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Ottobre/2005 - Articoli e Inchieste
Nicola Calipari
Su quella morte l'obbligo della verità
di

L’uccisione, il 4 marzo scorso
del dirigente del Sismi mentre stava per
raggiungere l’aeroporto di Baghdad dopo aver
liberato la giornalista Giuliana Sgrena, rischia di
rimanere avvolta in reticenze, ambiguità,
menzogne; ai membri italiani della Commissione di indagine era stato impedito di interrogare i responsabili e i testimoni della sparatoria, e le Autorità statunitensi continuano a ignorare le richieste della magistratura italiana


“Nicola ha non solo condotto a termine la sua missione, la liberazione di Giuliana Sgrena, ma ha anche sacrificato la sua vita per proteggerla dal ‘fuoco amico’ e, proprio per rispettare quella bandiera nella quale è tornato avvolto da Baghdad, continuo a chiedere con forza e determinazione la verità su quanto è realmente successo e di far luce sulle responsabilità di coloro che direttamente o indirettamente ne hanno causato la morte. Non è possibile avere pace se non c’è giustizia”: così Rosa Calipari conclude la sua testimonianza nel libro “Nicola Calipari – ucciso dal fuoco amico”, che l’Unità ha stampato e diffuso lo scorso settembre. La vedova del dirigente del Servizio di informazioni militare, contenendo con grande dignità il dolore che prova per la perdita del suo compagno, per il padre dei suoi figli, pone una semplice domanda, semplice ma pesante: perché? Perché un’auto con a bordo due funzionari del Sismi, e un ostaggio appena liberato, ormai quasi giunta al checkpoint dell’aeroporto di Baghdad, dove era attesa da un ufficiale americano, dal generale italiano Marioli, vicecomandante del Corpo d’Armata multinazionale, e da un altro funzionario del Sismi, sia stata mitragliata da una pattuglia mobile che apparentemente non avrebbe dovuto trovarsi lì. La Bp (Blocking position) 541, due blindati del 76° Reggimento Artiglieria mobile della Terza Divisione di Fanteria Usa, aveva preso posizione alle 19.30 del 4 marzo, per proteggere il passaggio dell’auto di John D. Negroponte, ambasciatore americano a Baghdad, da pochi giorni nominato supervisore di tutti i Servizi segreti statunitensi. Negroponte, preceduto e seguito dalla sua scorta di “contractors”, era passato alle 19.45, diretto alla base di Camp Victory, attigua all’aeroporto. Ma la Bp 541 rimane sul posto, anche se la permanenza di questi blocchi non dovrebbe superare i 15 minuti. Non solo, ma nessuno ha informato quegli uomini che era attesa un’auto del Sismi. Eppure, l’ufficiale di collegamento americano, il capitano Green, che il mattino dello stesso giorno aveva fatto avere a Calipari, e al funzionario del Sismi, il maggiore A.C. che lo accompagnava, i badge di identificazione, e il permesso di essere armati, lo sapeva benissimo, e li attendeva al checkpoint dell’aeroporto. D’altra parte, il capitano Green, quando arriva la notizia della sparatoria, afferma che in quel punto non vi è alcun posto di blocco.
Com’è noto, i componenti americani della Commissione d’inchiesta hanno redatto una relazione che i tre membri italiani hanno rifiutato di sottoscrivere, stilandone una loro autonoma. Si deve sottolineare che agli italiani non è stato concesso di interrogare i militari che sarebbero stati presenti alla sparatoria, compreso quello che avrebbe aperto il fuoco contro l’auto, essendo stati già ascoltati dai loro superiori.
Stando a quanto affermano le Autorità statunitensi, l’auto, una Toyota Corolla, con a bordo Nicola Calipari, Giuliana Sgrena, e il maggiore A.C., alla guida, andava “troppo veloce”. Secondo le testimonianze di Giuliana Sgrena e del maggiore l’auto procedeva a 40-50 chilometri orari, e non poteva essere altrimenti: infatti il veicolo stava affrontando la curva di una rampa, con blocchi di cemento che ostruivano la corsia di destra, e procedendo su un manto stradale allagato. Sulla rampa, a 120 metri, si era trovata davanti la pattuglia con i blindati, e subito dopo l’improvvisa accensione di un faro, era stata investita dal fuoco. La mancanza di segnalazioni stradali, in inglese, con la parola “Stop”, e in arabo, che avvertissero della presenza della Bp viene considerata ininfluente, perché “comunque gli italiani non le avrebbero comprese”. Una giustificazione che si commenta da sola. E poi, si afferma che quella pattuglia nulla sapesse dell’arrivo di italiani così ignari dei segnali stradali. Inoltre, per le Autorità americane, l’“incidente” sarebbe dovuto alla mancata informazione da parte degli italiani della liberazione della Sgrena: ma l’arrivo dell’auto di Calipari era stato comunque segnalato, all’aeroporto si trovava un aereo pronto a prendere a bordo i due funzionari del Sismi, e al checkpoint li attendevano il generale Marioli, la più alta autorità militare italiana in Iraq, il capitano Green, l’ufficiale americano di collegamento, e il residente del Sismi a Baghdad. Che Giuliana Sgrena fosse o no a bordo dell’auto, non cambiava in alcun modo la situazione. Del resto, scrive il senatore Massimo Brutti nel libro edito da l’Unità, “bisogna ricordare che gli agenti del Sismi in Iraq non obbediscono alla catena di comando della coalizione, non dipendono in alcun modo dagli ufficiali Usa e rispondono del loro operato esclusivamente al governo italiano, anche quando stabiliscono rapporti con i Servizi segreti (a cominciare dalla Cia) o con le strutture militari dei paesi alleati operanti nell’area”. Nicola Calipari aveva deciso la sua strategia in pieno accordo con il governo italiano, e pur essendo il dirigente del Dipartimento Ricerca (preposto al coordinamento del dispositivo estero del Sismi), aveva voluto, per maggiore sicurezza, condurre personalmente la fase più delicata, e pericolosa, dell’operazione. Ed è stato ucciso proprio dopo che questa fase si era felicemente conclusa. La Toyota Corolla, noleggiata la mattina del 4 marzo all’aeroporto di Baghdad, e poi acquistata dal governo italiano – è giunta in Italia due mesi dopo il fatto. Il luogo della sparatoria era stato subito “ripulito” dai bossoli dei colpi sparati, e non è stato possibile ai membri italiani della Commissione (in realtà trattati come osservatori) effettuare una ricostruzione sul posto. Ufficialmente non si conoscono i nomi dei militari della Bp 541, ed è così lecito chiedersi chi ha veramente sparato. E quante armi sono state usate: una sola, o almeno due (è verosimile che non tutti i colpi sparati abbiano colpito la Toyota Corolla), come adombrano le, purtroppo tardive, perizie italiane. La magistratura di Roma ha inviato alle Autorità americane delle rogatorie rimaste senza risposta, e, con il passare del tempo, si rischia l’archiviazione. A meno di un intervento a Washington del governo italiano.
Rimuovere l’assurda morte di Nicola Calipari, che ha così duramente colpito la sua famiglia, e ha privato il Paese di un “servitore” fedele e prezioso, rinunciare a conoscere la verità, tenere nascoste le responsabilità, di qualsiasi tipo esse siano: questo sarebbe davvero inaccettabile.

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