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Gennaio/2006 - Articoli e Inchieste
Aids
La nuove vittime del virus
di Marco Cannavicci - Psichiatra-Criminologo

L’identikit dei soggetti a rischio
non è più quello messo
a fuoco negli anni ’80: la percentuale
maggiore è rappresentata
da eterosessuali bene integrati
nella società, ma “negligenti”


Il primo dicembre 2005 si è svolta, a livello internazionale, la giornata mondiale della lotta all’Aids e sono state diffuse, da parte dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, delle nuove statistiche epidemiologiche sulla diffusione del fenomeno infettivo in Italia. Per molti osservatori ed addetti ai lavori i dati diffusi sono stati una sorpresa in quanto hanno evidenziato, per la prima volta, che la diffusione del virus non è più ristretta nell’ambito delle cosiddette persone a rischio, come ad esempio i tossicodipendenti, gli omosessuali e le prostitute, bensì si è allargata a quella popolazione cosiddetta “normale” che mai avrebbe, in passato, pensato di essere esposta al rischio del contagio. È emersa quindi una nuova categoria a rischio, definibile come quella degli “eterosessuali borghesi”, che vivono nelle aree più ricche del Paese.
Le statistiche diffuse dal reparto di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma riportano che nei primi sei mesi del 2005 la percentuale maggiore dei colpiti dal virus dell’Aids, il 40% circa, è rappresentata dagli eterosessuali, contro il 32% dei tossicodipendenti ed il 19% degli omosessuali. La regione più colpita risulta essere la Lombardia (6,3%), seguita dall’Emilia Romagna (4%), dall’Umbria (3,2%), dal Lazio e dalla Liguria (entrambe al 3,1%).
Questi dati evidenziano che l’identikit della vittima privilegiata dal virus non è più quella messa a fuoco negli anni ’80, rappresentata dalle classiche categorie a rischio, bensì da una nuova classe sociale, rappresentata da persone ben integrate nella società ed apparentemente con adeguata informate sui rischi dell’Aids, ma che poi si infettano per disattenzione e negligenza nella gestione dei rapporti sessuali promiscui. Il totale annuo registrato dalle statistiche arriva ad oltre 4 mila persone, circa 12 casi al giorno.
La disattenzione e la negligenza comportamentale che si trova alla base della nuova diffusione del virus dell’Aids riguarda le attività sessuali non protette che vengono svolte con partner occasionali, non necessariamente con delle prostitute, e che vengono contattate ed avvicinate in molti modi, comprese le sterminate risorse di internet. Alcune di queste insospettabili persone hanno confessato ai medici di aver praticato sesso non protetto durante dei viaggi nel Sud-Est del mondo, approfittando della facile disponibilità sessuale dei minori e delle cosiddette hostess “accompagnatrici”.
La dinamica del contagio del virus che quindi si sta osservando in Italia e che comprende soggetti eterosessuali considerati non a rischio, risulta essere la seguente:
- l’uomo si contagia attraverso delle attività sessuali non protette con persone occasionalmente conosciute, sia in Italia che nel mondo
- successivamente l’uomo torna a casa ed inconsapevolmente contagia la moglie
- la coppia per molto tempo non sa di essere sieropositiva e lo scopre incidentalmente nel corso di altre analisi o interventi di tipo medico o chirurgico.
Le statistiche confermano la diffusione di questa modalità di contagio in quanto ben oltre il 40% delle donne italiane sieropositive riceve il virus dal partner abituale con cui fa coppia, ignorandone la sieropositività. Il lato drammatico di questa modalità è che, ignorando per anni la sieropositività, sia l’uomo che la donna non effettuano le necessarie terapie farmacologiche e quando si manifesta l’infezione è già allo stato pre-conclamato di Aids, non più trattabile con farmaci ed ormai prossimo all’esito finale della malattia.
Ci sono anche dei risvolti sociali e che riguardano il cospicuo numero di famiglie che si stanno sciogliendo per questo problema, poiché la sieropositività fa emergere nella coppia la triste realtà del tradimento e viene quindi a mancare quella solidarietà affettiva, sociale e relazionale che invece hanno ottenuto in passato sia i tossicodipendenti che gli omosessuali. Il nuovo malato sperimenta la solitudine affettiva, l’isolamento sociale, il peso dell’assunzione quotidiana dei farmaci e tutto questo non contribuisce certo al buon andamento nel tempo del trattamento farmacologico. Il peso psicologico da affrontare è quindi enorme rispetto alla leggerezza comportamentale che è stata banalmente commessa. Non si accetta e non si dichiara la reale modalità del contagio e si invocano altre fonti infettive, come il contatto con il sangue di feriti soccorsi durante degli incidenti stradali, i tatuaggi effettuati in vacanza oppure i ferri non sterili del dentista.
Ciascuno, a modo suo, cerca una via d’uscita per salvare la faccia sia rispetto a se stesso e sia rispetto al rapporto di coppia. Nella coppia infatti subentrano delle insanabili difficoltà di legame, poiché si è verificato che se entrambi sono sieropositivi la donna abbandona l’uomo per recriminazione, mentre se è solo l’uomo ad essere sieropositivo la donna lo abbandona per punizione e per lo svelato tradimento.
La nuova classe sociale colpita dal virus dell’AIDS ha bisogno quindi di cure non solo farmacologiche, ma anche di sostegno e counselling psicologico, molto più di quanto sia stato effettuato con le classiche categorie a rischio. La necessità del sostegno psicologico diviene determinante per l’adesione del colpito dal virus alla terapia farmacologica, che deve essere effettuata per diversi anni e che prevede una cospicua assunzione di vari farmaci. L’adesione al trattamento infatti viene a mancare quando il soggetto, vittima dei propri sensi di colpa e dalla disapprovazione familiare, percorre la strada del lasciarsi andare ad un lento deperimento, quasi come un lento suicidio, per espiare la colpa commessa. Le osservazioni in atto, effettuate presso i dipartimenti di malattie infettive degli ospedali maggiori, riportano che l’elaborazione e l’accettazione della sieropositività in questi soggetti richiede non meno di 18 mesi di sostegno psicologico ininterrotto.
In più c’è da acquisire la convivenza con una nuova diversità, mai sperimentata prima, riguardante lo stigma sociale della sieropositività rappresentato dall’emarginazione relazionale, che complica l’accettazione della malattia e che invece veniva ben assorbita dalle precedenti categorie a rischio, come ad esempio gli omosessuali, che erano già abituati a convivere con una diversità.
Di fronte a queste difficoltà molti dei nuovi sieropositivi scelgono la copertura delle nuove normative sulla privacy e negano tutto a tutti, facendo finta di niente e continuando la vita più o meno come prima, almeno finchè lo stato fisico lo consente. Cercano ed ottengono quindi quell’invisibilità che rende ancora più oscura ed impenetrabile la comprensione del nuovo fenomeno, come ad esempio la suddivisione del fenomeno per professione e status economico.
Alcuni dati sono disponibili, come ad esempio la suddivisione del contagio per fascia d’età, e sono molto significativi in quanto è osservabile come negli ultimi 15 anni la prevalenza si sia spostata dalle femmine di 25-29 anni ai maschi di 40-49 anni.
Nel 1990 la fascia d’età compresa tra i 40 ed i 49 anni era colpita al 10% circa, mentre nel 2005 la percentuale è salita al 41%. Anche tra gli over 60 l’incidenza della sieropositività è aumentata: nel 1990 rappresentavano l’1,4% degli infetti, mentre oggi sono saliti al 7,3%. Si tratta di persone mature, con maggiori possibilità economiche e che vogliono concedersi molti piaceri, fra cui quelli legati al sesso.
Ed in queste fasce si trovano sieropositivi che sono direttori di banca, imprenditori, militari, professori, … uomini che preferiscono rimanere mimetizzati e si curano in regioni diverse rispetto alla loro abituale residenza e non chiedono nemmeno l’esenzione del ticket, pur di farlo sapere il meno possibile. I nuovi sieropositivi affermano che la medicina ha effettuato una significativa evoluzione nel campo delle malattie infettive, mentre la società no.
In ogni caso il virus dell’Aids tra i silenzi e le disattenzioni continua a farsi strada e diffondersi in nuovi tessuti sociali.
Questi eventi modificano certamente il pregiudizio, che si è venuto ad affermare negli ultimi anni, che il virus dell’Aids sia sotto controllo, non sia più considerato mortale e che quindi il pericolo che rappresenta sia considerato trascurabile. I dati diffusi recentemente dimostrano in realtà che il virus non è sotto controllo, è più mortale che mai e che è proprio la trascuratezza che ne sta ravvivando la diffusione e la circolazione in nuovi ambienti ed in nuovi soggetti. Secondo gli esperti una via d’uscita facile o immediatamente percorribile, rispetto al problema in atto, non c’è. Sarebbe in ogni caso necessario intraprendere una nuova campagna informativa centrata soprattutto all’uso del preservativo ed all’adozione di tutte le dovute attenzioni e precauzioni rispetto al sesso non protetto.

marco.cannavicci@email.it
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La prostituzione

Secondo gli esperti dell’AIDS del Ministero della Salute è la prostituzione la principale fonte di contagio dell’Aids in Italia in quanto gli italiani non amano indossare il preservativo durante i loro incontri con prostitute e transessuali. E per indurre la prostituta a cedere a questa loro richiesta premono sul fattore economico, offrendo soldi, tanti soldi, in cambio di sesso libero e non protetto.
Di fronte all’offerta di più denaro rispetto a quanto richiesto, le prostitute, soprattutto se straniere, di norma disperate ragazze dell’Est o sudamericane che devono riscattare i passaporti dai loro protettori, non discutono ed accettano qualsiasi richiesta. In letteratura non è ancora stato studiato, a livello psicologico, il perché gli uomini italiani rifiutino il preservativo. Ad uno studio del genere sicuramente non mancherebbero delle sorprese.

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