danimarca e riprese da vari giornali europei che stanno infiammando la rabbia musulmana anti-occidentale, e in un primo momento non sembravano accendere Hamas che, al contrario di altre fazioni palestinesi, propendeva per una linea moderata e pragmatica da governo “navigato”. Invece, successivamente, si è visto il movimento cavalcare la protesta. Il primo segno di maturità è rimandato. Staremo a vedere: in politica nel bene o nel male, non esistono certezze.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari