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Ottobre/2005 - Contributi
Stanco di ripetere le stesse cose
di Gianclaudio Vianzone - Segr. gen. Siulp - Piemonte

Ultimamente alcuni amici mi hanno chiesto come mai non hanno più visto comparire i miei scritti sui giornali. Interpellandomi da solo in merito, mi sono chiesto quale fosse la causa di questa mia assenza. Semplice - mi sono risposto - sono stanco di ripetere sempre le stesse cose e non trovo grandi novità da esporre. Peraltro, in una società sempre più virtuale, che sempre più volte vuole conformare gli individui ad un modello consumista e privo di valori, al quale da ca contraltare - nella maggioranza dei casi - un intellettualismo elitario di maniera, non vedo quale senso abbia più per un sindacalista della Polizia di Stato esprimersi pubblicamente.
Certo, lo scrivere sui giornali può essere un esercizio corroborante per chi inizia ora l’attività sindacale, o per chi ha necessità di dare una ribalta al proprio ego - per puro egoico compiacimento o per future carriere politiche - ma perde di significato quando uno si rende conto che per anni ha scritto ripetutamente gli stessi appelli, le stesse denunce e le stesse informazioni, senza che ciò servisse a null’altro che a far trascorrere qualche minuto di lettura a qualcuno che immediatamente dopo si scordava dei contenuti di quanto aveva letto.
Probabilmente, la gratificazione maggiore può giungere dalle centinaia di addetti agli uffici stampa degli apparati di sicurezza, che loro malgrado devono porre maggiore attenzione a quanto i sindacalpoliziotti dicono. Ma oltre a ciò? La politica in Italia ha raggiunto i livelli più bassi che si siano mai visti negli ultimi cinquant’anni. Duelli televisivi a suon di insulti ed illazioni; dibattiti radiofonici durante i quali il confronto dialettico si traduce in una schermaglia con slogans calcistici; amministratori pubblici che sconoscendo le realtà lavorative se ne riempiono però la bocca fornendo falsi dati e confutando quelli reali dichiarati dai sindacati. Che bel contesto!
Ed in questa realtà, ove tutti sono così calati nel loro ruolo sociale da scordarsi di essere innanzitutto delle persone, che spazio c’è per un insignificante quadro sindacale (senza neppure ruoli nazionali!) e per i suoi iscritti?
Da almeno dieci anni scrivevo quanto la voglia dei lavoratori e delle lavoratrici di Polizia di essere pienamente intefrati nella società civile e di essere cittadini a pieno titolo, doveva procedere parallelamente ad una crescita consapevole verso un modello civile e democratico di sicurezza da parte dell’Amministrazione.
Risultato? Tanti bei dibattiti (passerelle?), tanti impegni dei politici (promesse da marinaio) ed intanto il vento della riforma è stato spazzato da quello dell’antiriforma. La Polizia di Stato ha incominciato la propria regressione verso i primordiali istinti del più becero militarismo nell’indifferenza generale. Sempre più bastone e meno carota, vale a dire più discipline e meno premi, ma anche introduzione dei militari ed irrigidimento dei rapporti gerarchici. Conseguenza di processi sociali interni che seppur denunciati dieci anni or sono, si sono evoluti senza contrasto.
Oggi, mentre in tale contesto si inserisce la penalizzazione anche economica della categoria - i tagli del 50% dei fondi per la sicurezza civile sta facendo danni devastanti ed irreparabili - che senso ha continuare a strillare la propria rabbia, il proprio disgusto o anche solo le proprie proposte per un rifondato concetto di Polizia? Se qualcuno è in grado di darmi una risposta convincente, forse mi stimolerà a riprendere il rapporto con i media, ma se anche questa volta, come per migliaia di altre volte non avrò risposte... potrò in buona coscienza dirmi che posso cambiare ruolo ed assumere una parte più coerente che mi esima dall’ipocrisia di un teatrino sempre più squallido.

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