L’opera prima di Matteo Bortolotti ha un protagonista
molto originale: un sacerdote che ha lasciato
l’abito, e si scontra con un potere malato
Matteo Bortolotti (Questo è il mio sangue, ed. Colorado noir, 2005, pp. 259 euro 14.00) è un esordiente che, come dice egli stesso, ha avuto la fortuna di frequentare scrittori con molta esperienza come Macchiavelli, Evangelisti, Lucarelli, Vichi, Varesi. Ha saputo fare domande e ascoltarne le risposte con grande umiltà. Quello che era un talento è diventata quindi una promessa per il noir.
Questo è il mio sangue è il suo primo romanzo ed ha per protagonista Walter Maggiorani, ex prete ed ex detenuto. Maggiorani è un personaggio che si scopre man mano che il romanzo prende forma, è un uomo che non riesce a venire a patti con le forme di potere malato. La sua ribellione lo porta, però, a fare i conti con il proprio carattere violento, con la conseguenza di dover cedere al ricatto di un cardinale, che conosce e sfrutta i suoi lati deboli.
Il compito che quest’ultimo dà all’ex prete è quello di fare domande su Mara, una ragazza scomparsa. Smuovere le acque torbide di un ambiente torbido, proprio quello che Maggiorani frequenta. Parallelamente Milan, uno sfruttatore albanese, gli chiede di aiutarlo a trovare l’uomo che ha ridotto in fin di vita una delle prostitute che lui protegge.
L’indagine dell’aggressione e degli omicidi seguenti è affidata al commissario Gattamorta, che l’autore descrive come “un signore distinto sulla sessantina, capelli dumosi e grandi baffi”. Gattamorta trova spesso nella sua strada Maggiorani e il loro è un rapporto contraddittorio. E’ uno scenario di violenza ma anche di redenzione quello che troviamo in questo noir.
Se la casa editrice Colorado noir cerca “lo sguardo nero”, come scrive nel risvolto di copertina, con Matteo Bortolotti l’ha senz’altro trovato.
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“Un albergo come metafora del purgatorio”
Come nasce la tua necessità di scrivere?
La mia è voglia di raccontare storie, di comunicare in senso più ampio. Ho fatto anche radio, ma trovo la scrittura il migliore mezzo di comunicazione. Sono sempre stato un famelico lettore, soprattutto di saggistica perché sono un curioso. Quando Loriano Macchiavelli e Giampiero Rigosi mi hanno detto, dopo avere letto dei miei racconti, che c’era della stoffa, ho capito che lo studio cominciava allora. Così ho iniziato ad osservare, cosciente che, come dice Carvert, “il primo mestiere di uno scrittore è la vita”. Ho anche studiato sceneggiatura.
La passione per la sceneggiatura influisce sulla tua scrittura?
Mi ha insegnato ad organizzare meglio le mie informazioni. Vengo da una generazione televisiva, quindi sono per forza influenzato.
Se la mia è una scrittura cinematografica, lo devo ai modelli letterari che ho scelto per i miei primi lavori. Da un lato chi il cinema l’ha ispirato, gli scrittori hard boiled come Hammet e Chandler, e chi il noir contemporaneo l’ha riscritto come Manchette, Raynal, Malet e Izzo, anche se questo ultimo è meno cinematografico. Io ho scelto uno stile immediato.
Nel risvolto di copertina ci sono delle informazioni sulla vita di Maggiorani che sarebbe opportuno si scoprissero con la lettura del romanzo. Perché questa scelta?
Queste sono scelte della casa editrice, che ha evidentemente ritenuto opportuno che il lettore avesse maggiori informazioni prima di leggere il romanzo.
Perché hai scelto come protagonista un prete? E’ una maniera per parlare della Chiesa?
Fondamentalmente è due cose. Innanzitutto una mia necessità narrativa perchè volevo un personaggio che fosse al confine, che non si limitasse solo a un confine sociale, ma anche spirituale. Volevo un personaggio perso in un limbo. Se c’è un purgatorio me lo sono immaginato come l’hotel Saragan, quindi un albergo, un posto di passaggio, un ambiente perso nel grigio della prima periferia. Il secondo motivo è che mi dava la possibilità di inventare una Chiesa, quella che ogni giorno fa le sue mosse nello scacchiere politico italiano. E’ una Chiesa inventata che per certi versi si rispecchia con quella reale. Il potere temporale della Chiesa è molto forte.
La tua storia è una metafora?
E’ innanzitutto una storia credibile, ma anche una metafora. E’ una scusa per parlare senza troppi timori. Parlo anche della Chiesa come Stato in senso stretto. Poi io mi sono divertito ad immaginare una Chiesa corrotta, ma questa è finzione.
Che personaggio è il commissario Gattamorta?
E’ il riassunto di tutti i commissari della letteratura. Burbero come Sarti Antonio, laconico come Soneri, ha i baffi come Maigret. Gattamorta è un investigatore tradizionale ma è anche molto vero. E’ un poliziotto sindacalista, preoccupato della politica italiana, inquieto per la figlia che ha dovuto andare a fare il dottorato in Olanda perché in Italia non ci sono fondi per la ricerca. Gattamorta ama fare il poliziotto ma è critico nei confronti della Polizia, perchè sa che deve cambiare.
Il commissario si trova a confrontarsi con Maggiorani, anche se lo chiama assassino. Sono uno il proseguimento dell’altro.
(Intervista a cura di Simona Mammano)
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