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Ottobre/2005 - Contributi
Gioco sotto processo
di Ugo Vandelli - Segr. Reg. Siulp - Emilia Romagna

Siamo all’ennesimo allarme sull’ordine pubblico nel calcio, all’ennesima rappresentazione, ad uso e consumo dei mass-media, di scenari assurdi, di competenze travisate, di responsabilità mai assunte, di ruoli negati.
Mentre proliferano gli “esperti”, dalla ricetta in tasca e dal sorriso stampato sulla faccia, e si scatena fazioso il dibattito politico sul disagio sociale che sta dietro le frange di ultrà che ad ogni partita di calcio si presentano allo stadio con l’intento di spaccare qualche testa tra i poliziotti (i quali, a differenza degli ultrà, non meritano neanche un piccolo studio sul proprio disagio), e mentre altri, un pochino più sbrigativi, invocano misure drastiche per eliminare i teppisti, una volta per tutte, i poliziotti avvertono sulla propria pelle le mille incongruenze di una situazione oramai insopportabile. Evitando pertanto ogni ulteriore commento sugli “urlatori” da processo del lunedì, cerchiamo seriamente di chiarire alcuni punti, secondo noi determinanti per migliorare la situazione. Non esiste in Italia una disciplina normativa che obblighi chi costruisce gli stadi a dotarli di criteri minimi funzionali per la corretta gestione dell’ordine pubblico: mancano le aree di pre-controllo, mancano i varchi di filtraggio, mancano persino barriere divisorie inserite nell’architettura complessiva che possono fare da sbarramento tra i gruppi di opposte tifoserie. Ancora oggi, in molti stadi sono i poliziotti a fare le veci di una vera e propria “barriera vivente” soggetta a continue aggressioni fisiche o nel migliore dei casi, verbali. Manca una soddisfacente organizzazione della vendita dei biglietti, per cui nessuno sa con esattezza quanti spettatori saranno presenti alla partita, nessuno sarà mai in grado di identificarli e, nell’anonimato, trionfa l’istinto primordiale alla sopraffazione e alla devastazione. Ci fa piacere sapere che in questo campionato ci sono meno feriti, tra le Forze di polizia e i cittadini, ad oggi “appena” 637 feriti tra le Forze dell’ordine e 255 tra i tifosi. Si contano però 244 arrestati e 993 persone denunciate a piede libero all’Autorità giudiziaria. Non vi sembra una follia ormai tranquillamente accettata dall’opinione pubblica che durante ogni partita poliziotti, carabinieri e finanzieri se ne debbano tornare a casa con la testa rotta o la spalla fratturata semplicemente perché una masnada di teppisti ha voluto sfogarsi dello stress accumulato durante una settimana?
Ci pare strano che nessuno oggi voglia porsi il vero problema dell’ordine pubblico nello stadio: ed è un problema talmente grave e talmente assurdo che nessuno forse ha il coraggio di porselo. Cominciamo a pensare che sia “accettabile”, per qualcuno, sopportare un bilancio di feriti tra le Forze dell’ordine ad ogni incontro di calcio, pur di mantenere lo status quo attuale. Pare che, di fronte agli interessi milionari in gioco, delle società, dei diritti televisivi, del mondo dello spettacolo, degli stessi mass-media specializzati, l’incolumità di poliziotti e carabinieri possa passare in secondo piano. Perché è assurdo, che a tutt’oggi nessuno abbia capito quello che ogni operatore di Polizia, che abbia fatto un servizio di ordine pubblico allo stadio, sa benissimo: queste centinaia di balordi non vogliono vedere la partita, ma vogliono soltanto creare disordini, sulla pelle delle divise blu. Non ci sono scontri sugli spalti soltanto quando perde la squadra di casa: ci sono scontri sempre, dappertutto, a prescindere dallo stesso andamento della partita e che rivelano organizzazioni, tattiche e perfino strategie, e non sono quindi certo frutto di improvvisazioni. Si possono allora stabilire nuove regole, nuovi criteri per costruire gli stadi, nuove norme per inasprire le attuali sanzioni penali o invocare il modello inglese. Ma tutto questo a ben poco servirà finché non si crea, sul problema dell’ordine pubblico da stadio, un consenso sociale: finché non si diffonde la consapevolezza che la situazione così è perché a qualcuno così conviene che sia, per motivi di puro interesse economico. E’ tempo che tutto questo finisca. Apprezziamo allora finalmente un segnale positivo che viene dal Ministro dell’Interno: “l’incolumità di un solo poliziotto o di un solo carabiniere vale più di una partita di calcio”. Forze è giunto il momento di una svolta decisiva per un problema assurdo e che è durato anche troppo. La dignità del lavoratore di Polizia va recuperata soprattutto nel rifiuto di una logica antica e crudele, quella secondo la quale gli addetti alla sicurezza devono sacrificare la propria incolumità personale non solo per il bene comune, ma anche, se occorre, per l’assurdo comportamento di una banda di teppisti. Logica che adesso deve veramente finire.
Ma come esistono due facce della medaglia, esistono anche società e tifosi non “omologabili” con gli esempi negativi riportati. Tra queste società possiamo annoverare il Cesena Calcio, che militando oggi nel campionato di serie “B”, vanta tradizioni illustri e quindi può contare su: uno stadio relativamente ben strutturato e concepito per fornire una buona funzionalità e un’adeguata sicurezza; il dirigente del servizio di ordine pubblico, che malgrado le minime risorse umane messe a sua disposizione, riesce sempre a garantire ottimi livelli di sicurezza; una tifoseria locale che, tutto sommato, non eccede in atti di teppismo o di violenza gratuita. Premesso ciò, uno sguardo, ed anche uno studio approfondito sullo stadio, sui servizi di sicurezza e sulla tifoseria, espressione di una realtà da imitare come quella di Cesena, non farebbe male a chi frequenta regolarmente, il più delle volte con superficialità, i salotti dei vari “processi”!

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