Parlando di lei – proprio perché è lei, e non è più qui a correggerci – si sente l’obbligo di evitare qualsiasi sfumatura retorica, ma, misurando le parole, ci sembra giusto affermare semplicemente che Carla Voltolina, morta a Roma il 6 dicembre 2005, è stata una donna che ha fatto onore al suo Paese. E non perché – o non solo perché – il suo secondo nome, da lei usato solo dopo la scomparsa del marito, era Carla Pertini.
Quando, nel 1944 a Milano, il dirigente socialista reduce da carcere, esilio, nuovo arresto, condanna a morte ed evasione, lui ha 48 anni e lei 23, ma la ragazza Carla ha già sulle spalle una discreta esperienza di lotta.
E’ nata a Torino, dove vive con i genitori (il padre è ufficiale), una classica famiglia borghese: studia, ed eccelle nello sport, in particolare nel nuoto. Una vita tranquilla, alla quale gli eventi, e un carattere che la spinge a scelte precise, anche se rischiose, daranno una svolta netta. Dopo il 25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, Carla prende contatto con il movimento socialista, e dopo l’8 settembre, mentre l’Italia cade sotto l’occupazione nazista, viene mandata a Roma, dove il comando delle formazioni partigiane socialiste sta organizzando i lanci di armi e munizioni da parte degli alleati. Passano i mesi, e nel marzo del ’44 Carla Voltolina va in missione nell’Appennino marchigiano, a Visso, che nell’inverno è stata una delle prime “repubbliche partigiane”. Ora, all’inizio della primavera, i tedeschi, che considerano quel tratto dell’Appennino di vitale importanza per i loro rifornimenti al fronte meridionale, e operano periodicamente interventi militari, accompagnati dalle SS che, con arresti e sbrigative esecuzioni, cercano di spezzare i collegamenti della Resistenza. In questa zona, ovviamente pericolosa, Carla deve prendere contatto con il comando della Brigata “Spartaco”. La Brigata è una “Garibaldi”, quindi comunista, ma l’Office Special Services (l’Oss, che poi diverrà la Cia, e sarà tutta un’altra cosa) non fa tante distinzioni, e preferirebbe unificare i lanci, che sono sempre rischiosi, per chi li effettua e per chi li riceve. Il santuario di Macereto, in un pianoro isolato tra i monti, rappresenta una buona pista, anche se i tedeschi la conoscono e vi hanno già fatto un’incursione uccidendo tre paracadutisti alleati. I partigiani si spostano di continuo sui monti circostanti, e Carla, fra un incontro e l’altro, fa base a Visso, all’albergo Montebove, dove si ferma alcuni giorni: probabilmente troppi, perché, va detto, Carla è una ragazza che si fa notare, molto: bellissima, alta, con una sfolgorante corona di capelli ramati, di “clandestino” non ha nulla. E i tedeschi tengono d’occhio Visso e i suoi dintorni, con agenti travestiti da prigionieri alleati evasi, e qualche spia.
“Meglio che torni a Roma, o vieni su in montagna”, le fa sapere il comando partigiano. Ma le SS arrivano prima, e la portano via. Per fortuna non ha armi, né carte compromettenti: si finge malata, e con l’aiuto di un medico riesce a fuggire. Da Roma, dove è di nuovo attiva, è trasferita al Nord, a Milano, e qui incontra per la prima volta Sandro Pertini. Ancora la Resistenza, e finalmente la Liberazione. Il 6 giugno 1946 Carla e Pertini si sposano. Comincia una nuova fase.
Da partigiana, decorata con la Croce di Guerra, Carla Voltolina diventa giornalista, nella redazione de “Il Lavoro” di Genova, e poi di “Noi Donne”, settimanale dell’Udi, firmando Carla Barberis, il cognome della madre. Sandro Pertini è segretario del Psi, ma lei resta una semplice militante. Sempre combattiva, perché la grinta non l’abbandonerà mai. Con Lisa Merlin pubblica Lettere dalle case chiuse, un libro-inchiesta in appoggio all’abolizione dei postriboli di Stato. Si laurea due volte, in Scienze politiche e in Psicologia, e intraprende una carriera di psicoterapeuta nei centri clinici e nei servizi sociali a Roma e a Firenze.
Con il famoso marito, un matrimonio più che unito, stessa fede politica, ma strade professionali separate. Nel 1978, Sandro Pertini è eletto Presidente della Repubblica, e lei precisa subito che al Quirinale non metterà mai piede: “Sono felice che Sandro sia Presidente, ma io non voglio apparire”. E durante tutto il settennato, i due si ritroveranno la sera nel piccolo attico che hanno preso in affitto in via della Datarìa, ai piedi del palazzo presidenziale.
Dalla morte del marito, nel 1990, Carla Voltolina diventa, finalmente, Carla Pertini: per mantenere vivi la sua memoria e il suo esempio di antifascista, di socialista, di irriducibile democratico. Si occupa della Fondazione Pertini, a Firenze, e del Museo Pertini, a Savona, che raccoglie tutte le opere che il Presidente ha ricevuto in regalo da artisti famosi. Quando il suo partito viene colpito da Tangentopoli, dichiara: “Sto dalla parte dei giudici. I ladri vanno puniti”. Lo scorso 25 aprile, Carlo Azeglio Ciampi la invita accanto a sé in piazza del Duomo, e la saluta “a nome di tutti gli italiani”. Un mese prima aveva aderito a un appello contro le modifiche alla Costituzione, “da contrastare, se necessario, con lo strumento referendario”.
Due settimane prima della morte, era andata a Torino per consegnare al Museo dell’Automobile la vecchia 500 rossa (anno 1962), l’unica auto posseduta dai coniugi Pertini. Aveva voluto fare quel viaggio nonostante il grande freddo e la neve.
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