Ecco come si
costruiscono i messaggi
e che cosa c’è dietro
la comunicazione.
E’ essenziale capire
la differenza
tra falsificazione
e vera informazione
“Ogni giorno siamo bombardati da una comunicazione persuasiva dietro l’altra. Questi appelli non persuadono tramite un procedimento di dibattito o argomentazioni do ut des ma tramite la manipolazione dei simboli e delle emozioni umani. Nel bene e nel male la nostra é un’epoca di propaganda” (Pratkanis and Aronson, 1991)
Qualche tempo fa, stavo tenendo un seminario e presentando una serie di slides, con voce autorevole, ho affermato che non mi sarei fatto intimidire dalla prestigiosa Universitá o dalla presenza del docente che mi aveva invitato, al contrario, avrei detto anche tutta la veritá su alcuni punti controversi della politica internazionale collegati al terrorismo e alla guerra preventiva.
Questi punti erano:
• la McDonnell Douglas (Usa) ha venduto armi al regime iracheno per oltre 300 milioni di dollari, durante la guerra con l’Iran 1980-89;
• Bin Laden è stato addestrato nei campi “No eyes – no shout” gestiti dalla Cia con la presenza di esperti dell’ MI6 durante la guerra contro l’Urss;
• l’ assassino di Y. Rabin era sul libro paga del Mossad e fu utilizzato anche contro il fallito attentato alla vita di Arafat nel 1989.
Dopo aver letto queste brevi affermazioni, ho chiesto agli studenti di prendere carta e penna e di scrivere di quale di questi fatti erano giá a conoscenza, quale li colpiva di piú e perché. Il risultato è andato al di lá delle mie aspettative.
L’88% degli studenti è risultato arrabbiato/infastidito, per il restante 12%, i comportamenti evidenziati, seppur cinici erano considerati normali. L’80% degli arrabbiati lo era a causa dell’“ipocrisia americana” nella gestione degli affari e delle guerre, il 10% ne segnalava l’opportunismo, il 5% il paradosso ed un altro 5% l’incapacitá Usa a gestire le “amicizie”.
Un anonimo segnalava che nel primo caso, “agli Usa faceva comodo vendere armi e poi combattere il regime (di Saddam) solo per un calcolo economico”; Guenda ed altri anonimi (60% del campione) erano già a conoscenza dei fatti; Maria Rosa sottolineava che il “discepolo (Bin Laden) aveva superato il maestro”; per Denise, “le nazioni invece di evitare la guerra la facevano solo per guadagnarci”; Sabrina era “disgustata dall’opportunismo americano”; per Annalisa, “dopo il documentario (M. Moore, Fahrenheit 9/11) su Bush non c’era più da sorprendersi”; Paolo si diceva sicuro che “Yigal Amir (il killer di Y. Rabin) era un uomo dei servizi segreti”.
Nel gruppo erano piú arrabbiate le donne e piú disincantati gli uomini. Solo il 40% degli studenti segnalava la poca conoscenza dell’argomento e la speranza di saperne di piú.
Dopo aver rapidamente letto i risultati di quest’estemporanea ricerca, ho dato a tutti il benvenuto nel mondo della disinformazione. Avevo inventato quelle notizie, mentre con una mano scrivevo al computer e con l’altra cullavo mio figlio Vasco Valerio alle prese col sonno e con la colichina del pomeriggio. Il professore, ben conscio di queste mie provocazioni, rideva; gli altri erano finiti nel panico dell’incredulitá. Ho spiegato che la McDonnell Douglas produceva aerei (es. l’F18 Hornet) che il regime di Saddam non ha mai posseduto, che non esistevano i campi “no eyes no shout”, ingarbugliamento linguistico del film di S. Kubrick e che il Mossad non aveva attentato alla vita di Arafat nell’89 o perlomeno non me lo aveva fatto sapere. E’cosi facile fare della disinformazione?
La disinformazione
E’ sempre esistita, anche se definita in altri modi. La parola entró in uso comune durante gli anni ’70, in ogni caso, era giá conosciuta tra gli addetti all’intelligence nella Seconda Guerra Mondiale e durante la Guerra Fredda. La prima nazione ad organizzare un dipartimento della disinformazione fu, nel 1959, l’Unione Sovietica che tramite il Kgb, avrebbe diffuso false informazioni nei paesi del Patto Atlantico e nei paesi satelliti.
La disinformazione è una tecnica progettata per confondere la controparte o per rafforzare le convinzioni della propria e degli alleati. Si fa disinformazione, inoculando false informazioni, screditando informazioni che possono essere dibattute o conflittuali, proponendo false conclusioni, oppure, proponendo visioni plausibili basate su informazioni singolarmente vere ma la cui unione rende assolutamente falso l’assunto. I primi due tipi di disinformazione sono piú veicolati dai governi; la terza è piú usata dai gruppi informali, politici, sociali o economici. La disinformazione si differenzia dall’informazione demagogica poiché, quest’ultima, è il risultato di una versione parziale, di notizie vere ma non complete oppure di notizie vere ma senza contraddittorio. Neanche il mondo scientifico è impermeabile alla disinformazione, i sociologi amano ricordare come esempio, Trofim Denisovi-Lysenko, biologo sovietico (1898-1976), le sue teorie furono imposte ed accettate dal mondo scientifico sovietico, (con l’appoggio di Stalin) nonostante la loro evidente antiscientificitá solo per servire usi propagandistici.
In quello che ormai è il global village, il mondo moderno, globalizzato, informatizzato e superveloce, tutti fanno uso (magari non volendo), della disinformazione. I moderni sistemi di comunicazione come Internet ed il passaparola garantiscono l’attecchimento di false notizie che, vox populi vox dei, diventano la realtá. Seguendo il flusso dis-informativo, non esiste l’Aids, alcune persone erano state informate prima dell’attacco e non erano presenti nel W.T.C., i cambiamenti climatici globali sono provocati dal sistema Haarp (High Frequency Active Auroral Research Program), alcuni alieni sono tenuti in ostaggio dalle due superpotenze.
La disinformazione non è mai fine a sé stessa, è sempre funzionale a qualcosa: alla nostra integritá morale quando la mamma ci diceva che l’autoerotismo rendeva ciechi; agli interessi economici e politici di qualcuno, quando le informazioni disseminate sono confacenti alle necessitá propagandistiche. Ecco il fine ultimo della disinformazione: screditare qualcosa o qualcuno, per propagandare se stessi.
La propaganda
Si potrebbe definire, in senso ampio, come la tecnica d’influenzare le azioni umane manipolando le rappresentazioni della vita. Queste rappresentazioni possono essere verbali, scritte, pittoriche o musicali (H. Lasswell, 1937). La propaganda é un’attivitá conscia, metodica e pianificata che impiega tecniche di persuasione strutturate per raggiungere obiettivi specifici che tendono a beneficiare chi ne fa uso e per i propri fini, puó utilizzare di tutto: notiziari, rapporti governativi, junk science, libri, siti Internet, volantini, films, poster, fotografie (piú o meno falsificate), canzoni, cori da stadio, il passaparola, lo spamming, etc.
Alcuni fanno una differenziazione tra la persuasione, che è la manipolazione strutturata per provocare delle azioni negli altri, senza che ci sia un guadagno di qualcuno, mentre la propaganda vera e propria, avrebbe lo scopo di avvantaggiare il persuasore a svantaggio del persuaso (R. Brown, 1958).
La parola “propaganda” ha spesso una connotazione negativa, sinonimo di “gioco sporco”, di “persuasione occulta”, di “lavaggio del cervello”, un “Grande Fratello” che in maniera subliminale controlla le nostre menti, servendo i propri interessi a scapito degli altri (J. Taylor, 1995). Tuttavia, qualche volta, il messaggio propagandistico puó essere usato per raggiungere fini sociali positivi, come ad esempio una campagna per ridurre il consumo di alcool o di droga, anche se, troppo spesso, si usa per vendere delle bevande alcoliche come se fossero succhi di frutta, per screditare dei concorrenti politici e vincere le elezioni o per iniziare una guerra.
La propaganda nasce, come fenomeno studiato, con la Prima Guerra Mondiale. Quella propaganda aveva essenzialmente quattro scopi:
1- mobilizzare l’odio verso il nemico;
2- preservare l’amicizia degli alleati;
3- assicurarsi l’amicizia dei paesi neutrali;
4- demoralizzare il nemico (H. Lasswell, 1927).
Dopo quasi un secolo, gli scopi rimangono gli stessi, infatti, per scoprire le ragioni della propaganda moderna, basterá sostituire la parola “nemico” con “l’altro”, inteso come concorrente politico, economico o sociale.
La propaganda puó essere divisa in tre grandi filoni:
• bianca, quella dove la fonte è conosciuta;
• grigia, quella dove la fonte non è conosciuta;
• nera, quella dove la fonte è diversa da quella dichiarata.
Un esempio di propaganda bianca è la propaganda elettorale, la grigia è la disinformazione via Internet, la nera è “I protocolli dei savi anziani di Sion” (una pubblicazione edita, probabilmente dalla Polizia segreta durante la Russia zarista che descrive di un piano ordito dagli ebrei per la supremazia mondiale. Nonostante sia, quasi universalmente accettato, essere un falso, i protocolli si aggirano ancora indisturbati e sono spesso usati da alcuni governi arabi come propaganda in funzione anti israeliana).
Le tecniche di produzione della propaganda richiamano i procedimenti psico-sociali umani che abbiamo innati o appreso socialmente e su questi fanno leva:
• ricorso alla paura: la pubblicazione, datata 1940, di un ebreo-americano, Theodore Kaufman, “La Germania deve morire” in cui si proponeva la sterilizzazione di massa per tutti i tedeschi, venne sfruttata da Goebbels per sostenere che gli alleati cercavano la distruzione del popolo tedesco.
• Ricorso all’autorità: citare figure importanti per supportare una posizione, un’idea, un argomento o un’azione aumenta la persuasivitá del messaggio.
• Cosiddetto “effetto gregge”: questa tecnica rafforza il senso di appartenenza ed il naturale desiderio della gente di essere dalla parte giusta: “tutti lo stanno facendo”, “unisciti a noi”, sono slogan usati per convincere il pubblico che un programma è espressione di un irresistibile movimento di massa e che è nel loro interesse unirsi.
• Ricorso alla disapprovazione: questa tecnica é usata per portare il pubblico a disapprovare un’azione o un’idea, suggerendo che questa è popolare tra i gruppi avversari, nemici, odiati, temuti o tenuti in scarsa considerazione.
• Banalità scintillanti: sono parole con un’intensa carica emotiva, così strettamente associate a concetti o credenze d’alto valore, che possono portare a convinzioni non supportate da altre informazioni o da necessari ragionamenti.
• Vaghezza intenzionale: si usano concetti molto vaghi, in modo che, il pubblico possa fornire la propria interpretazione.
• Transfer: è una tecnica di proiezione di qualità positive o negative di una persona, o di un valore ad un altro soggetto per rendere quest’ultimo più accettabile o per screditarlo.
• Ipersemplificazione: si utilizzano generalizzazioni favorevoli per fornire semplici risposte a problemi sociali, politici, economici o militari, complessi che invece meriterebbero un lungo ragionamento.
• Uso distorto della logica: dei dati singolarmente veri, se incrociati diventano falsi. Per esempio: “Se gli ebrei credono in Dio” e “se i musulmani credono in Dio”. Unendo parti delle due veritá otteniamo: “Gli ebrei sono musulmani”. Una bugia.
• Uomo comune: L’approccio dell’“uomo comune” tenta di convincere il pubblico che le posizioni del propagandista riflettono il senso comune della gente. A volte politici, uomini di sport o di spettacolo amano farsi considerare persone “della porta accanto”.
• Testimonials: sono persone particolarmente in vista (attori, politici, sportivi) che, pur non avendo stretta attinenza con l’oggetto propagandistico, usano la loro reputazione per supportare o rigettare una data politica, azione, programma o personalità. Tuttavia non ci sono prove che un attore od un cantante sappiano meglio dell’“uomo comune” quale uomo politico sia migliore per un paese o quale vasetto di yogurt faccia meglio alla salute.
• Etichettatura: tecnica che tenta di far sorgere pregiudizi nel pubblico, etichettando l’oggetto della campagna propagandistica come qualcosa che la gente teme, odia, evita o trova indesiderabile.
• Capro espiatorio: colpevolizzare un individuo o un gruppo che spesso non è realmente responsabile, alleviando quindi i sentimenti di colpa delle parti responsabili o distraendo l’attenzione della gente dal bisogno di risolvere il problema.
• Parole virtuose: sono parole appartenenti al sistema di valori del pubblico, che tendono a produrre un’immagine buona quando assegnate ad un soggetto (es. “soldato di pace”). Oppure conferiscono note meno sinistre ad entitá che invece sinistre lo sono. La distruzione d’ospedali o l’uccisione di civili durante una guerra, ora, si chiamano “danni collaterali”.
• Slogan: uno slogan è una breve frase ad effetto che può includere l’etichettatura, il capro espiatorio o le parole virtuose. (Institute for Propaganda Analysis, 1938).
I targets della propaganda
(e della disinformazione)
Le strategie della propaganda e della disinformazione sono molteplici, il veicolo principale della loro diffusione è ovviamente il sistema mediatico. Alcuni esperti di comunicazione seguendo quella teoria chiamata “bullet theory” o dell’“ago ipodermico”, sostengono che: “ciascun individuo è un atomo isolato che reagisce da solo agli ordini e alle suggestioni dei mezzi di comunicazione di massa monopolizzati” (Wright Mills, 1963).
Se i messaggi della propaganda riescono a raggiungere gli individui della massa, la persuasione è facilmente “inoculata” e la propaganda ottiene il successo che si prefigge. I messaggi sono come pallottole che viaggiano nell’aria e quando un individuo viene “colpito”, può opporre resistenza ma, se le sue difese cedono, il contenuto inviato penetra in lui e la persuasione è inevitabile (H. Lasswell, 1937).
Teorie piú recenti, come quella del “two step flow of communication” del sociologo austriaco Paul Lazarsfeld, riportano invece all’importantissimo ruolo dell’influenza personale degli opinion leaders e il ruolo di mediatori dell’informazione diffusa attraverso i mass media. Nella pubblicazione: “The People's Choice”, Lazarsfeld dimostró che l’impatto della propaganda nei mass media, sui comportamenti elettorali della gente era minimo. I mass media, al piú, potevano confermare alcuni orientamenti politici ma non cambiarli. Il ruolo principale nel cambio degli orientamenti elettorali del pubblico era svolto grazie a persone piú permeabili e piú interessate alle comunicazioni e alle informazioni che grazie alla loro autorevolezza riuscivano ad influenzare gli elettori appartenenti al loro stesso gruppo sociale, lavorativo o amicale (Katz e Lazarsfeld, 1955).
In sostanza non è tanto il messaggio, anche se ammiccante o appetibile, che ci convince, ma la sua accettabilitá sociale, intesa come grado di favore che il messaggio raccoglie all’interno del nostro gruppo nel quale riconosciamo uno o piú opinion leaders. Le strutture di gruppo intervengono tra la fonte della comunicazione di massa e l’individuo fornendo le norme in base alle quali interpretare, valutare ed accettare i messaggi. Inoltre, la gente (ed in special modo gli opinion leaders) tende a vedere e ad ascoltare quelle comunicazioni che sono favorevoli al proprio punto di vista; gli individui percepiscono questa comunicazione distorcendola in una direzione ad essi favorevole (Kappler, 1963).
Durante i giorni del G8 di Genova, un capo dei “disobbedienti” esibí, in una trasmissione televisiva nazionale, la “prova” che le Forze dell’ordine avevano sparato su gente indifesa: questa “prova” era rappresentata da un bossolo esaurito per il moschetto mod. 91. Dal ministero dell’Interno arrivarono delle precisazioni: la cartuccia era effettivamente usata dalla Polizia di Stato ma come carica di lancio per i lacrimogeni e quindi era inoffensiva. Tuttavia, nei momenti immediatamente successivi (ed ancor oggi), molte persone, opinion leaders dei loro sottogruppi, le quali si riconoscevano appartenenti allo stesso gruppo sociale e di pensiero dei no-global, credettero alle affermazioni del “disobbediente”, riconoscendogli un ruolo di opinion leader (primario) con un’autorevolezza maggiore di chi, presso il ministero dell’Interno, smentiva queste illazioni.
Durante il derby Roma-Lazio (21 marzo 2004), tra le curve si sparse la notizia di un presunto investimento di un bambino da parte di una macchina della Polizia. I tifosi d’entrambe le squadre, a causa di quest’incidente, non volevano far svolgere il secondo tempo della partita. Il questore di Roma assicuró circa la completa infondatezza della notizia, ma l’autoritá rappresentata e l’autorevolezza di un esperto funzionario dello Stato non bastò.
Nessun tifoso in curva fu disposto a credere alla versione delle autoritá ed anche alcuni giocatori sembrarono incerti. Le voci di curva erano piú credibili delle voci ufficiali, i capi dei vari gruppi di tifosi erano nella loro funzione di opinion leader, piú attendibili del questore, del Prefetto di Roma e dei capitani delle due squadre, cosí al presidente della Lega Calcio non rimase che decidere di non far riprendere il match.
In conclusione
Ognuno di noi è diventato un esperto nell’uso delle tecniche di selezione per filtrare i messaggi che riceve. Un esame superficiale dei messaggi ci basta per decidere quali ascolteremo ed elaboreremo e quali ignoreremo o rifiuteremo. Secondo le nostre credenze o inclinazioni politiche e sociali diamo credito e prediligiamo questo o quel messaggio, il piú delle volte senza ragionarci sopra e senza farci quelle domande fondamentali che potrebbero svelare l’attendibilitá della notizia ma affidandoci, nell’incertezza, a quello che dice, chi investiamo di autorevolezza in quel momento, l’opinion leader del nostro gruppo sociale.
Se il messaggio non ci piace anche il veicolo diventa poco credibile e più la fonte è credibile, più la comunicazione persuasiva ha potere (Hovland e Weiss, 1968). In sostanza, accettiamo ció che ci piace, rifiutando quello che potrebbe provocare in noi una dissonanza cognitiva. A poco servono i dati, le informazioni delle autoritá, le prove scientifiche, crediamo a quello che ci pare: ma non sempre è la veritá.
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