George Orwell, nel 1948 scrivendo il suo “1984” ci avvertiva dei pericoli di una società-regime sottoposta ad un continuo controllo, da parte del “grande fratello”, attraverso subdoli schermi posizionati ovunque, sia all’interno che all’esterno di ogni ambiente pubblico e privato, con duplice funzione: d’intrattenimento e di controllo. La funzione primaria, quella dell’intrattenimento, era propedeutica a quella secondaria, ciò per consentire al “partito” il controllo sociale, culturale, morale e comportamentale della società.
Nonostante la visione orwelliana, la società “moderna” si è affidata ormai quasi totalmente a sistemi di video-sorveglianza per soddisfare le sue maggiori voglie-esigenze di sicurezza. Ormai, basta prestare un poco di attenzione, possiamo notare anche nei posti pubblici e/o privati più impensabili telecamere di tutte le dimensioni e forse sono presenti anche dove non se ne vedono, molto probabilmente è perché sono occultate e quindi ancora più subdole.
Certo, la società civile, attraverso la politica, ha cercato di darsi delle regole istituendo il Garante della Privacy. L’organismo che oltre a creare un vademecum sul corretto uso, raccolta, archiviazione e distruzione delle immagini, vigila sul rispetto delle regole imposte a tutela e nell’interesse di tutti. In ormai tutti gli ambiti, l’uso delle telecamere e della video-sorveglianza è diventata consuetudine (banche, uffici postali, stazioni ferroviarie, aeroporti, autostazioni, distributori carburante, centri storici, uffici pubblici, caserme, campi sportivi, ecc.) e dovrebbero servire “fisiologicamente” quale deterrente nei confronti di chi volesse commettere azioni criminali e di riflesso dare ai fruitori del servizio di video-sorveglianza una maggiore “sensazione” di sicurezza. In caso di azioni criminali, dovrebbero servire di supporto all’attività investigativa della Polizia giudiziaria, su delega del magistrato competente. Invece registriamo ormai in tutti i campi un “abuso” della video-sorveglianza e delle immagini raccolte e si tende a sostituire l’occhio umano con l’occhio elettronico in tutte le situazioni.
L’occhio elettronico viene anche usato per vigilare sui “comportamenti” degli sportivi durante le competizioni, esautorando di fatto gli arbitri, giudici di gara, ecc., quindi l’uomo e la sua capacità di giudicare. Anche per quanto riguarda le contestazioni delle infrazioni al Codice della Strada, l’occhio elettronico in molti casi ha sostituito l’uomo nel riscontro delle violazioni “comportamentali”. Questo tipo di controllo della società e dei suoi “comportamenti”, oltre a non risolvere i problemi di natura criminale che colpiscono banche, uffici postali, esercizi commerciali ed abitazioni, non ha nemmeno risolto quelli di natura amministrativa relativi alle infrazioni al Codice della Strada. Quindi dovremmo chiederci se gli occhi elettronici, oltre ad essere una tecnologia altissima in tanti campi, abbiano assolto al loro compito “deterrente” nei confronti dei comportamenti illeciti che colpiscono la collettività e se senza di loro questa società sarebbe peggiore.
Personalmente ritengo che in molti casi si è passati dall’uso “fisiologico” di questi sistemi ad un uso “patologico” degli stessi, tant’è che nell’ambito Polizia di Stato, c’è qualcuno che considera legittimo effettuare controlli sul sistema remoto del controllo di vigilanza interna delle caserme e degli uffici al fine di controllare e verificare il corretto “comportamento” dei lavoratori di Polizia e, da “ventilata” notizia, ci giungono voci di aperture di procedimenti e comminazioni di sanzioni disciplinari usando detti sistemi.
In tempi non sospetti dicemmo che tali sistemi potevano essere “patologicamente” usati contro i lavoratori se non doverosamente regolamentati, ma i soliti noti ci hanno rimbrottato con i soliti epiteti, “siete degli allarmisti!”. Solo il tempo poteva darci ragione o torto e, dispiace dirlo, siamo stati “facili profeti”. Ora serve intervenire in modo serio per regolare l’uso di tali sistemi, che non possono essere avulsi dalle garanzie giudiziarie, legali e della privacy, ciò nell’interesse di tutti e per evitarne l’abuso a danno dei lavoratori.
Forse anche George Orwell quando pubblicò il suo libro fu considerato un “allarmista”.
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