Viviamo una stagione di attacco alla Costituzione nata dalla Resistenza, al sistema dei diritti, alle regole della cittadinanza, all’assetto democratico dello Stato e, in questo contesto, alle libertà individuali, all’autonomia della magistratura.
È in crisi il valore dell’uguaglianza, in un contesto in cui una parte dei ceti medi si avvia verso la povertà, un terzo della popolazione è fatto di poveri e un terzo di ricchi sempre più ricchi.
Il punto di crisi più acuta del nesso tra uguaglianza, diritti, giustizia sta nella normativa sull’immigrazione, vera e propria cartina di tornasole dell’idea di sicurezza di questo governo, e non solo di questo governo. In una società diseguale la risposta ai problemi sociali e al disagio diffuso diventa sempre più il carcere.
Tra i 54.237 detenuti presenti a fine 2003, il 31,35% erano cittadini extracomunitari, il 26,74% tossicodipendenti; il 15,6% erano detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti, il 30% per reati contro il patrimonio, il 14,7% per delitti contro la persona e solo il 2,6% per associazione di stampo mafioso.
Il ruolo della giustizia penale come strumento prevalente di controllo repressivo della marginalità sociale si è ulteriormente acuito.
Il falso in bilancio è punito assai meno della inottemperanza, da parte dello straniero, all’ordine del questore di abbandonare il territorio nazionale.
Ci sono poi le leggi ad personam, c’è la legge Cirielli che riempirà le carceri di “recidivi” anche per due condanne per delitti non colposi.
Di fronte a questa ‘tolleranza zero’, a questa idea depressiva di sicurezza c’è una sorta di ‘politica debole’ contro la criminalità organizzata (il caso Calabria insegna), che è entrata nei gangli del potere legale, economico, finanziario, politico di questo Paese, e la cui lotta non può essere delegata solo al potere giudiziario e alle Forze dell’ordine.
In questo senso anche le recenti misure Pisanu antiterrorismo, inefficaci con i terroristi, si rivelano strumenti di repressione che non distinguono tra terrorismo e comportamenti violenti, tra questi e atti di dissenso, tra gesti e parole, in una vera e propria tendenza a criminalizzare il dissenso e a reprimere quei fenomeni di rivolta sociale (occupazione di case sfitte, di spazi pubblici, proteste contro il caro vita) che solo in una visione miope e lontana dalla realtà possono essere considerati fenomeni riguardanti la legalità e l’illegalità.
Il dissenso sociale e politico viene trasformato in elemento di disturbo e persino in anticamera del terrorismo. La piazza diventa sinonimo di violenza e la strada luogo di repressione. Non si distingue tra manifestazioni di protesta sociale e atti di teppismo, in una visione dell’ordine pubblico che non ha nulla di democratico.
Ora si vogliono sottoporre gli agenti a visite neurologiche pilotate dall’alto anziché inserirli in percorsi formativi e professionali che li orientino a “proteggere” le manifestazioni pacifiche da teppisti, infiltrati e black-block.
In questo contesto, perciò, le Forze dell’ordine, e in particolare le Forze di polizia, vengono utilizzate in maniera del tutto sbagliata e spesso offensiva della dignità e della coscienza democratica dei lavoratori e delle lavoratrici.
Provo a fare qualche riflessione: esiste – io credo – un problema di democrazia interna e di gerarchizzazione delle relazioni tra vari livelli, esistono problemi di sicurezza e di tutela della salute, di riordino delle carriere e di rilancio della legge 121 del 1981, contro l’arbitrarietà delle promozioni, ad esempio per i picchiatori di Genova.
Credo sia importante stabilire una separazione tra sicurezza e difesa, come pure lavorare per una società aperta e multiculturale, che preveda la chiusura dei Cpt (secondo gli impegni presi a Bari dai presidenti di Regione nell’incontro dell’11 luglio promosso dal presidente Vendola) e la loro sostituzione con centri di vera accoglienza e assistenza. Insomma, siamo perché le Forze dell’ordine siano al servizio della democrazia e della Costituzione, soggetti sociali punto di riferimento per i cittadini in una visione comprensiva del disagio sociale e preventiva dei reati attraverso il potenziamento delle moderne tecniche di indagine e intelligence che tengano conto delle libertà individuali.
Per raggiungere questi obbiettivi è fondamentale un percorso di formazione democratica delle Forze dell’ordine, in cui siano anche eliminati il macismo e il sessismo (ricordo che a Genova i ragazzi venivano insultati con la parola frocio e le ragazze con la parola troia).
Proponiamo di affiancare alla preparazione tecnica percorsi formativi di carattere costituzionale, sociale, culturale, attraverso un reclutamento basato su concorsi pubblici e separato dal militarismo degli Eserciti professionali e dalle logiche delle Polizie private.
Nel portare a questo convegno il saluto e l’attenzione del Prc, posso affermare che porteremo ai tavoli dell’Unione proposte di intervento e soluzioni strettamente collegate ai temi della pace e del rifiuto della guerra, della violenza e della sopraffazione, per l’abolizione delle norme anti-immigrazione, per una vera riforma della giustizia e del sistema penitenziario; ci impegneremo intensamente nella difesa della Costituzione attraverso il referendum.
(Intervento svolto al Convegno
di Bologna, organizzato dal Siulp Prov.)
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