Sulla uccisione della giovane all’Università
di Roma il 9 maggio 1997, è stato istruito
un processo (conclusosi in Cassazione nel
dicembre 2003) che non partiva
dalla ricostruzione storica del fatto
L’uccisione all’Università di Roma della giovane Marta Russo suscitò, e suscita ancora, inquietanti interrogativi sul gesto dei due giovani accusati, Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, che peraltro continuano a negare il loro addebito. Un fatto singolare e inspiegabile resta quello della scomparsa dell’arma (una pistola calibro 22). Quale il suo pensiero sulla vicenda e sui due imputati ad uno dei quali è stato affidato l’incarico di insegnante?
Il giudice di sorveglianza ha opportunamente ritenuto di affidare ai servizi sociali Scattone, perché aveva scontato una buona parte della pena; per un residuo di pena, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha deciso di affidarlo ai servizi sociali. Il giovane che tra l’altro era stato studente universitario con ottimi profitti, ed era assistente e ricercatore; dunque ha avuto la possibilità di insegnare e quindi riprendere quella che era la sua attività, la sua carriera; siccome la Costituzione prevede che la pena non deve avere solo carattere affittivo ma di reinserimento all’interno della vita di lavoro, mi pare assolutamente ineccepibile, direi giusta, questa decisione del giudice di sorveglianza.
In questo processo, qual è stato il ruolo dei periti balistici?
Questa è una vicenda dove nessuno ha avuto un ruolo determinante, perché era un processo indiziario che non partiva dalla ricostruzione storica del fatto. Quindi le perizie balistiche, le perizie medico legali, le perizie grafiche, tutte le perizie che sono state fatte, sono state fatte sulla teoria, non sulla pratica. L’ Abc della ricerca della prova in un processo penale è: primo la ricostruzione del fatto; dopo aver ricostruito il fatto, se c’è la prova occorre enucleare le condotte e valutarle giuridicamente sul piano penale. Tutto questo non c’è stato. Ritengo che questo, pur essendo un processo ormai stato definitivamente deciso da alcuni anni dalla Suprema Corte di Cassazione ha una sentenza definitiva; io che ho letto, in buona parte le carte del processo, ho visto le sentenze, ho visto i motivi d’appello, ho visto i motivi di ricorso per Cassazione, posso ribadire che si è trattato di un processo indiziario, dove non c’era la prova della condotta colpevole sia di Ferraro che di Scattone.
Il nostro, per fortuna, è uno Stato di diritto, quindi dobbiamo inchinarci davanti ad una decisione della Suprema Corte di Cassazione.
Considerata la “involontarietà” di quello sparo (che pure causò la morte di una giovane donna), così come riconosciuto dai giudici, non ritiene che oggi, nel nostro Paese si “giochi” un po’ troppo con le armi?
Noi ancora non stiamo a livello dell’America, dove per comprare un’arma, in quasi tutti gli Stati basta la carta d’identità. Addirittura, in otto Stati dell’America, anche i minori possono comprare un’arma se accompagnati da un maggiorenne. Noi non siamo a questo punto, anzi devo dire che negli ultimi anni l’autorità di Polizia, è un pochino più attenta nella concessione del porto d’armi, prevede controlli abbastanza severi nel rinnovo del porto d’arma, quindi se ne danno molti di meno. In questo senso noi abbiamo una inversione di tendenza rispetto agli Stati Uniti, che sono il paese per eccellenza dove circolano più armi. Non dimentichiamo che un’arma può andare in mano a persone che non hanno capacità di controllo, quando non sono addirittura malate di mente, come è capitato in alcune stragi nelle scuole o nelle varie comunità americane. Speriamo di non dover affrontare mai questo tipo di realtà all’americana.
Vorrei ritornare ancora sulla questione all’origine di questa intervista. Diciamo che oggi c’è un po’ di retorica sulla certezza della pena.
Io rispondo sempre che la certezza della pena, quando soprattutto si manda con “certezza di durata della pena” un innocente in carcere, significa commettere un crimine da parte dello Stato e da parte del meccanismo giudiziario, quindi del processo penale. Il vero problema del nostro Paese è la certezza della prova. Il nostro Codice e la sua evoluzione giurisprudenziale ha fatto sì che dalla prova, mentre una volta si poteva condannare solo davanti a prove granitiche, certe, al di là di ogni ragionevole dubbio, oggi noi registriamo spesso sentenze di condanna basate sugli indizi.
Il nuovo Codice di Procedura Penale ha stabilito che si può condannare davanti agli indizi, purchè siano gravi, precisi e concordanti. In Italia abbiamo un istituto che nessuno conosce, di cui non si parla, che è il libero convincimento del giudice, cioè la possibilità di valutare la prova con il libero convincimento del giudice. E questo principio non esiste in nessun Paese del mondo, neanche in quelli più retrogradi. Dunque si prevede che si possa essere condannati per indizi, purchè siano gravi, precisi e concordanti; questi indizi vengono liberamente valutati dal magistrato e quindi questi fanno scadere la certezza della prova. Si condanna facilmente senza prove, spesso con delle prove che non sono assolutamente sufficienti. Il problema di questo Paese è di avere la prova certa prima di mandare in carcere un cittadino.
Dicevo che la certezza della pena è un discorso strumentale, spesso fatto per beghe politiche, nel teatrino della politica che spesso è inaccettabile, perchè si fa teatro ma non si affrontano i veri problemi della giustizia. La classe politica d’altra parte, si è accorta del “pianeta giustizia” negli anni ’90, in particolare dal ’92 in poi, quando è stata direttamente interessata per il livello intollerabile di corruzione in cui era arrivata. L’operazione di “Mani Pulite”, è stata un’operazione di grande spessore, perché si era arrivati ad un livello di corruzione assolutamente intollerabile. Però quell’operazione è stata anche un campo di scontro tra magistratura e potere politico. La magistratura che ha preteso, e in parte ancora pretende, di essere il controllore etico del potere politico. Questo significa disturbare gli equilibri democratici e, soprattutto, allontanarsi dallo Stato di diritto per andare verso uno Stato etico. Il che non è accettabile.
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