La IX edizione del premio letterario intitolato
al fondatore di questa rivista (e promosso dal Siulp
di Bologna) ha riconosciuto vincitore Gianni
Biondillo per il suo libro “Con la morte nel cuore”.
La cerimonia si è svolta, come di consueto,
nell’ambito della manifestazione “Ad alta voce”
Il 29 ottobre scorso, a Bologna, nel teatro dell’Abazia di San Salvatore (un edificio d’epoca che ospita gli uffici della Polizia Scientifica) si è svolta la cerimonia per la proclamazione del vincitore del premio letterario (giunto alla nona edizione) intitolato al fondatore di questo giornale Franco Fedeli. La manifestazione (autofinanziata dal Siulp di Bologna), ormai da alcuni anni, è inserita nella interessante iniziativa “Ad alta voce - libri da condividere”, promossa da Coop Adriatica e patrocinata dal ministero dei Beni e Attività Culturali, dalla Regione Emilia-Romagna, dalla Provincia e dal Comune di Bologna e dall’Università petroniana; in questa quinta edizione ha registrato un vero successo: nella giornata del 29 ottobre la “maratona di lettura” ha visto per tutto il giorno 46 tra scrittori, poeti e attori alternarsi nel leggere i brani di romanzi, saggi, articoli, poesie.
Il premio, curato in ogni minimo particolare dall’infaticabile organizzatrice del Siulp di Bologna, Simona Mammano, è dedicato al miglior poliziesco italiano edito nel periodo giugno 2004-giugno 2005. Gli scrittori finalisti partecipanti a questa edizione erano: Gianni Biondillo, “Con la morte nel cuore” - Guanda 2005; Andrea Cotti, “Un gioco da ragazze” - Colorado noir 2005; Loriano Macchiavelli e Sandro Toni, “Sarti Antonio e l’assassino” - Mondadori 2004; Stefano Tura, “Arriveranno i fiori del sangue” - Mondadori 2005.
La singolarità di questo premio è data dal fatto che la giuria è composta per la maggior parte, da lavoratori della Polizia e da magistrati, liberi professionisti, esponenti del mondo dell’associazionismo.
La cerimonia della premiazione è stata trasmessa da Rai Radio Due, nel corso di una diretta del programma “Tutti i colori del giallo”, condotta da Luca Crovi, professionista di spicco, di una simpatia e di una comunicativa di non facile reperibilità nel suo settore.
La cerimonia della premiazione è stata presentata dal funzionario della Polizia di Stato dottor Silio Bozzi, che ha voluto ricordare, tra l’altro, come vincitore della prima edizione del Premio Franco Fedeli, il noto giallista Andrea Camilleri: “era preoccupatissimo per il fatto che la giuria fosse composta in buona parte da operatori della Polizia. Ma che al momento della proclamazione, lo stesso Camilleri, felicissimo, ebbe a dire che era orgoglioso perché era stato giudicato e... promosso da poliziotti e questo costituiva, per lui, un titolo di vanto”.
Gli autori dei quattro libri gialli giunti in finale, hanno voluto dare un saggio interpretativo, leggendo ciascuno un brano tratto da un libro a loro scelta: Sandro Toni una poesia di T. S. Eliot; Stefano Tura, dal libro di Jean Claude Izzo “Casino Totale”, Andrea Cotti dal libro di H. Kureishi “Nell’intimità”, Gianni Biondillo da un libro di Pier Paolo Pasolini. Il professor Giuseppe Giliberti ha dato poi lettura della motivazione del premio (vedi i riquadri in queste pagine).
Rita Parisi, segretario provinciale del Siulp di Bologna, ha consegnato le artistiche ceramiche (ideate e dipinde dall’artista bolognese Silvia Sabbioni) per i finalisti; Maria Angela Boggioni, vedova di Franco Fedeli, ha dato a tutti i finalisti le artistiche targhe del nostro giornale.
Alla cerimonia erano presenti, fra gli altri, il Capo di Gabinetto della questura bolognese dottor Giovannini, il segretario nazionale del Siulp Luigi Notari e l’attore Gianni Cavina che ha interpretato, per la televisione, il personaggio di Antonio Sarti dall’omonimo libro ______________________________________
Il vincitore
Gianni Biondillo
Milanese, ha trentasette anni, architetto e saggista, è autore di testi televisivi e cinematografici. Il suo primo romanzo, “Per cosa si uccide”, pubblicato da Guanda nel 2004, grazie alla sua capacità di rinnovare i canoni del giallo e la sua penetrante ironia è divenuto un vero e proprio caso editoriale.
Di recente, con lo stesso editore, è apparsa la sua convincente seconda prova, “Con la morte nel cuore”, ambientato nella periferia di Milano e con lo stesso protagonista, l’ispettore Ferraro.
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Con la morte nel cuore (Guanda, Parma 2005)
Il nuovo libro di Biondillo è ricchissimo di storie di vita che si intrecciano attorno ad un commissariato che opera in una zona difficile della periferia di Milano. La realtà del lavoro quotidiano dei poliziotti è stata ricostruita con vivacità e verosimiglianza, aspetto questo che è stato particolarmente apprezzato dai membri delle Forze dell’ordine che fanno parte della Giuria del premio Franco Fedeli.
L’ispettore Ferraro - afflitto dal suo cognome, che viene sempre storpiato (Ferrara, Ferrari), “era pure pronto a cambiare cognome… tanto non è che doveva difendere chissà quale tradizione araldica, ma almeno si mettessero d’accordo su come chiamarlo, cazzo! Manco si chiamasse Shostakovic…” - è accidioso, inadeguato, istintivo, disorganizzato (dimentica sempre di portarsi dietro la pistola), viscerale, ritardatario cronico, intuitivo.
Il suo habitat naturale è Quarto Oggiaro, popolato di amici come Mimmo e il Baffo, ma anche di implacabili nemici e di strani interlocutori: Zoran affascinante e diabolico (sembrava un Antonello da Messina in carne ed ossa); Don Leo, boss della ’ndrangheta in pensione; l’enigmatico Maestro, figura demiurgica e risolutiva. Fra i poliziotti emerge l’ispettore Lanza, ottimo elemento, ma del tutto privo di senso dell’umorismo, che sembra un marziano o un vulcaniano. I personaggi, insomma, sono tutti molto ben caratterizzati, in una parola indimenticabili, compresi gli oggetti inanimati che nel libro acquistano vita e sentimenti, come la macchinetta del caffè e la sveglia.
Lo stile è efficace e divertente. La lingua è vivace, spregiudicata, mescolata con il dialetto, anzi i dialetti: il milanese, il calabrese, nonché l’albanese. L’intreccio è interessante e mantiene in suspence fino alla fine. Il finale non delude e scioglie tutti i nodi della trama (cosa non scontata, nel giallo italiano degli ultimi anni).
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Gli altri finalisti
Loriano Macchiavelli
Nato a Vergato (Bo) nel 1934, ha frequentato l’ambiente teatrale come attore, organizzatore e autore. Si è poi dedicato al genere poliziesco, divenendo uno degli autori italiani più conosciuti e letti, soprattutto grazie all’indimenticabile personaggio, il sergente Sarti Antonio. I suoi libri sono stati tradotti in Francia, Germania, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Giappone e Romania. Con altri nove giallisti di Bologna ha fondato il Gruppo 13. E’ membro del direttivo dell’associazione scrittori di Bologna e dell’associazione italiana scrittori di poliziesco.
Sandro Toni
Nato a Bologna, dove vive e lavora come responsabile della biblioteca della Cineteca comunale. Autore di libri umoristici di grande successo, ha collaborato a giornali e periodici (L’Europeo, L’Indipendente, Comix, Moda) nonché a riviste cinematografiche e letterarie (Cinema e Cinema, Cineforum, Cahiers du cinema, Il Verri, Poetiche, Revue d’Esthètique, CM). E’ anche traduttore e sceneggiatore cinematografico.Tiene seminari sul cinema d’avanguardia presso il Dams di Bologna. Come giallista ha scritto diversi racconti e un romanzo “Tutte le notti e qualche giorno”.
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Sarti Antonio e l’assassino (Mondadori, Milano 2004)
Il sergente Sarti Antonio è un vecchio amico che torna, per merito, questa volta, di due autori che sono riusciti ad armonizzarsi perfettamente. Sfigato come sempre e colitico, è un poliziotto perbene che “si sarebbe dimesso da questurino se fosse stato a Genova”. La sua casa è il solito porto di mare, di cui tutti hanno la chiave. C’è sempre il capo Raimondi Cesare, è vero come si dice, l’ottuso contraltare di Sarti, in strepitosa forma come cretino. Ritorna anche Rosas, che è ormai invecchiato, ma non rinuncia a intrufolarsi nelle indagini, a volte complicandole. Grazie al professore accusato dell’omicidio, entriamo nel mondo del carcere, variopinto e rappresentato nelle sue varie tipologie: la Marisa, Flip, Menelik, Tano, il secondino sadico, quello pensoso, la direttrice.
La trama (che si sdoppia seguendo per un verso le indagini di Sarti, per l’altro le vicende del professore in carcere), l’intreccio complesso e la scrittura a quattro mani fanno del libro un’opera originale e interessante. Soprattutto, come un basso continuo, c’è Bologna, descritta con le parole del cuore, di uno che ama questa città malgrado i suoi molti difetti.
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Stefano Tura
Nato a Bologna nel 1961, vive a Roma. Giornalista, inviato speciale del TG1 della Rai, ha iniziato la sua carriera al quotidiano “Il Resto del Carlino”.
Ha firmato inchieste importanti: è stato inviato di guerra nei conflitti del Kosovo e dell’Afghanistan e ha seguito eventi internazionali di rilievo.
Come scrittore ha pubblicato “Il killer delle ballerine”; “Le caramelle di Super Osama-Viaggio a Kandahar di un inviato di guerra”; “Non spegnere la luce”, edito da Fazi e “Arriveranno i fiori di sangue” edito da Mondatori.
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Arriveranno i fiori del sangue (Mondadori, Milano 2005)
È un romanzo nel quale emerge con molta forza lo stile dell’inviato speciale, che conosce profondamente, per averle viste, le vicende del Kosovo, devastato dalla guerra e, almeno altrettanto, dal dopoguerra.
Il libro è un noir per l’ambientazione cruda e per lo sguardo desolato sulla realtà del potere (anche quello apparentemente buono delle forze impegnate nel peace keeping) e sulla natura umana, che esprime il peggio di sé nella guerra. La tecnica narrativa, con veloci cambiamenti di luoghi e di personaggi, sembra appartenere più alla tradizione della spy story che al giallo classico.
Il protagonista, l’ispettore Gerace, è un poliziotto che ritiene di avere visto e vissuto troppo, al punto da avere perso il senso del proprio lavoro. Ma, quasi condizionato da una professionalità che gli rimane attaccata addosso come una malattia, si lascia coinvolgere in un’indagine che gli farà sperimentare una realtà ancora più dura .
Il libro acquista valore di documento perché racconta di avvenimenti che nella realtà sono sempre difficili da narrare, sia perché coperti dall’omertà e dal segreto militare, sia perché le stesse vittime delle violenze perpetrate in ogni guerra non hanno le parole per dirle.
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Andrea Cotti
Nato a San Giovanni in Persiceto (Bologna) nel 1971.
Dopo aver gestito per anni una libreria specializzata nella poesia e nella narrativa italiana, ha pubblicato il romanzo “Tre” edito da Bollati e Boringhieri; la raccolta di racconti “Lo stesso discorso di sempre” e numerosi romanzi per ragazzi. Scrive sceneggiature per cinema e per televisione e tiene corsi di scrittura e sceneggiatura.
“Un gioco da ragazze” è il suo primo noir.
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Un gioco da ragazze (Mondadori, Milano 2005)
È un romanzo dallo stile teso e duro, un noir molto più che un poliziesco classico, che prende spunto dalla cronaca giudiziaria recente, ma se ne stacca in modo originale. Interessante è l’idea del delitto per gioco, sviluppata con il ritmo di una sceneggiatura cinematografica.
Le indagini sono condotte dall’ispettore Giulia Vita che testardamente si rifiuta di accettare la soluzione più “semplice” e, passo dopo passo, ricostruisce lo scenario di perversione e violenza che si cela dietro una tranquilla esistenza borghese. La terribile cefalea, che periodicamente l’assale, sembra una simbolica invasione del male che la circonda.
I personaggi sono freddi e anaffettivi come Elena Flores, la giovanissima dark lady, Davide Maglio, il suo ragazzo (forse è proprio tutta la sua vita che è sempre stata simile a una pietra, a un sasso, a una cosa pesante ma semplice), l’ambiguo avvocato Guido Miserre. Proprio per questo, sono capaci di rispecchiare una realtà degradata, in cui l’istituzione familiare e i valori tradizionali hanno perso ogni significato.
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