Si fa sempre più pressante, nella nostra Regione, la situazione negli Istituti di pena. Cosa è cambiato rispetto a circa due anni addietro, quando lei assunse il mandato di Garante?
Voglio precisare che il mio mandato è stato assunto operativamente dal febbraio 2005.
In ogni caso, nel mondo penitenziario del Lazio ed in Italia, il dato esclatante che emerge è l’aumento straordinario dei detenuti.
Oggi nel Lazio abbiamo circa 6.000 detenuti ristretti nelle carceri a cui si devono aggiungere altri, circa 4.500 che sono in trattamento esterno.
Il personale di custodia lamenta superlavoro a causa delle carenze di organico. Esiste realmente la possibilità di “recuperare” uomini e donne della Polizia Penitenziaria, attualmente distaccati ad altri incarichi?
A causa anche di questo sovraffollamento, il lavoro della Polizia Penitenziaria è cresciuto, si è complicato ed è diventato sempre più stressante.
In realtà si dovrebbe imboccare la via della riforma della pena per uscire dal circuito carcerario che è visto, purtroppo anche nell’opinione pubblica, come unica risposta alla violazione delle leggi.
Angiolo Marroni, Garante per i diritti dei
detenuti nel Lazio, risponde ad alcune
domande sulla situazione dei ristretti negli
Istituti della Regione. L’impegno del suo Ufficio
è quello di operare in favore dei
detenuti che si rendono disponibili
All’interno di questo, c’è il problema di tanti poliziotti che sono occupati in attività che non dovrebbero svolgere e che normalmente contribuiscono alla perdita di professionalità.
Si assiste a poliziotti che fanno i baristi, altri i telefonisti, altri gli usceri, ecc. ecc.
Tutto ciò è ridicolo ed è uno spreco di risorse intellettuali e professionali ed un impoverimento delle carceri. Di questo ne soffrono gli stessi detenuti.
Qual è la situazione sanitaria dei detenuti nelle carceri del Lazio?
Rebibbia e Regina Coeli possono apparire in buone condizioni. Ma il Lazio non è solo Rebibbia e Regina Coeli.
Adesso si sono aperte le strutture ospedaliere presso l’ospedale Sandro Pertini di Roma ed il Belcolle di Viterbo; ma l’assistenza sanitaria complessivamente non va bene e troppi casi drammatici esplodono di tanto in tanto nella nostra Regione.
Per affrontare queste situazioni abbiamo avviato un rapporto proficuo con l’Assessorato Regionale alla Sanità che credo darà, a breve, i suoi frutti positivi anche nel tentativo di mettere insieme l’assistenza sanitaria interna con quello che le Asl devono fornire, in uno sforzo di superamento di questo dualismo.
Quali sono i progetti del suo Ufficio per migliorare, ove possibile, la situazione dei ristretti negli Istituti di pena della nostra Regione?
La nostra attività va e deve andare, nel senso di garantire la dovuta attenzione per i singoli casi personali che ci vengono sottoposti attraverso le permanenze settimanali che abbiamo in tutti gli Istituti della Regione.
Accanto a questo poi c’è il nostro impegno per promuovere la formazione professionale interna agli Istituti, per dare occasione di lavoro, per avviare allo studio, all’istruzione, tutti i detenuti che si rendono disponibili, programmare attività culturali, collaborare con le direzioni degli Istituti ed il Provveditorato perché il tutto funzioni, anche attraverso la magistratura di sorveglianza, nel rispetto dei principi costituzionali che stabiliscono la funzione della pena.
In tutto questo debbo lamentare che dal Dap e dal ministero di Giustizia, l’attività del mio Ufficio viene tuttora definita come attività di volontariato, malgrado che la legge regionale, e quindi legge di valore statuale, la preveda in modo del tutto diverso.
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