Il periodo d’oro per i predoni dei mari
è stato quello tra il ’500 e il ’700, quando imperversavano
nomi terribili come Roberts, Drake
e “Barbanera”. Oggi il fenomeno si ripresenta
anche in maniera drammatica
Esistono da prima dei Fenici, gli etruschi erano dei pirati temibili, in Sardegna i Nuraghi nascono per la necessità dei locali di difendersi dai predoni del mare, devono il loro nome ai romani, pare che lo stesso Giulio Cesare sia stato sequestrato da un gruppo di pirati, l’Invincibile Armada spagnola fu flagellata dalle navi di bucanieri e corsari.
Il periodo d’oro dei pirati fu tra il 1500 ed il 1700, le cui rotte incrociavano quelle dei mercantili nel mar Mediterraneo, nei Caraibi e nell’oceano Indiano. Molti pirati come Bartholomew Roberts (il pirata Roberts), Sir Francis Drake (il pirata gentiluomo) o Edward Teach (il pirata Barbanera), erano uomini, ma a volte, i pirati erano delle donne ed alcune, come Ching Shih, avevano al loro comando migliaia di uomini.
Noi li abbiamo conosciuti grazie ai romanzi d’avventura e all’industria cinematografica. Nella nostra memoria, formatasi con le fantasie di bambini o con le immagini dei film, i pirati sono, tutto sommato, simpatici, fieri, romantici e sognatori, a volte belli e non di rado ben vestiti. Nella realtà, i pirati vivevano vite miserabili, morivano a causa di malattie o di morte violenta, sotto forma di combattimento contro un altro uomo o d’impiccagione.
Altro che romantico sognatore, il pirata era un vero e proprio delinquente dedito alla rapina, all’omicidio, alla tortura e ad ogni traffico illecito, compreso il contrabbando di schiavi.
I pirati non erano tutti uguali. Due tipi particolari erano:
i bucanieri – Inizialmente erano dei cacciatori dell’ isola di Haiti, presero il loro nome dalla parola francese “boucan”, che era il braciere tipico su cui cucinavano le loro prede. Divennero pirati per vendetta, dopo che furono perseguitati dagli spagnoli, si unirono a bande di fuorilegge ed iniziarono a depredare le navi ed i possedimenti spagnoli. I bucanieri erano così spietati e le loro torture così famose che, a volte, i nemici preferivano morire piuttosto che cadere loro prigionieri;
i corsari – I primi ad essere chiamati con questo nome sono stati i pirati del Nord africa, che avevano il permesso di depredare le navi cristiane nel Mediterraneo. Successivamente, vennero chiamati “corsari”, i comandanti di navi private armate che erano autorizzati a sequestrare e depredare i mercantili nemici od ostili da una lettera di marca e rappresaglia. L’autorizzazione dei Corsari (o privateer) rendeva un duplice servizio, quello di fiaccare i rifornimenti nemici, permettendo al governo che li autorizzava, di risparmiare sulla costruzione di una flotta di marina più consistente. Quando i privateer sequestravano un vascello nemico dovevano sottoporsi ad un procedimento presso l’ammiragliato per assicurarsi che il saccheggio fosse legale. Tuttavia se catturati dai nemici, erano considerati pirati comuni ed impiccati. I corsari erano cosí efficienti che, quelli americani, affondarono o depredarono più di 1300 navi della marina da guerra e mercantile inglese durante la guerra del 1812.
Per difendersi dagli attacchi, le navi mercantili spesso imbarcavano armi, leggere come spade, pistole e fucili e pesanti come i cannoni e colubrine, tuttavia, i pirati erano sempre in gran numero e, dopo aver abbordato il mercantile, sconfiggevano i marinai che tentavano di difendersi, in cruenti combattimenti corpo a corpo.
Grazie al terrore che suscitavano, tramite i simbolismi delle loro bandiere nere piene di teschi ed ossa (Jolly Roger), i pirati, antesignani dei terroristi, invitavano le vittime ad arrendersi senza combattere. Usando la bandiera disadorna rossa invece, comunicavano che non avrebbero avuto pietà di nessuno e se ingaggiati in battaglia non ci sarebbero stati prigionieri.
Invece di combattere, spesso la maggior parte degli equipaggi dei mercantili si arrendeva o si univa alla ciurma pirata.
Gli equipaggi che cambiavano bandiera, avevano salva “la pelle”, si liberavano da una vita di stenti, dalla ferrea disciplina delle navi regolari e dalla costrizione a lavorare fino allo stremo per pochi soldi.
I marinai consideravano la vita del pirata avventurosa, egalitaria ed infinitamente più ricca, quando i pirati depredavano una nave, il bottino poteva far diventare l’equipaggio ricchissimo. E’innegabile che si correva il rischio di diventare “pendagli da forca” ma un pirata guadagnava dalle 10 alle 3000 volte in più di un marinaio mercantile e pochi resistevano al fascino di questi guadagni. Purtroppo, queste cifre favolose non rimanevano quasi mai nelle tasche dei pirati ma venivano dilapidate a terra, tra prostitute, alcool e gioco d’azzardo.
La vita dei pirati non era solo festini ed avventura, tra un saccheggio e l’altro passavano settimane o anche mesi; il lavoro, tra rettifiche alle vele, manutenzione della nave, vari compiti di bordo, era noioso e routinario.
Le figure più importanti a bordo di una nave pirata erano: il comandante, uomo rispettato che incuteva paura e prendeva le decisioni di comando ed il medico chirurgo, il quale, grazie ai suoi utensili, curava i feriti in battaglia. Il “sanitario” ricuciva i tagli provocati dai colpi di spada, con la sega amputava braccia e gambe, con il rhum anestetizzava ed insieme all’acqua di mare disinfettava le ferite; inutile dire che, le infezioni provocate dagli “interventi chirurgici”, portavano spesso alla morte.
I pirati erano individui dalle grandi contraddizioni, razziatori senza scrupoli ma anche uomini con una loro morale ed una primitiva democrazia. Molto spesso, per attaccare le altre navi, usavano dei metodi non proprio civili come, ad esempio, avvicinare una nave, esponendo una bandiera amica, per poi esporre la bandiera pirata all’ultimo momento, prima dell’abbordaggio, o il fatto, di usare contro i prigionieri ogni tipo di tortura, è anche vero che avevano un codice di comportamento a cui tutti, compreso il comandante, dovevano sottostare che prevedeva il diritto di voto ad ogni pirata imbarcato ed il riconoscimento alla spartizione di bottino e la sicurezza della razione di cibo e di birra quotidiani.
Dopo aver rappresentato un pericolo la pirateria sembrò sparire nel XIX secolo, ormai le marine delle grandi potenze marittime non avevano più bisogno dell'aiuto delle navi da guerra armate dai privati e nel 1856 alcune tra le più importanti nazioni marittime firmarono un trattato, la dichiarazione di Parigi, che bandiva le lettere di marca.
Le nuove tecnologie contribuirono a sconfiggere la pirateria, con l'avvento del vapore le marine d'Inghilterra e degli Stati Uniti costruirono navi che potevano andare ovunque, anche in un giorno senza vento mentre i pirati, che facevano ancora affidamento sulla vela, erano costantemente sopraffatti dalla velocitá e dagli armamenti delle navi militari a vapore(1).
Dunque sembrava che i pirati fossero scomparsi ed invece, da piccoli gruppi che allarmavano le marine di paesi lontanissimi dal nostro, si sono trasformati in un nuovo grattacapo dei servizi d’ intelligence. Negli anni 80, dei pirati attaccarono le barche ed i campi dei rifugiati cambogiani e vietnamiti nel golfo della Tailandia.
Durante il giro del mondo “in solitaria”, Giovanni Soldini fu inseguito davanti al Brasile da una barca pirata, ma grazie alla sua bravura ed esperienza riuscì a staccarla e a fuggire; non fu cosí fortunato nel dicembre del 2003 un altro italiano ucciso dai pirati al largo del Venezuela sul suo catamarano.
Il 6 giugno 2004, dei pirati hanno attaccato un cargo facendo fuoco con armi automatiche al largo di Mogadiscio, solo l’intervento di unitá da guerra americane, ha costretto alla fuga i pirati. Cinque giorni prima, otto pirati avevano sequestrato gli occupanti di un cargo in Indonesia. Questi esempi dimostrano che, siamo passati dall’improvvisazione dei pirati negli anni 80, alla nuova organizzazione, per certi aspetti militare, della pirateria internazionale.
I nuovi pirati sono, grosso modo, di due tipi: quelli che assaltano yacht e cargo anche diverse miglia dalla costa e possiedono navi veloci, unite ad un discreto arsenale di armi, come fucili d’assalto, razzi e bombe a mano, e, quelli che assaltano a scopo di rapina, piccole unitá da diporto e cargo, prevalentemente sottocosta o in porto e sono equipaggiati con piccole barche, quest’ultimi sono armati quasi esclusivamente con armi da taglio e pistole.
I pirati moderni operano differentemente secondo le provenienze geografiche, gli arabi, i somali e gli indonesiani preferiscono barche veloci dotate di radio, radar con armi anche pesanti con cannoncini prodieri da 20 mm e razzi Rpg, spesso circondano le navi da attaccare e le forzano a fermarsi sparando contro di loro. Gli altri africani usano canoe e sono armati di machete, entrano di soppiatto sulle navi durante la notte per rubare tutto ció che possono trasportare. I brasiliani invece approfittano dell’assenza di una guardia costiera nazionale imperversando entro poche miglia dalla costa con gommoni e piccoli fuoribordo.
Le statistiche criminali sulla pirateria sono preoccupanti.
Nel 2002 ci sono stati 302 atti di pirateria (evidenziati i paesi con una maggiore frequenza) tra consumati e tentati di cui:
• 218, tra il sub-continente indiano ed il Sud-Est asiatico, di cui 103 in Indonesia;
• 71, nel continente africano, 14 nella sola Nigeria;
• 13, tra i caraibi ed il Centro-Sud america, 7 in Rep. Domenicana;
Nel 2003 ci sono stati 397 atti di pirateria tra consumati e tentati di cui:
• 1, tra Grecia e Turchia;
• 95, nel continente africano di cui 39 nella sola Nigeria;
• 275,tra il sub-continente indiano ed il Sud-Est asiatico di cui 124 in Indonesia;
• 26, tra i caraibi ed il Centro-Sud america, di cui 6 nella sola Rep. Domenicana;
Nel 2004 ci sono stati 300 atti di pirateria tra consumati e tentati di cui:
• 73, nel continente Africano, 28 in Nigeria;
• 202, tra il sub continente indiano ed il Sud Est asiatico, 93 in Indonesia;
• 25, tra i caraibi ed il Centro-Sud america, di cui 9 in Jamaica(2).
Si sospetta inoltre che, questi numeri riflettano quello che i criminologi chiamano il “numero oscuro”, quella differenza tra reati commessi e reati denunciati. Molto spesso infatti, le societá armatrici preferiscono non denunciare gli atti di pirateria per non dover pagare premi assicurativi piú alti. Le aree a piú alto rischio di pirati sono: Indonesia (Stretto di Malacca, Isole Anambas, Stretto di Gelasa), Bangladesh (Chittaging, Mongla), India (Chennai, Chochin, Haldia), Malesia (Bintulu, Sandakan), Somalia and Nigeria.
Nel 1994 la “United Nations Convention on the Law of the Sea” all’articolo 101 ha definito la pirateria come ogni atto illegale di violenza o detenzione od ogni atto di predazione commesso per scopi privati dall’equipaggio di una nave o aereo, commessi o diretti:
• in alto mare contro un’altra nave o aereo, o contro le persone o le proprietá della nave o aereo in questione;
• contro navi, aerei, persone o proprietá fuori la giurisdizione di uno stato.
E’altresí pirateria:
• ogni atto volontario di partecipazione in una nave o aereo con la conoscenza del fatto che si sta perpetrando un atto di pirateria;
• ogni incitamento o facilitazione intenzionale agli atti summenzionati.
L’articolo 102 chiarisce che, l’equipaggio di una nave o aereo militare che si sia ammutinato risponde di pirateria se commette gli atti di cui all’articolo precedente.
L’articolo 103 definisce le navi pirata, come quelle navi o aerei che sono sotto il controllo di chi le usa per atti di pirateria.
Gli articoli 104 e 105 pongono l’accento sul fatto che, una nave pirata perde la nazionalitá e quindi, fuori delle acque territoriali di un singolo Stato, ogni nave d’altri stati puó procederne al sequestro(3).
Il nostro codice della navigazione all’art. 1135 definisce la pirateria come: “gli atti commessi dal comandante o l' ufficiale di nave nazionale o straniera, che depreda una nave nazionale o straniera o il suo carico, ovvero a scopo di depredazione, commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera” ne prestabilisce una pena da dieci a venti anni di reclusione. Per gli altri componenti dell' equipaggio la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo; per gli estranei la pena è ridotta fino alla metà. Anche il sospetto di pirateria è punito dal nostro codice, infatti: “il comandante o l'ufficiale di nave nazionale o straniera, fornita abusivamente di armi, che naviga senza essere munita delle carte di bordo, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”(4).
La pirateria è un fenomeno in crescita. Nel 1992, il numero degli attacchi ha portato alla costituzione di un organismo internazionale come il “Piracy Reporting Centre” di Kuala Lumpur in Malesia, controllato dall’“International Maritime Board” e dalla “International Chamber of Commerce” con base a Londra. Lo scopo di quest’organismo è, quello di segnalare i punti di mare infestati dai pirati, dare dettagli sugli attacchi giá consumati ed investigare sugli atti di pirateria o rapina armata in mare e nei porti. Grazie agli avvisi del “Piracy Reporting Centre”, le navi che navigano in zone a rischio possono prendere contromisure adeguate al pericolo che corrono ed evitare se possibile, le zone che rappresentano rischi insormontabili.
Il commercio mondiale dipende principalmente dai trasporti marittimi. La “United Nations Conference on Trade and Development (Unctad)” ha stimato che 5.8 miliardi di tonnellate di beni sono stati trasportati via mare nel 2001, rappresentando oltre 80% del volume del commercio globale. Oltre 46.000 navi attraverso 4.000 porti in tutto il mondo sono stati impegnati in questo enorme sforzo. Nel 2002 sono state trasportati via mare 5.89 miliardi di tonnellate ed il trend è in aumento(5).
Questo volume di traffico preoccupa gli esperti d’intelligence, i quali immaginano che, gruppi terroristici possano compiere atti di pirateria ed usare i carichi rubati per finanziare il terrorismo internazionale o ancora usare le navi per compiere attacchi. Gli attacchi potrebbero essere essenzialmente di tre tipi:
• affondando o sequestrando il naviglio su larga scala si potrebbe paralizzare il commercio mondiale. Concentrandosi invece, solo sul trasporto del greggio si avrebbe un innalzamento incontrollabile del prezzo del petrolio(6);
• liberando in mare le sostanze pericolose trasportate via mare nei pressi delle coste si potrebbero creare dei danni permanenti agli ecosistemi paralizzando l’industria turistica;
• usando le grandi navi per attacchi suicidi, speronamenti in nave contro unitá militari o mercantili oppure contro porti ed installazioni terrestri anche usando armi di distruzione di massa
Quanto detto non rappresenta le fantasie d’analisti in preda a facili allarmismi, nei covi di Al Qaeda sono stati ritrovati dei manuali che spiegano come sequestrare una nave e che uso farne, in piú, in molti paesi a forte impatto di pirati come l’Indonesia, la Somalia, Arabia Saudita o lo Yemen, il gruppo terroristico riconducibile a Bin Laden ha forti connivenze. A parziale conferma di quanto annunciato dagli specialisti d’intelligence, bisogna notare che: nell’ottobre 2000, dopo alcuni fallimenti iniziali, Al Qaeda uccise 17 marinai della Uss Cole nel porto di Aden nello Yemen con un gommone pieno di esplosivi; nel 2001 il gruppo separatista delle Tigri Tamil mise a segno 5 attacchi suicidi su altrettante petroliere nello Sri Lanka; nel 2002 la petroliera francese Limburg fu colpita da una barca-bomba; sempre nel 2002, le forze di sicurezza marocchine hanno arrestato degli operativi di Al Qaeda mentre pianificavano attentati contro le petroliere inglesi ed americane che passavano per lo stretto di Gibilterra.
L’Intelligence americana avverte che ormai Al Qaeda possiede dozzine di battelli fantasma da usare per il terrorismo o per la pirateria, cosi come, a breve, anche Hezbollah, Jemaah Islamiyah e le Tigri Tamil avranno capacitá marittime(7).
Per quanto riguarda la situazione italiana sembra tutto tranquillo, nessun atto di pirateria e acque territoriali supercontrollate anche grazie alla sorveglianza in funzione anti-immigrazione clandestina: i diportisti al largo di Ostia possono dormire sonni tranquilli.
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L’ultimo arrembaggio
Si è verificato alla fine di luglio, al largo della Somalia. Sei pirati hanno tentato di assalire un mercantile italiano (la “Jolli Marrone”), partito da Mombasa e diretto a Gibuti, con a bordo caffé, cacao, rame ma tutto chiuso in conteiner.
Il comandante della nave ha dovuto cambiare rotta, virando a dritta e a sinistra ad una velocità di 22 nodi. Dopo otto miglia di inseguimento i pirati hanno desistito, non prima di aver sparato numerose raffiche di mitraglietta contro il mercantile.
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