Lo scenario è tutt’altro che rassicurante; si intensificano gli scontri politici e istituzionali, crescono fra maggioranza e opposizione le contrapposizioni delegittimanti.
Tutto è poco chiaro, tutto è incerto. Assistiamo inoltre ad un fenomeno di transumazione politica senza precedenti. Prevale la faziosità di parte sul bene del Paese, l’interesse personale sui bisogni della collettività. Viene da chiedersi se la nostra classe dirigente sia ancora capace di comprendere ciò che accade o non sia ormai completamente assorbita dalle proprie risse e dai propri teoremi. Nello spazio di un tempo breve sono apparse sulla ribalta non poche meteore, ognuna con il suo messaggio: Bossi e la sua esuberante Lega, Segni con i suoi fantasiosi sogni, la destra di Berlusconi con la sua pretesa crociata antipartitocratica seriamente ridimensionata dal latente conflitto di interessi dello stesso leader, l’utopico centrismo buttiglioniano e, per finire, gli exploit pannelliani. Anche da sinistra, via via, si sono sempre più affievoliti i messaggi politici che qualcuno sperava potessero trovare adeguata accoglienza all’indomani delle tante malefatte tangentizie.
Nessuno, purtroppo, è stato in grado fino ad ora di individuare una terapia credibile per limitare le stangate che da più parti si rovesciavano sulla nostra moneta, nessuno ha elaborato un progetto articolato per mettere in sesto i conti di casa nostra (inadeguati i provvedimenti tampone e le finanziarie “morbide”), nessuno ha proposto programmi concreti per arginare la disoccupazione, riequilibrare e far funzionare il fisco, varare una riforma previdenziale, dare il via ad un vero risanamento della Sanità. A certe forme di immobilismo politico sui temi di fondo, hanno fatto riscontro un inarrestabile processo inflazionistico ed una subdola pioggia di aumenti nelle tariffe dei servizi pubblici. Più cari i trasporti, il telefono, l’elettricità, i ticket sulla diagnostica, gli oneri sulla casa (e l’elenco potrebbe continuare) dando al cittadino l’impressione di essere circondato da qualcuno pronto a portargli via soldi, di essere quotidianamente minacciato da una serie di colpi bassi. La gente si è stancata perché una volta affievolita la cosiddetta “mobilitazione delle coscienze” contro la corruzione pubblica e contro i rischi di una possibile amnistia capace di cancellare quei reati, ha idee sempre meno chiare su chi meriti di reggere la cosa pubblica, dimostrandosi sempre meno interessata ad idee-forza, a programmi, a scelte chiare.
La verità è che viviamo in un Paese dove la vita non sorride certo a tutti perché alla crescita del benessere in questo ultimo ventennio ha corrisposto sia un aumento delle persone povere, sia un maggiore profondo disagio sociale. Dal 1970 ai giorni nostri sono cresciuti i casi di suicidio, si sono triplicati i tempi per la ricerca di un lavoro, hanno varcato la soglia della povertà l’80% degli italiani e oltre 6 milioni di cittadini vivono in una condizione di disagio economico. Una tale situazione ha finito col favorire l’espandersi della micro e macro criminalità. Il problema della sicurezza dei cittadini ha assunto proporzioni sempre più allarmanti.
La violenza esplode, si intensificano gli scontri a fuoco fra criminali e Polizia, sempre più alto il numero delle rapine negli istituti di credito. E il “Paese illegale” non ha sede solo nel Meridione, ma anche nelle periferie delle città del Nord. Non più soltanto il volto di un Sud disoccupato, degradato, dove appare con forte evidenza l’intreccio tra criminalità organizzata, apparati statali e strutture finanziarie, ma il volto di una nazione gravemente deteriorata dove non esiste regola o valore al di fuori della legge del più forte e della ricerca spasmodica di denaro, un Paese dove vivono schiere di giovani cresciuti con la pistola in mano o sfruttati in lavori precari o come garzoni di bottega. Un’autentica scuola di perfezionamento per le nuove leve che finiscono per irrobustire le grandi strutture criminali.
Ed infine il potere mafioso la cui attività non si limita al traffico di droga, agli appalti, alle estorsioni, allo sfruttamento della prostituzione, ma punta all’investimento dei capitali nelle grandi e medie imprese: dal turismo all’agricoltura, dall’edilizia ai supermercati, dagli istituti finanziari alle case da gioco, dalle società di import-export a quelle per lo smaltimento dei rifiuti tossici. Si tratta ogni anno di centinaia di miliardi di dollari che si rendono irriconoscibili attraverso i più tortuosi canali finanziari. Si calcola che la criminalità organizzata investa in attività legali oltre il 60% dei suoi ricavi. Tutto questo finisce col nuocere gravemente alla nostra economia finendo, non di rado con lo strozzare il mercato, col mettere in ginocchio migliaia di imprese commerciali. Un fenomeno che si è esteso non solo all’interno, ma anche fuori dei confini del Paese e che, purtroppo, non è stato preso nella dovuta considerazione.
Malgrado gli sforzi di tanti solerti investigatori che hanno condotto inchieste in questi complicati settori, non si può affermare che si siano ottenuti risultati significativi. Bisogna puntare fin dall’inizio su una tecnica investigativa mirata alla realtà complessiva di “Cosa nostra” e non, come purtroppo è avvenuto nel passato, sui singoli episodi criminali, considerati segmenti separati senza nessuno sforzo di collegamento.
Solo con l’intervento del pool alcune indagini hanno sortito esiti apprezzabili anche grazie agli apporti dei pentiti. Purtroppo col passare del tempo sembrano riaffiorare sintomi di nuovi processi di rimozione, della gravità della minaccia di “Cosa nostra”, rischiando, ancora una volta, di vanificare gli sforzi compiuti. Una responsabilità che non può essere attribuita alle Forze di polizia ma direttamente a chi governa, a coloro ai quali spetta l’onere di ricordarsi che i problemi del Paese esigono assiduo impegno e grande competenza.
Franco Fedeli
(tratto dal numero di ottobre 1995)
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