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novembre-dicembre/2005 - Articoli e Inchieste
1995/2005
Al Nord vince la ’ndrangheta - (1998)
di Valter Vecellio

Leonardo Sciascia una volta disse, secco e puntuto come lui solo sapeva essere, che “la linea della palma mafiosa va a nord”. Citava, e parafrasava, una poesia di un poeta arabo, Abu Hatem, secondo il quale, appunto, l’ombra della palma ogni anno si allungava di cinque centimetri verso il settentrione. Per Sciascia quell’allungarsi stava a significare che progressivamente le cosche mafiose si infiltravano in quelle realtà settentrionali che solitamente si credevano immuni dal fenomeno.
Intuizione di letterato che trova puntuale conferma negli atti giudiziari e nei documenti della magistratura. L’ultimo allarme è approdato da qualche giorno al Consiglio Superiore della Magistratura. Un documento che raccoglie le valutazioni e l’allarme lanciato dal capo della procura di Monza Antonino Cusumano, e dal sostituto procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano Roberto Aniello. Un documento dove si scrive, a chiare lettere, che le cosche mafiose della ’ndrangheta hanno conteso e in molti casi soppiantato il predominio di Cosa nostra, al Nord. Che “maestri di giornata”, “puntaioli”, ‘vangelisti”, “santisti” e altri simili personaggi agissero e la facessero da padrone in interi quartieri della cintura milanese, si sapeva da anni. Personaggi che si chiamano tra loro in modo bizzarro, e che quando vogliono parlare un dialetto incomprensibile ai più; ma che sono tutto meno che folkloristici. Pensate: già nel 1994, dopo due anni di indagini, gli investigatori dello Sco (il Servizio Centrale Operativo della Criminalpol) aveva individuato ben 370 tra capi bastone e picciotti della ’ndrangheta sparpagliati tra Milano e le province di Varese, Como e Brescia: colpevoli di aver violato mezzo Codice penale: dall’associazione a delinquere di stampo mafioso all’omicidio; dalla rapina al traffico di armi e stupefacenti. Un vero e proprio esercito di criminali, come tale strutturato: con soldati, caporali, sergenti, ufficiali, generali e strutture tecnico-logistiche di appoggio.
“Operazione storica”, si disse. Grazie alle rivelazioni di Calogero Marcenò, un capo-bastone che viveva a Varese e che decise di collaborare con gli investigatori, si riuscì a ricostruire la vasta rete criminale dominata dalla “corrente della piana”, una delle due correnti che formano la ’ndrangheta calabrese (l’altra si chiama “corrente della montagna”). Marcenò, tra l’altro, rivelò che il capo dei capi era Giuseppe Mazzaferro; un simpatico signore che era stato mandato agli arresti domiciliari a Cornaredo, vicino a Milano; a lui facevano riferimento i “picciotti”: persone legate tra loro da “sacri vincoli”, spesso “unte” fin dalla nascita grazie a una specie di battesimo parallelo a quello cristiano. In quell’occasione si scoprì anche che una donna, e probabilmente era la prima volta, era riuscita a scalare i vertici dell’organizzazione: si trattava di Maria Morello, originaria di Zambrone in provincia di Cosenza. Da trentacinque anni si era trasferita a Como, gestiva un bar: attività di copertura, perché in qualità di “santista” apparteneva alla “società maggiore”, cioè al gruppo che conta; si incaricava di nascondere le armi; dava indicazioni sugli obiettivi da rapinare; organizzava la rete di protezione per gli affiliati alla cosca; e per questo veniva chiamata “sorella di omertà”.
Da allora la situazione, se possibile, è peggiorata; in Brianza, per esempio, le cosche della ’ndrangheta si sono insediate e consolidate; e non sarà facile sradicarla. “Sono molto forti economicamente. Hanno avuto cento anni per organizzarsi, per capire che il vero potere si conquista col denaro”, spiega il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Salvatore Boemi, che da anni è impegnato nelle indagini contro la ’ndrangheta: Boemi è pessimista: “Tra poco l’Unione Europea ci rinfaccerà di aver esportato non automobili o panettoni, ma i clan Condello e Piromalli con migliaia di affiliati” e spiega che il boss Antonio Libri è stato catturato in Francia; e i figli di un altro boss Natale Iamonte, sono stati arrestati in Polonia: “Questi qua sono diventati una realtà internazionale”.
Ma torniamo al rapporto consegnato al Csm. Vi si raccoglie e sviluppa l’allarme lanciato dai Consigli comunali di Carugate, Cinisello Balsamo e Seregno. E si individua la genesi e lo sviluppo del fenomeno; che va ricercata “nell’applicazione del domicilio coatto di numerosi esponenti della malavita organizzata che, pur sradicati dalle zone di origine, hanno continuato a mantenere rapporti con le proprie consorterie e hanno anzi allargato i loro interessi nelle nuove zone di residenza”.
Risultato: “l’aggregato in Brianza è ramificato e articolato”. Clan che hanno “riprodotto in Lombardia i moduli comportamentali della società originaria”. Gli Iamonte, per esempio, si sono insediati a Desio, dove il capo cosca Natale era in soggiorno obbligato; e si segnalano numerose infiltrazioni mafiose nel settore edilizio; per non parlare delle estorsioni e dell’usura: “Aziende sane”, si legge sempre nel documento del Csm, “sono state condotte in uno stato di decozione attraverso l’intimidazione; oppure sono passate di mano attraverso acquisti apparentemente regolari”.
I già citati Mazzaferro spadroneggiano nella zona di Como, Varese; e in Brianza, tra Seregno e Monza. E non mancano neppure le guerre tra cosche: come quella tra il gruppo Coco Trovato e quelli dei Batti e dei Miriade: una catena di omicidi fino alla vittoria del primo clan sugli altri due. “Picciotti di sgarro” o “di giornata”, “puntaioli”, “capi giovani”, “vangelisti”, “contabili”, “maestri di buon ordine” (vale a dire rapinatori, assassini, capi e sottocapi, depositari delle “sacre” regole del clab, ragionieri specialisti in contabilità illegale, “saggi” capaci di dirimere controversie e giudicare affronti), che, nonostante l’impegno ammirevole di tanti magistrati e investigatori, la fanno sostanzialmente da padrone.
La dichiarazione di Boemi è amarissima: “Purtroppo la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata non è più in cima all’agenda degli impegni di chi governa”.
(tratto dal numero di novembre 1998)

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