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Gennaio/2006 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Ariel Sharon
Lo chiamavano Bulldoze
di Leandro Abeille

Nessuno può sapere come andrà il risveglio dal coma, di sicuro, dal momento in cui è sopraggiunto, il mondo ha perso un leader indiscusso, molto odiato e molto amato: Ariel Sharon, “Arik” per gli amici.
Accusato di crimini di guerra da un tribunale belga, per i noti fatti dei campi profughi di Sabra e Chatila, considerato una persona spietata a causa del famigerato gruppo “101” di cui era il fondatore, è anche un’apprezzato stratega, eroe delle guerre Israelo-palestinesi dal 1948 in poi e un rispettato statista.

Il Falco
Sia dai palestinesi che dai pacifisti israeliani, era, fino a pochi mesi fa, considerato come un “bulldozer in un negozio di cineserie”, colui il quale, “avrebbe ucciso il processo di pace”.
“Un uomo di guerra e d’espansione” - diceva Ziad Abu-Zayyad ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, “l’uomo dei muscoli, odiato, perché nemico della pace”- per Amos Oz famoso saggista Israeliano.
Sharon, nemico giurato dei palestinesi, nel 2000 comportandosi come un normalissimo turista, ha dato lo spunto per provocare la seconda intifada (detta di al Aqsa), facendo una passeggiata di 34 minuti sulla “spianata delle moschee” (o monte del Tempio), luogo santo per la religione ebraica e per quella musulmana.
“Un killer che avrebbe portato più violenza tra palestinesi ed israeliani e che avrebbe fatto fallire i negoziati di pace” - secondo Edward Said, intellettuale palestinese.
“Un gran creatore di caos, confusione, incertezza e paura che vuole proteggere un popolo dietro ad un muro” - per Rami G. Khouri direttore del Daily Star, quotidiano di Beirut.
Sharon è stato il generale che da solo, ha praticamente vinto la guerra dello Yom Kippur nel 1973, ma che ha trascinato, anni dopo, l’esercito israeliano, all’interno del pantano libanese, che ne è uscito quasi vent’anni piu tardi, con le ossa rotte.
Osannato dalla destra israeliana, si autodefinì alla CNN, “un pragmatico, amante della pace, una pace che avrebbe portato sicurezza al popolo d’Israele”..
Sharon il macellaio, Sharon l’assassino, ma anche il generale e mite agricoltore, un uomo che si ama o si odia, con la battutta sempre pronta e dallo spirito gaudente, rinasce sempre dalle proprie ceneri dopo scandali eclatanti ed anni all’ombra del Likud.

Il pacifista
Dopo più di 30 anni di confronto durissimo con gli arabi e contro il terrorismo palestinese, dopo essere stato uno dei maggiori sostenitori degli insediamenti, un paio di anni fa, il falco Sharon è cambiato. Per la prima volta, ha iniziato a parlare di “occupazione disastrosa”, di “due Stati per due popoli” e soprattutto di “sgombero dei coloni ebrei e dell’esercito israeliano da Gaza e dai territori occupati (West bank)”. Scandalo. Tutti quelli che prima lo osannavano, lo accusano di tradimento e tutti quelli che lo definivano nemico della pace, iniziano a proporlo per il nobel. In compenso, quelli che lo indicavano come killer o criminale non cambiano idea, coerenti.
Sharon ha mantenuto per tutta la sua vita, il suo modo di essere, il suo intimo e profondo senso di percezione del mondo, non ha mai nascosto di essere un agricoltore, soldato per necessità e politico per convinzione. Ha applicato alle sue scelte politiche, l'intelligenza del fine stratega e la praticità del fattore. Contraddicendo il pensiero comune, Sharon, dalla destra della contrapposizione dura con i palestinesi, ha spiazzato la sinistra Israeliana, da sinistra, concedendo unilateralmente (il ritiro da Gaza), senza ricevere contropartite né militari, né diplomatiche. Sorprendendo.
L’ apertura ai palestinesi non raffigura un cambio di rotta ma rappresenta l’applicazione di concetti “sharoniani”, all’evoluzione della situazione politico-militare. Se il terrorismo non può essere fermato con le armi o con gli omicidi mirati, deve essere separato, allontanato, estraniato. Non ci saranno mai abbastanza sentinelle o guardie che potranno fermare i kamikaze stragisti, se la gente d’Israele vive immersa nel popolo palestinese, Sharon al contrario dei poco lungimiranti altri leader del suo partito di destra (Likud), lo ha capito, per questo ha fatto arretrare la sua gente dietro ad un muro. Il “muro della vergogna” secondo alcuni, un muro di “salvezza”, stando ai dati che danno gli attentati contro la popolazione civile israeliana, in diminuzione.
Il fine stratega si riconosce dalle scelte fatte: farsi trovare dove non lo si aspetterebbe mai, prendere la decisione inaspettata, meravigliare e stupire. Come quando durante la guerra aveva aggirato l’esercito egiziano, puntando dritto su Il Cairo con i suoi mezzi corazzati o come quando, altrettanto inaspettatamente, ha dato l’ordine di sgombero ai coloni.
Con la stessa determinazione con la quale, da ministro dell’edilizia e delle infrastrutture, aveva costruito gli avamposti dei coloni israeliani, così, da premier, li ha distrutti. Lo stesso Sharon di sempre: il soldato e l’agricoltore.
I coloni, sulla carta, un puntino sionista circondato da palestinesi arrabbiati, in passato avevano rappresentato il primo anello di difesa nei confronti dei “nemici d’Israele”, dopo la costruzione della “cintura di sicurezza”, diventavano un problema. A conti fatti, per la protezione di un colono servivano tre soldati. Troppi. Un buon generale non spreca le proprie risorse umane. Un buon contadino taglia i rami secchi.
Sharon ha fatto entrambe le cose: ha liberato da un compito gravoso (e pericoloso) i soldati e sgomberato i coloni, venendo incontro: alle istanze di pace che provenivano dal fronte interno, dall’Europa e dagli Stati Uniti, nonché, ai desideri dei palestinesi.
Chi nasce falco non muore colomba, Sharon non è cambiato, il mondo invece sì, e allora: non c’è posto per Israele al di fuori del muro; la scelta più saggia è il ritiro.

La Fine?
Sharon per primo ha capito che Israele, i palestinesi, e il mondo, non sono più quelli delle contrapposizioni ideologiche e laiche di qualche anno fa; le alleanze geo-strategiche sono cambiate, la lotta armata non è piu regionale ma trans-nazionale, tutto è globalizzato. Servono idee nuove che permettano un processo dinamico di costruzione della sicurezza e della pace. Per questo, Sharon fonda la sua nuova creatura – Kadima, un partito fatto a sua immagine e somiglianza, ad iniziare dal nome, significa: “Avanti”. Qualche giorno dopo, arriva la malattia, un ictus e Sharon abbandona la vita reale, per un sonno farmacologico. Intanto gli scontenti festeggiano.
I coloni e la destra religiosa ebraica augurano l’uscita di scena al loro condottiero diventato “troppo morbido”, Hamas lo saluta, sperando che “sparisca dalla faccia della terra. E sia lode ad Allah”.
Non passa inosservato che Israele sia un posto più sicuro oggi, come lo è stato in passato, grazie a Sharon, un agricoltore che in caso di bisogno indossava la divisa. Non un santo né un demonio ma un soldato coraggioso ed un nemico feroce.
Nonostante tutto, la pace sembra più vicina. E, mentre, sul futuro di Sharon, come quello di israeliani e palestinesi: Inshallah.

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