Che la legge 121/1981 abbia apportato mutamenti rilevanti sul piano democratico per il Paese e per gli stessi appartenenti all’Amministrazione della Polizia di Stato è un dato di fatto indiscutibile. Così com’è altrettanto certo che il processo di riforma, persa la sua spinta iniziale a partire dagli anni Novanta, ha lasciato incompiuti i cambiamenti ipotizzati in tema di smilitarizzazione, coordinamento, allestimento di centrali operative comuni, rivisitazione dei percorsi formativi.
Mai come negli ultimi anni, però, si era assistito ad un attacco così concentrico alle fondamenta stesse della legge di riforma di cui, per sintesi, provo a ricordare alcuni dei tratti più salienti.
Partirei dalla frammentazione sindacale che, si sa, da sempre è stato uno degli strumenti che l’Amministrazione ha giocato per ridurre il potere contrattuale dei sindacati maggiori. In passato, ma è accaduto anche di recente, un grande sindacato come il Sap è stato ripetutamente interessato da questo genere di divisioni interne; ma non v’è dubbio che il danno maggiore allo sfaldamento del sindacalismo di Polizia è stato inferto sul finire del 1999 con l’uscita dal Siulp delle componenti vicine alla Uil e alla Cgil. Danno non tanto sul piano dei numeri giacché la scissione ha lasciato pressoché inalterato il livello di rappresentatività del Siulp, quanto piuttosto sotto il profilo della rottura di un processo unitario che ha sottratto cultura confederale e reso più esposta la Polizia di Stato ai rischi di evoluzioni corporative.
Dicevo in premessa come l’aspetto relativo al coordinamento sia rimasto uno dei capisaldi incompiuti della 121/81. In effetti il tema della mancata unificazione delle Forze di polizia, fonte di inefficienze, sprechi e sovrapposizioni, è addirittura uscito dal dibattito politico tanto che anche il ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, nel discorso alla festa della Polizia del 1999 dichiarò tra l’altro: “La pluralità delle Forze di polizia è un valore da salvaguardare contro una piatta uniformità”… Altro che smilitarizzazione della Guardia di Finanza!
Non bastasse, a mettere una definitiva pietra tombale su qualunque ipotesi di unificazione o coordinamento tra le due principali Forze di polizia ci pensò l’on. Dalema che con Legge 78/2000 conferì all’Arma dei Carabinieri il rango di quarta Forza Armata. Di fatto, in questo modo, non solo si accrebbe l’autonomia dei Carabinieri rispetto alle altre Forze di polizia ma si realizzò un’altra grave anomalia: “quella di essere l’unico Paese al mondo ad avere aggiunto una nuova dimensione di Forza Armata (?) a quelle di cielo, di mare e di terra”.
Altro tema controverso è senz’altro quello riguardante la smilitarizzazione. Al riguardo, senza nulla togliere all’effettività giuridica della legge di riforma, non può essere sottaciuta la permanenza nell’apparato di un’organizzazione di tipo militare. Tale pratica la si rinviene nella sopravvivenza all’eterna rincorsa ai riordini di carriera sganciati da ogni elemento d’effettiva professionalità che sono elemento costitutivo delle strutture militari; nella stessa direzione si inquadrano senz’altro le resistenze a riformare l’attuale regolamento di servizio e quello di disciplina che definirli vergognosi non è il peggio che si possa dire. Analogo discorso vale per la gestione della mobilità del personale che funziona forse peggio di quella ante-riforma.
Anche sul piano simbolico la persistenza dei cappellani militari in un’amministrazione che si vuole “civile”, gli alamari e i decori sempre più grandi e vistosi nelle divise degli “ufficiali”, le marce e i giuramenti a cui negli ultimi anni sono sottoposti persino i funzionari, a quale tipo di identità rispondono se non a quella militare?
Ma anche in questo caso al peggio non c’è mai fine. Mentre il Siulp tenta di conseguire la separazione del comparto sicurezza da quello della difesa, questo Governo con il consenso quasi unanime dell’opposizione è riuscito, all’insaputa del paese, a porre un altro macigno sulla strada dell’effettiva smilitarizzazione. Faccio riferimento alla legge che nel luglio 2004 abolendo la leva obbligatoria, ha stabilito anche che per entrare a far parte di una delle Forze di polizia (compresi i Vigili del Fuoco!) è indispensabile, per l’aspirante, il requisito dell’aver prestato il servizio di leva volontaria per almeno un anno consecutivo in una delle Forze armate.
Ora, se è vero che le scuole di specializzazioni (ma anche quelle di formazione primaria) sono ancora distanti dai livelli d’avanguardia auspicati dalla 121/81, sembrerebbe lungimirante investire nel miglioramento di questa peculiarità specialistica. Ebbene no. Le cose vanno esattamente nel verso opposto. Dopo aver smascherato il bluff di qualche anno fa, dietro al quale con la solita buona intenzione di “Ottimizzare e riorganizzare” si era tentato di nascondere lo “svuotamento” delle specialità, ora l’amministrazione è tornata alla carica. Questa volta il progetto sarebbe quello di accorpare in un unico centro - il Caps di Cesena - le altre tre principali specialità (Ferroviaria, Frontiera e Postale). L’alibi è il solito: “Esigenza di ottimizzazione”; l’obiettivo idem: ridimensionare e in prospettiva probabilmente cancellare le specialità. Anche la motivazione ora sembra più chiara: riduzione dei costi. Ed è risaputo, com’è dimostrato dai colleghi Carabinieri che queste specialità non le hanno, che le specializzazioni comportano costi aggiuntivi e soprattutto pongono maggiori vincoli contrattuali e meno flessibilità d’impiego.
D’altra parte che l’alibi dell’ottimizzazione non regge è dimostrabile da un altro fatto inoppugnabile che meriterebbe qualche risposta: come mai si preferisce risparmiare sui pochi “poli specialistici” che in ogni caso possono costituire centri di formazione permanente, mentre non si pensa di ottimizzare sull’ampio versante delle scuole primarie che da qui a qualche anno, per effetto del blocco delle assunzioni e della saturazione degli organici, saranno sottoutilizzati?
L’ultimo grave vulnus alla legge di riforma della Polizia di Stato credo sia quello costituito dalla cosiddetta “devoluzione”. In altre parole, al pari della Scuola e della Sanità pubblica, i propositori vorrebbero che anche in materia di sicurezza vi fosse nel nostro Paese uno spostamento di poteri e competenze verso le istituzioni locali. Al di la di come ognuno possa pensarla un dato è certo: la prospettiva non piace alla stragrande maggioranza dei cittadini e la legge è indigesta, oltre che a tutti i partiti d’opposizione, anche a molti parlamentari della coalizione di governo. Frattanto queste considerazioni sembrano non impensierire minimamente i sostenitori che anzi, mediante l’uso della leva finanziaria, pare abbiano ingaggiato una attività di snaturamento delle Polizie tradizionali a favore di quelle cosiddette locali. Alle prime vengono tagliati i fondi tanto che si stanno sempre di più assottigliando gli equipaggi e i presidi territoriali, mentre i secondi sono sempre più fiorenti e meglio attrezzati dalle istituzioni locali che si vedono costretti a sopperire - con spese aggiuntive da parte dei contribuenti - ai vuoti lasciati dall’istituzione centrale.
Se qualcuno pensa che questi episodi solo accennati siano negli anni “accaduti per caso” si sbaglia di grosso. Sono tutti parte di un unico progetto che prevede lo scardinamento del modello di sicurezza delineato dalla legge di riforma 121/81.
Forse anche noi, impegnati sui numerosi fronti di confronto e contrattazione con l’Amministrazione c’eravamo distratti. Forse ritenevamo impossibili regressi di questa portata perché eravamo certi che non giovassero a nessuno. O forse qualcuno ha pensato che bastava garantirsi il nostro consenso con buoni contratti, magari scambiando il nostro senso di responsabilità per un eccesso di moderatismo. Forse è un po’ di tutto questo. Ma ciò che conta è che abbiamo compreso per tempo che nulla si può considerare acquisito per sempre. Si tratta allora di alzare il livello di guardia e ancora una volta indicare anche agli altri la strada da seguire.
In ballo c’è il nostro modello civile di sicurezza che ogni organizzazione sindacale, ogni poliziotto e ogni cittadino deve sentire il dovere di difendere.
|