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novembre-dicembre/2005 - Analisi
Amara e indigesta quella “torta gialla”
di Belphagor

Confermando le peggiori previsioni, la guerra in Iraq sta diventando sempre più un pessimo affare, non solo per chi l’ha subita (gli iracheni, naturalmente), ma anche per chi l’ha scatenata, o sostenuta, o in qualche modo avallata. Negli Stati Uniti (dove gli scheletri finiscono sempre con l’uscire dagli armadi, a conferma, malgrado gli errori commessi, della forza di quella democrazia) il redde rationem ha avuto all’inizio il nome di “Cia-gate”, ma presto ha assunto quello di “Niger-gate”, e qui, sia pure riluttanti, entriamo in scena noi, vale a dire il governo italiano e il servizio di informazioni militare (Sismi).
Una storia oscura e complessa, fatta di menzogne e di informazioni inventate di sana pianta, tese ad avallare la tesi del possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa (nucleari e chimiche), o quantomeno dei suoi tentativi di averle. Da tempo è noto che quelle armi in Iraq non c’erano, così come erano inesistenti i legami tra Saddam e il terrorismo islamico, altra giustificazione della “guerra preventiva”. Così, dopo di allora si è detto che comunque il conflitto era servito a “esportare la democrazia” in quel Paese, e che quindi tutti ci avevano guadagnato, compresi gli iracheni.
Lasciando da parte per il momento se questo sia vero o no, ci si chiede (o almeno lo si fa in America) quali pezze d’appoggio l’amministrazione Bush avesse per trascinare la nazione in una guerra rivelatasi disastrosa da ogni punto di vista. Ed ecco che si entra in un meandro di azioni coperte, di dossier truffaldini, di scambi di informazioni tra servizi all’insegna del “qui lo dico e qui lo nego”, di indagini chieste dall’alto per scoprire ciò che non esiste, e così via. Dato che nessuno degli attori si sente tenuto a raccontare esattamente le cose come stanno (e sarebbe inusuale il contrario), orizzontarsi è piuttosto difficile.
Per quel che si sa, all’origine abbiamo un rapporto inviato il 15 ottobre 2001 (un mese e cinque giorni dopo l’attentato alle Twin Towers) dal Sismi alla Cia: in esso si comunica che “ evidenze di intelligence”, fornite da una fonte attendibile da tempo in rapporto con il Sismi, chiamata “la Signora”, l’Iraq sta cercando di acquistare nel Niger uranio grezzo, detto “yellow cake”. La Cia risponde che l’informazione appare molto dubbia, e il generale Nicolò Pollari, succeduto in quei giorni all’ammiraglio Battelli alla guida del Sismi, replica sottolineando che si tratta solo di un’ipotesi. Quanto a “la Signora”, che sarebbe una funzionaria dell’ambasciata del Niger a Roma, apparirà in un altro contesto “informativo”, per poi dileguarsi dietro le quinte.

* * *
Se il rapporto inviato dal Sismi alla Cia è scarno e prudente, presto entra in circolazione un voluminoso dossier nel quale le contrattazioni tra Iraq e Niger per l’acquisto della “yellow cake” (500 tonnellate di “torta gialla, si afferma) sono ampiamente documentate: un materiale, è il caso di dirlo, esplosivo, la prova delle bieche intenzioni del tiranno di Baghdad, la giustificazione di uno sbrigativo intervento militare prima che sia troppo tardi. Un solo problema: il dossier è un falso integrale. Lo ha messo insieme un certo Rocco Martino, ex carabiniere ed ex collaboratore del servizio segreto militare, aiutato da un suo amico, il colonnello Antonio Nucera, vice capocentro del Sismi fino al gennaio 2002 (quando va in pensione), e da una terza persona. Singolare coincidenza, si tratta di quella “Signora” che ha fornito informazioni sullo stesso tema al Sismi, e dal Sismi trasmesse, con clausola dubitativa, agli americani. O forse si tratta delle medesime informazioni. Comunque, un “bidone”.
Corre l’anno 2002, e Rocco Martino cerca di rifilare, in cambio di un congruo compenso, il suo pacco di carte fasulle a destra e a sinistra. A Roma prende contatto con il capostazione della Cia presso l’ambasciata Usa, Jeff Castelli, che però non lo prende in considerazione. A Bruxelles fa la stessa offerta ai “servizi” francesi, e al MI6 britannico. Il dossier gira, se ne parla negli ambienti bene informati, ma nessuno sembra prenderlo sul serio. Arriva anche alla redazione di Panorama, che ne consegna una copia all’ambasciata americana a Roma, e ne pubblica alcuni estratti. Il 9 settembre 2002 Nicolò Pollari, accompagnato da alcuni funzionari del Sismi, è a Washington, dove incontra Condoleeza Rice, allora consigliere per la sicurezza, e il suo vice Stephen Hadley: “una semplice visita protocollare”, si affermerà, nella quale di uranio non si parla.
Eppure, nel febbraio 2002, il vicepresidente Dick Cheney ha chiesto alla Cia di verificare le notizie sull’uranio nigeriano venute dall’Italia. Quali? Quelle del Sismi, o quelle di Rocco Martino? Il fatto è che Cheney, il capo del Pentagono, Rumsfeld, Condoleeza Rice, e lo stesso Bush, hanno urgenza di trovare delle giustificazioni alla guerra già messa in cantiere. Mentre da Langley, sede della Cia, si continua a rispondere che non c’è nulla di vero, e che una guerra contro l’Iraq sarebbe un errore, sia per quanto riguarda il rischio delle armi di distruzione di massa, sia per la lotta al terrorismo. Ma Cheney insiste, e viene mandato in missione nel Niger Joseph Wilson, ambasciatore di carriera, esperto di Africa: tornato dalla sua missione, Wilson afferma nel suo rapporto, inviato al Dipartimento di Stato, che le notizie sugli acquisti di uranio nel Niger sono pure invenzioni. Nel gennaio 2003 Bush, pronunciando il rituale discorso sullo stato dell’Unione non tiene conto di quel rapporto, anzi afferma il contrario. L’ambasciatore controbatte con un articolo sul New York Times raccontando la storia della sua missione. E scatta la vendetta della Casa Bianca: informati da Lewis Libby, primo consigliere di Dick Cheney, giornalisti compiacenti scrivono che la moglie di Wilson, Valerie Plane, è da anni un agente “sotto copertura” della Cia. E la Cia, si sa, è contraria alla guerra… Solo che rivelare l’identità di un agente segreto “sotto copertura” è un crimine federale, e un procuratore generale (peraltro di simpatie repubblicane) manda sotto processo Lewis Libby. La Casa Bianca tace, e trema. In America non si scherza con la legge, e l’ombra dell’impeachment incombe sempre sulla presidenza.

* * *
E ora che al “Cia-gate” si intreccia il “Niger-gate”, grazie soprattutto a una ampia e precisa inchiesta di La Repubblica, condotta in Italia e negli Usa da Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, è lecito attendersi nuovi lumi su questa vicenda. Non si tratta, infatti, di un semplice scandalo politico, e sembra inutile spiegare nuovamente perché. Negli Stati Uniti l’Fbi, indaga – come è suo compito di organismo incaricato del controspionaggio – su chi ha voluto ingannare la presidenza con false informazioni. Anche se tutti sanno che la presidenza, da Gorge W. in giù, voleva essere ingannata, ignorando chi cercava di metterla sull’avviso. In Italia, più silenzi che risposte. Il Sismi si chiama fuori da tutto, e il Comitato parlamentare di controllo, maggioranza e opposizione unite, lo assolve benignamente. Il Presidente del Consiglio rivela di essere stato sempre contro la guerra in Iraq, e di aver tentato invano di dissuadere “l’amico George”, pur se ripetute volte, gli aveva espresso pubblicamente piena adesione, dicendo anche che, sulle famigerate armi, “ora sappiamo che ci sono ulteriori prove certe”. Sappiamo? Sarebbe opportuno che si dicesse che cosa sapevano, e chi li aveva informati:

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