Una donna islamita rivela i retroscena
della comunità canadese:
segregazione fra ragazzi e ragazze,
il velo per le donne, la proibizione per
queste ultime di praticare
attività sportive, la poligamia
Homa Arjomand non si sarebbe mai immaginata di avere di nuovo a che fare con la sharia. Lei, che nel 1989 era scappata dall’Iran in groppa ad un cavallo, col marito e i due figli. In fuga dall’orrore iraniano, dagli imprigionamenti e dalle esecuzioni sommarie. Dall’incubo di vivere sotto la sharia, la legge islamica. Grazie ad una soffiata la Arjomand aveva saputo che sarebbe stata arrestata di li’ a poco. La sua “colpa” era lottare per la democrazia e i diritti delle donne. L’unica via di salvezza la fuga. Verso l’occidente e la libertà. E ora, come in un sequel di un film del terrore, la sharia ha rischiato di arrivare in Canada, il paese di adozione della Arjomand.
Una sharia abbellita, non cosi’ crudele come la versione originale, quella nigeriana, quella di Amina e Safya. Una sharia animata dalle migliori intenzioni. Dare alla comunità musulmana la possibilità di regolare le diatribe familiari secondo le usanze dell’islam. In maniera legale. Attraverso la Arbitration Act del 1991 che concede, in Ontario, questa possibilità anche ad altre comunità. Con tutte le garanzie del caso. I propugnatori dell’iniziativa, abilissimi oratori, hanno assicurato che non ci sarà taglio delle mani, né lapidazione. Nulla di cui inquietarsi perchè nessuna donna sarà obbligata a regolare le questioni familiari col tribunale islamico e, in caso non fosse soddisfatta, potrà sempre rivolgersi al tribunale civile. Eppure la Arjomand e i suoi sostenitori non sono stati affatto soddisfatti di queste assicurazioni. Perché i conti non tornano. Alla conferenza stampa “Rendere la mia comunità sicura” incentrata sulla lotta alla violenza sessuale, Homa Arjomand ha rivelato i retroscena della questione. “Vorrei descrivere la situazione delle donne e delle ragazze che vivono nelle comunità islamiche in Ontario. Le ragazze sono segregate dai ragazzi da giovanissime, sono costrette ad indossare il velo e non possono praticare alcuna attività sportiva. Alcuni genitori danno in matrimonio le figlie persino a tredici anni. La poligamia, attraverso l’adozione dei costumi della sharia, sta diventando la norma in queste comunità. Una donna che disobbedisce alle regole è disconosciuta dalla famiglia e maltrattata dalla comunità. E la cosa triste è che il governo dell’Ontario, attraverso il suo silenzio, sta legittimando l’oppressione, l’ineguaglianza e l’ingiustizia nel nome del rispetto delle altre culture. Cosi’ il governo dell’Ontario ha già generato un’atmosfera di paura e di indottrinamento religioso tra le donne musulmane.
E sta giustificando due sistemi di valori e di diritti per i cittadini nell’Ontario”. La Arjomand sa bene di cosa parla. Lei che lavora per l’inserimento delle donne immigrate e si batte per la difesa delle donne maltrattate. La Campagna contro la corte della Sharia in Canada ha generato un acceso dibattito anche all’interno della stessa comunità musulmana. A condurre la battaglia sono le stesse donne musulmane, le prime interessate. Ma il governo provinciale, in un primo tempo, non ha sentito ragioni. “Le persone possono risolvere i loro contenziosi in qualunque modo sia accettabile e se decidono di farlo attraverso i principi della sharia usando un imam come giudice, questo è possibile ed accetabile secondo l’arbitration act” ha dichiarato Brendan Crawley, portavoce del procuratore generale dell’Ontario. Anche lo stesso Dalton McGuinty, premier dell’Ontario, ha dichiarato che le donne non hanno nulla da temere dal riconoscimento dei tribunali islamici. Una dichiarazione infelice. Alla quale gli oppositori della sharia hanno risposto in maniera sferzante. “Non ci parli della sharia, Signor McGuinty. Vengo da un paese dove lo stupro coniugale è protetto dalla legge islamica” ha ribattuto Mahmud Ahmadi della Federation of Iranian refugees. Altre risposte sono arrivate col silenzio. Quello delle tre donne musulmane che avrebbero dovuto partecipare lo scorso 8 settembre alla giornata di protesta contro la sharia. Vittime delle decisioni del tribunale islamico e di mariti violenti, queste donne non hanno potuto raccontare la loro testimonianza.
Il centro per donne maltrattate che le ospita non è stato in grado di assicurare la loro incolumità. Un incidente che ha mostrato anche a chi non voleva vedere, il vero rischio della sharia. Le donne musulmane si sono trovate quindi nella condizione paradossale di dover lottare non solo contro i propugnatori della corte islamica ma anche contro il governo provinciale che, almeno in teoria, dovrebbe garantire la separazione tra lo stato e la chiesa e la parità di diritti tra uomini e donne. Come accade nella provincia della Columbia Britannica il cui procuratore generale, Geoff Plant, ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di riconoscere tribunali religiosi e che le dispute inerenti al diritto di famiglia continueranno ad essere seguite dalle corti civili dello stato. Una decisione accolta con gioia e sollievo dalle donne musulmane. “Siamo molto contente che il procuratore generale della Columbia Britannica non abbia accettato di riconoscere la sharia perché crediamo che questo violerebbe i diritti delle donne in Canada” ha affermato al Vancouver Sun Razia Jaffer, del Canadian Council of Muslim Women. E come accade anche nello stato del Quebec, dove Fatima Houda Pepin, deputata musulmana, ha condotto la battaglia legislativa contro la sharia, il cui riconoscimento è stato respinto. A votazione unanime. Fatima ha denunciato gli islamisti spinti e finanziati dall’Iran e dall’Arabia Saudita. Le comunità musulmane, accresciutesi notevolmente nell’ultimo decennio, contano circa 600.000 persone, un gran numero dei quali vive in quartieri musulmani con scarsi o inesistenti contatti col mondo esterno.
Il governo canadese, che ha una politica molto aperta nei confronti dell’immigrazione, ha fatto dell’approccio multiculturale una religione. Ora, con la questione della sharia e le conseguenti polemiche, stanno venendo fuori quelli che sono i risultati poco calcolati della politica multiculturalista ad oltranza. Rispettando tutte le culture indiscriminatamente e creando spazi particolari in cui le varie comunità etniche si autogestiscono, si sta venendo meno a uno dei principi base della democrazia: la parità uomo-donna. E’ quello che denunciano a chiare lettere la Arjomand e i suoi sostenitori. “Si stanno sacrificando le donne sull’altare del multiculturalismo, c’è una mancanza di coraggio da parte del governo e anche una paura di offendere la sensibilità dei musulmani. Ho scelto di venire in Canada proprio per il multiculturalismo. Ma, una volta arrivata qui, ho capito quanto danno questa politica sta facendo alle donne. Ora sono contro. Sta diventando una barriera ai diritti delle donne.” Spesso infatti, nel nome del rispetto delle diversità e delle altre culture i leader politici danno spazio ad espressioni quanto meno inquietanti. Come è accaduto a Londra, quando il sindaco Ken Livingston, peraltro di idee progressiste, ha ricevuto vari leader islamici noti per sostenere che “gli ebrei sono peggio dei porci e delle scimmie”, che “gli omosessuali devono essere uccisi”, che i mariti possono picchiare le proprie mogli e che nella sfera pubblica uomini e donne devono stare in spazi segregati. In nome della tolleranza, si arriva a tollerare l’inverosimile. Contro tali derive Homa Arjomand ha avuto due alleate d’eccezione: Irshad Manji e Hirsi Ali. Due paladine dei diritti delle donne. Irshad, la giornalista autrice di “The trouble with Islam today” e fautrice del Project Ijtihad, il cui obbiettivo è riformare la fede islamica attraverso il coinvolgimento delle donne. L’autrice, lesbica dichiarata, è una delle voci dei musulmani progressisti. Hirsi, l’apostata, la deputata olandese di origini somale, autrice del documentario Submission e di tanti articoli in cui denuncia la violenza alle donne commessa nel nome della fede islamica. Tutte, nella conferenza tenutasi all’Università di Toronto lo scorso 12 agosto, hanno denunciato i rischi dei tribunali islamici. Appoggiate anche dalle donne cristiane. A dare il sostegno contro la sharia anche la Young Women Christian Action e il Canadian Unitarian Council, gruppi progressisti che non hanno tradito i propri ideali. Come molte femministe canadesi, accorse alle manifestazioni organizzate contro la sharia. E uomini musulmani illuminati e coraggiosi. Come Tarek Fatah, del Canadian Muslim Congress, che desidera che le proprie figlie vivano secondo la legge dello stato canadese. Protette quindi da ingerenze e discriminazioni. Finalmente l’11 settembre, McGuinti, ha posto la parola fine alla polemica. “Non ci sarà nessuna sharia in Ontario. Ci sarà una legge uguale per tutti.” Una decisione improntata al rispetto dei valori canadesi di laicità e uguali diritti. E al buon senso. Mostrato dal sondaggio del Globe and mail che ha rivelato che il 94% dei cittadini canadesi è contrario alla sharia. Finalmente la Arjomand e i suoi sostenitori hanno potuto tirare un respiro di sollievo.
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