Bettino Craxi è morto ad Hammamet. E’ molto probabile che con lui siano stati seppelliti in terra africana altri segreti italiani che magari tra qualche tempo spunteranno in qualche misterioso dossier o testamento straordinario. Era una morte annunciata e attesa quella dell’ex leader del Psi, malato da tempo, l’uomo della svolta del Midas che ha caratterizzato tutta la politica italiana degli anni Ottanta e che all’inizio dei Novanta decise di diventare un esule, o per la precisione un latitante. Aveva scelto la latitanza per sfuggire al carcere, destino che si era fatto molto probabile viste le sue imputazioni e le condanne plurime che aveva già subìto e collezionato insieme ai suoi compagni di partito e di governo. Aveva scelto la latitanza per una espressa e dichiarata sfiducia nella giustizia italiana. Un premier, un leader politico, un uomo di Stato che non credeva più nel suo Stato e che quindi all’estero e anche qui da noi è apparso come un politico che decise di rinunciare a sé stesso. Molti, infatti, in Italia e all’estero, gli hanno contestato proprio quella scelta, opposta, tanto per fare un esempio, a quella di Giulio Andreotti che ha affrontato il processo per Mafia in Italia e alla fine ne è uscito indenne. Una scelta, quella di Craxi, opposta a quella di Helmut Kohl e dei suoi uomini, che hanno deciso di parlare delle loro tangenti e di affrontare di petto la questione.
Ma nonostante fosse annunciata e attesa, quella di Craxi è stata una morte che ha creato un certo clima di tensione nel Paese e all’estero, un’emozione particolare che si spiega solo se si inserisce nel suo contesto e nella sua storia. Bettino Craxi, il politico divenuto famoso nel mondo per le tangenti e per Tangentopoli è morto infatti proprio nelle stesse ore delle dimissioni di Helmut Kohl e del suicidio del cassiere della Cdu tedesca. Mentre a Tunisi si spegneva il leader del socialismo italiano, a Berlino tramontava anche l’astro della democrazia cristiana tedesca. E’ quasi un secondo Muro che è crollato, nove anni dopo la fine della divisione delle due Germanie e del mondo della Guerra Fredda. Persino in Israele sta scoppiando una speciale forma di Tangentopoli. La corruzione politica sembra insomma un male contagioso che dilaga dovunque e che riesce a penetrare sistemi diversi per storia e organizzazione. Sembra un fiume in piena che non risparmia case e vallate, trascinando con sé fango e detriti.
Nel giorno stesso dei funerali di Craxi ad Hammamet è scoppiato poi anche lo scandalo Arcobaleno, inteso come missione italiana in Albania. In quel caso si tratta dell’accusa (e dei conseguenti arresti) per responsabili italiani del progetto umanitario dopo la guerra del Kosovo. Della serie, insomma, non c’è più religione. O se si preferisce: il mondo è ormai davvero fuori di sesto. Tutto è sotto sopra, tutti i sistemi politici sono marci e vacillano. Per gli onesti non c’è più speranza.
Lo scandalo della missione Arcobaleno, fiore all’occhiello del governo guidato da Massimo D’Alema allarga nei fatti il concetto di corruzione, ma rischia al tempo stesso di creare un’enorme confusione, di alzare un gran polverone che tutto copre e nasconde. In quel caso si tratta infatti, come hanno dichiarato subito i responsabili governativi, di errori e reati commessi a livello individuale. Non è un caso di corruzione politica come le tangenti per i grandi lavori. Non si può neppure fare il paragone tra queste attività di volontariato e di missioni umanitarie con il sistema di potere che ha retto l’Italia e forse anche molti altri paesi in questi anni. In quel caso, anche se c’è probabilmente gente che ha rubato e che si è accordata con i boss mafiosi locali, non si può parlare di un sistema generalizzato di governo. In quel caso è stata sbagliata la scelta di fondo: la guerra prima (che come poi si è visto non ha risolto neppure mezzo dei problemi tragici dei Balcani) e le missioni “umanitarie” dopo. Non si può fare una missione umanitaria in un paese che non c’è con uno Stato inesistente, senza una organizzazione. Il rischio di cadere nelle mani della potente Mafia albanese era evidente a tutti sin dall’inizio e basta farsi raccontare da chi in quei territori c’è stato per capire la confusione che dominava in quei giorni del dopoguerra. Ma detto questo è anche chiaro che ora si tenderà a fare di tutta l’erba un fascio. Si tende cioè a dire: avete visto, tutti sono colpevoli, tutti rubano, la politica è sporca per definizione e per prova provata. Insomma tutte le attività collettive fanno schifo. E’ meglio non preoccuparsene, è meglio non impegnarsi. Ognuno si faccia i suoi affari. Ma questo è davvero il pericolo più grande che scaturisce dalla miscela esplosiva di queste notizie, tutte incasellate per ragioni di comodo del giornalismo dei media, sotto la casella corruzione politica, furto pubblico, reato collettivo. Niente è più pericoloso e nello stesso tempo più sbagliato di quello che sta avvenendo con questo difficile inizio di secolo. Lo hanno detto con chiarezza, con l’avvio dell’anno giudiziario, alcuni magistrati rappresentativi in Italia della battaglia contro la corruzione e contro la criminalità organizzata mafiosa. Francesco Saverio Borrelli, nella sua relazione d’apertura dell’Anno giudiziario era stato molto chiaro: l’epoca della corruzione non è finita.
Tangentopoli è stata solo una tappa, ma l’emergenza non è finita. Bisogna continuare a indagare e i giudici devono essere lasciati liberi di svolgere il proprio lavoro, senza le continue aggressioni cui sono stati sottoposti. E soprattutto - anche se Borrelli non lo ha detto proprio così - bisogna stare molto attenti a non commettere l’errore più grave, ovvero quello di contrapporre i politici ai magistrati, il Parlamento ai Tribunali. Questo infatti è il vero rischio che si corre con la Commissione di Tangentopoli che ha avuto il via libera dal Parlamento un minuto dopo l’arrivo della notizia da Hammamet della morte di Bettino Craxi. Stiamo attraversando di nuovo - anche se forse non ce ne rendiamo conto - un periodo molto delicato della storia della nostra democrazia. L’emergenza, come dice Borrelli e come ha poi ribadito Gian Carlo Caselli, non è affatto finita. Bisogna stare molto attenti a non farci distrarre dagli allarmismi facili e dai polveroni del tutto è uguale, tutto è marcio e corrotto. In un paese in cui tutti sono ladri, non ci sono più ladri. In un paese dove tutti sono corrotti, non ci sono più corrotti. Quando tutti commettono reati, il reato non esiste più e con esso la giustizia.
(tratto dal numero di febbraio 2000)
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