Promosso dal Garante regionale per
i diritti dei detenuti e dell’associazione
Isonomia, si è svolto un ampio dibattito
sui problemi degli istituti di pena
nella Regione. Le proposte
per un cambiamento radicale
Alla fine di ottobre, secondo il Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria, i detenuti nelle carceri del Lazio erano 5.892. Alla stessa data, per il Centro servizi sociali per adulti di Roma, 5.425 persone sono sottoposte a misure alternative alla detenzione. In totale, nel Lazio sono 11.317 le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.
Questi e altri dati sono stati diffusi al convegno “Le nuove frontiere dell’ordinamento penitenziario” organizzato a Roma dal Garante regionale dei Diritti dei detenuti Angiolo Marroni e dall’associazione Isonomia.
Al convegno hanno partecipato, fra gli altri, il presidente del Csm Virginio Rognoni, il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino e il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Con loro parlamentari, magistrati, educatori, rappresentanti della Polizia Penitenziaria, dei detenuti e del mondo del volontariato.
Ancora qualche dato: nelle 14 carceri laziali (più il minorile di Casal del Marmo) sono reclusi 5.429 uomini e 463 donne. Il 30% di loro sono stranieri. Roma ne ospita più della metà (3.332), i restanti sono distribuiti negli altri istituti del Lazio: Cassino (246); Civitavecchia (575); Civitavecchia Casa di Reclusione (46); Latina (166); Paliano (55); Velletri (364); Viterbo (634); Frosinone (444); Rieti (43). Il carcere più affollato è Rebibbia Nuovo Complesso con 1.411 detenuti. I detenuti in attesa di giudizio sono 1.122, i definitivi 3.734. I restanti sono appellanti, ricorrenti o internati. Dei 5.425 detenuti in misure alternative alla detenzione del Cssa di Roma, 2.219 sono casi nuovi censiti dall’inizio dell’anno. I problemi dei reclusi sono tanti: sproporzione tra numero dei detenuti e strutture trattamentali, rieducative e riabilitative, carenza di personale, violazione del diritto alla salute. Tutte problematiche figlie del sovraffollamento. In cella si è costretti a condividere riti religiosi, esigenze igieniche, ad accettare il compagno che vuole la radio invece della tv. I reclusi hanno un grande spirito di solidarietà e di complicità che li porta ad accettare il disagio.
I lavori del Convegno erano divisi in tre sessioni: Realtà carceraria oggi - esecuzione della pena e trattamento penitenziario; Sistema sanitario penitenziario e della formazione e professionalità degli operatori penitenziari e Proposte di cambiamento per un nuovo ordinamento penitenziario.
Ai lavori del convegno, coordinati dal presidente del Consiglio regionale Massimo Pineschi, hanno partecipato il deputato Anna Finocchiaro, Liliana Ferraro, magistrato ed assessore alle Politiche Sicurezza del Comune di Roma, il vicecapo del Dap Emilio Di Somma, il direttore Detenuti e trattamento del Dap Sebastiano Ardita, i direttori di Rebibbia Nuovo Complesso e Rebibbia Femminile Carmelo Cantone e Lucia Zainaghi, gli assessori regionali Brachetti, Battaglia, Nieri e Costa, Leda Colombini, presidente del Forum nazionale della Sanità penitenziaria, Giulio Starnini, presidente della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, Mario Almerighi, presidente Associazione nazionale avvocati e magistrati Isonomia.
“A 20 anni dalla legge Gozzini - ha detto Marroni nel suo intervento - noi dobbiamo cercare di rovesciare la situazione trasformando, ove possibile, i benefici in reali diritti. Il detenuto perde la libertà, ma la sua condizione non comporta la perdita dei diritti e della dignità. Secondo la Costituzione, la pena deve avere una funzione punitiva e rieducativa, improntata al senso di umanità. A questo proposito siamo allarmati per l’approvazione, da parte di un ramo del Parlamento, della legge ex Cirielli. Se dovesse essere licenziata in via definitiva la legge consentirebbe un aumento drammatico del numero dei reclusi nelle carceri con conseguenze facilmente prevedibili. Nella detenzione sono fondamentali il lavoro e la cultura che devono essere tutelati, incrementati e protetti. E’ questo uno dei compiti fondamentali del legislatore che può essere riassunto in una semplice frase: avvicinare il più possibile il giusto al bene”.
D’altra parte, ha proseguito Marroni nel suo intervento, “contrariamente a quanto potrebbe pensarsi, la soluzione al problema non può essere individuata nella semplice edilizia penitenziaria, in quanto costruendo nuovi istituti di pena si sposterebbe semplicemente il problema in avanti di qualche anno. Inoltre, anche le poche e timide proposte in tal senso effettuate nella Regione sono tramontate senza alcun risultato apprezzabile (basti pensare alla mancata realizzazione di un nuovo carcere a Rieti). Al contrario occorre dare nuovo impulso al fenomeno della depenalizzazione e a quello del ricorso alle misure alternative alla detenzione. Il percorso di depenalizzazione operato dalla legge 689/1981 è infatti ancora insufficiente e sarebbe assolutamente necessario procedere ad un’ulteriore riduzione delle fattispecie incriminatrici, così da limitare il ricorso alla sanzione penale ai soli casi più gravi e meritevoli di un intervento di tipo carcerario.
Al riguardo - ha proseguito Marroni - sarebbe opportuno estendere il ricorso ad una serie di strumenti già previsti nel nostro ordinamento, in particolare nell’ordinamento minorile e in quello delle sanzioni irrogate dal giudice di pace. In quest’ultimo caso, in particolare, la legge 274/2000 agli articoli 52 e seguenti, ha previsto che il giudice di pace possa comminare la sanzione della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità. La prima comporta che il condannato debba restare presso la propria dimora per alcuni giorni la settimana (solitamente sabato e domenica), in sostituzione della pena detentiva.
Per il lavoro di pubblica utilità, fermo ovviamente restando il presupposto della volontarietà per l’accesso a tale forma alternativa, il condannato può espiare la sua pena eseguendo lavori socialmente utili presso Stato, Regioni, Province, Comuni o enti e associazioni appositamente autorizzati. Altre forme alternative alla detenzione sono previste dall’art. 6 legge 401/1989 in materia di violenza negli stadi. Sarebbe quindi opportuno estendere i casi di applicazione di misure diverse dalla detenzione (oggi purtroppo applicabili solo in casi limitati), maggiormente aderenti al tipo di delitto compiuto e quindi più idonee a favorire un processo di rieducazione dei condannati e, allo stesso tempo, in grado di ridurre il sovraffollamento dei nostri itituti penitenziari.
Accanto a questo appare decisivo incrementare il ricorso al sistema delle misure alternative alla detenzione, applicabili in sede di esecuzione della pena tradizionale.
Per quanto riguarda invece il fenomeno dell’edilizia penitenziaria l’unico vero intervento dovrebbe essere diretto all’ammodernamento delle attuali strutture, così da renderle il più possibile adeguate alle esigenze trattamentali proprie dell’attuale ordinamento penitenziario. Il sovraffollamento delle strutture, accanto alla vetustà delle stesse, infatti, rende sempre più difficile agli operatori porre in essere quei trattamenti che sarebbero necessari per rendere efficace il processo rieducativo. A tal proposito - ha sottolineato il Garante - è bene ricordare che gli articoli 5 e 6 dell’Ordinamento penitenziario stabiliscono che gli istituti devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati e che siano forniti di locali per lo svolgimento di attività in comune. Inoltre, in linea di principio e salvo particolari situazioni, a ciascun detenuto dovrebbe essere riservata una stanza singola per il pernottamento (art. 6, comma 4). Sarebbe dunque opportuno cercare di rendere effettive queste disposizioni normative, a tutt’oggi ridotte a mere petizioni di principio”.
Nel suo intervento di saluto, il presidente della Regione Piero Marrazzo, ha detto fra l’altro: “Vorrei cercare di mettere a fuoco i problemi delle garanzie dei detenuti e degli operatori e soprattutto di cosa può fare l’ente locale per problemi di questo genere perché uno dei grandi problemi di questi nostri tempi è il non saper legare l’attività politico-istituzionale con i valori fondanti di una comunità. In questo campo ci sono diversi valori negativi. Il primo disvalore è quello della esclusione dai diritti di una parte di persone, i detenuti, che invece devono averne. All’esclusione bisogna rispondere con l’inclusione che è legato al dovere della tutela come linea ispiratrice. Un altro valore è quello della sussidiarietà come valore di pratica quotidiana e costante nei confronti di chi svolge una attività sociale. Una sussidiarietà che deve essere personale e collettiva”.
Dopo aver ricordato l’esempio di Sandro Pertini e Antonio Caponnetto, Marrazzo ha parlato di informazione e formazione. “Non è possibile che una società si dimentichi chi vive fianco a fianco con altri uomini e altre donne nel carcere. Una vera società deve ricordare i problemi con i quali ci si confronta”.
Sulla sanità negli istituti Marrazzo ha invitato a riflettere se non sia giunto il momento che l’Amministrazione regionale della Sanità debba occuparsi, anche attraverso una apposita azione presso il Ministero, di gestire in maniera più diretta il diritto alla salute dei detenuti. “Se tutti i cittadini vedono garantito il diritto alla sanità, perché questo non deve avvenire nelle carceri? Il problema è vedere se esiste o meno una differenza tra cittadini e se ci sono cittadini diversi dagli altri rinchiusi nelle enclave”.
Virginio Rognoni, vicepresidente del Csm, ha sottolineato che in Italia “la popolazione carceraria si trova in una situazione di grande sofferenza, questo è certo. Vorrei ricordare che alcuni provvedimenti all’esame del Parlamento, mi riferisco alla ex Cirielli, possono essere visti sotto diversi punti di vista, anche da quello dell’ordinamento penitenziario. Si sono levate molte voci sulle conseguenze che questa legge potrebbe avere sulla popolazione carceraria soprattutto nella parte della norma passata un po’ sotto silenzio, oscurata da un’altra parte. La nuova disciplina della recidiva, ad esempio, può portare problemi seri che non possono essere liquidati con superficialità. Perciò occorre essere attenti e impegnarci. Occorre dar luogo a momenti di attenzione capaci di non rendere opachi problemi che sono invece reali”.
Emilio Di Somma, vicecapo del Dap del ministero della Giustizia, ha sottolineato il ruolo del magistrato di sorveglianza che svolge un buon lavoro. “L’Amministrazione centrale, ha detto Di Somma, deve trovare - fra le altre cose - il modo di risolvere i problemi all’interno degli istituti. Fino ad oggi il concetto “carcere della speranza” ha funzionato più che bene; ma si deve evitare, secondo Di Somma, che si trasformi nell’immediato in ‘carcere della delusione’”.
Il segretario generale di Isonomia, Luigi Longo ha messo in risalto come, a trent’anni dalla legge penitenziaria, le strutture di detenzione sono oggi del tutto inadeguate, tanto che i principi più elementari di rispetto e dignità vengono negati. In sostanza occorre che la pena da scontare sia più giusta e più adeguata, senza che ad essa si aggiungano altre sofferenze. La legge cosiddetta “Cirielli” - secondo Longo - creerà negli istituti una diversità ingiustificabile e ingiustificata; tra l’altro, per la cosiddetta recidiva, poi, sarà protratta la carcerazione preventiva. In sostanza, secondo Longo, il problema della popolazione detenuta è stato sempre considerato un “caso fastidioso”. D’altra parte, il segretario generale di Isonomia, ha tenuto a evidenziare come oggi la pena non è uguale per tutti: chi è più forte (economicamente o politicamente) riesce ad ottenere un trattamento migliore, con riduzione sensibile della pena detentiva.
Carmelo Cantone, direttore del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, ha preso la parola per ricordare che, per molti operatori penitenziari, è condizione comune trovarsi di fronte a due correnti di pensiero: quella che postula la cosiddetta “tolleranza zero” e quella degli “abolizionisti” della pena. Il carcere - secondo Cantone - è fonte di problemi, problemi e ancora problemi. Occorrerebbe indubbiamente una diversa disciplina e, quindi, un intervento legislativo, anche se l’Ordinamento del 1975 è, nella sua sostanza, ancora valido. Un aspetto importante - secondo il direttore di Rebibbia - è rappresentato dal lavoro all’interno degli istituti; una materia, questa, che deve essere riveduta alla luce delle nuove concezioni e ai nuovi principi. In sostanza, secondo Cantone, il carcere può e deve essere considerato come un “soggeto che scambia servizi” nei confronti della collettività, del mondo cosiddetto esterno.
Fra gli altri interventi era previsto anche quello di un detenuto (Cosimo Rega) a cui però il Dap non ha concesso l’autorizzazione, dal momento che Rega è sottoposto a regime di “alta sicurezza”; il suo scritto (a cui hanno contribuito altri ristretti) è stato letto dal signor Cavalli.
Nella stessa giornata si sono avuti, inoltre, gli interventi di Rosella Giangrazi (Cgil, Cisl, Uil Lazio); Regino Brachetti (assessore alla Sicurezza Regione Lazio); Donato Capece (segretario generale Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria); Luigia Culla (direttrice Istituto superiore studi penitenziari); Enrico Buemi (deputato, presidente Comitato carceri); Alessandro Margara (magistrato) e Giuseppe Valentino (sottosegretario ministero Giustizia).
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A 85 anni di età - affetto da morbo di Parkinson, problemi cardiaci e altre patologie - è rinchiuso nel carcere di Regina Coeli per scontare una pena di otto mesi di reclusione per false generalità e porto abusivo di oggetto ad offendere. Protagonista della paradossale vicenda, segnalata dal Garante regionale del Lazio per i diritti dei detenuti Angiolo Marroni, un uomo, l’85enne O. S.
A Regina Coeli l’uomo (che a quanto risulta ha passato gran parte della sua vita a Roma e in giro per l’Italia vivendo anche dei piccoli reati commessi) è stato ospitato nel Centro clinico dopo essere stato anche ricoverato, per due giorni, all’ospedale Santo Spirito a causa di una colica renale. Arrestato alla stazione Centrale di Firenze, è stato per qualche tempo nel carcere di Sollicciano ed è stato poi trasferito a Roma a causa della sua età e delle sue patologie: Parkinson, problemi cardiaci, ernia iatale, pregressa Tbc, arteriopatia e flebopatia agli arti inferiori.
“Per O. S. - ha dichiarato il Garante - all’interno del carcere è scattata una vera e propria gara di solidarietà nel senso che i detenuti del suo reparto lo vestono, lo accudiscono, gli fanno il letto e agenti di Polizia Penitenziaria ed infermieri non lo perdono mai di vista”.
“E’ vero che sarebbe auspicabile che la sanità penitenziaria passasse definitivamente sotto la giurisdizione delle Asl ma per paradosso, visto quanto accaduto al detenuto di Regina Coeli, forse sarebbe stato meglio che si fossero investite più risorse per potenziare i servizi sanitari in carcere”. E’ quanto afferma il Garante commentando la morte per meningite all’ospedale Santo Spirito di Roma, di un detenuto di 51 anni ristretto nel carcere di Regina Coeli. In questo caso i medici del carcere avevano fatto la loro parte chiedendo il ricovero del detenuto.
“L’ospedale invece non si era accorto del male che aveva colpito quest’uomo - ha detto Marroni - e lo ha rimandato in carcere con la raccomandazione di effettuare esami cardiologici. Ma dopo un altro aggravamento delle condizioni il detenuto è stato rimandato al Santo Spirito, a quel punto non c’è stato più nulla da fare. Non abbiamo voglia di condannare nessuno ma sarà la magistratura ad accertare eventuali responsabilità. Ciò che posso auspicare è che, in attesa di una parola definitiva su chi debba occuparsi della salute dei detenuti, sanità penitenziaria ed Asl collaborino fra loro ponendo fine a sordità e incomprensioni reciproche”.
NELLA FOTO: al tavolo della presidenza, da sinistra: Angiolo Marroni, Piero Marrazzo, Massimo Pineschi e Mario Almerighi
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