Nel corso di un seminario
svoltosi a Roma
presso la Fondazione Basso, sono stati
elencati i fatti più clamorosi, tra cui quello
di Abu Ghraib (le sevizie, documentate da foto),
commessi dai soldati Usa. Le norme
internazionali di condanna devono essere
recuperate nelle legislazioni nazionali
Dopo le sciagure della Seconda Guerra Mondiale, si era detto "mai più". Si erano firmate carte, convenzioni, trattati internazionali. Si era promesso di entrare nel mondo moderno abolendo il genocidio, gli abusi, le guerre e la tortura. "Contro tante carte firmate, c’è una realtà quotidiana sia di guerra che di tortura. Una realtà che ha disseminato lutti in tutto il mondo". Parola di Franco Ippolito, consigliere della Corte di Cassazione, che è intervenuto al seminario sulla tortura organizzato il 21 maggio scorso a Roma dalla Fondazione internazionale Lelio Basso, da decenni attiva nel promuovere il dibattito sui diritti dei popoli.
Lo scandalo delle fotografie di Abu Ghraib risale ad appena un anno fa. Non fu il primo, tantomeno l'ultimo. Quello delle prigioni Usa a Bagram, in Afghanistan, è della metà di maggio. Notizie di abusi a Guantanamo sono ormai ricorrenti. E giusto il giorno prima del convegno di Roma, il Comitato Onu contro la tortura accusava la Svezia di aver violato il divieto internazionale di tortura consentendo l'espulsione di due sospettati di terrorismo in Egitto, paese dove "la tortura – dice Human rights watch – è endemica". Il trasferimento segreto di Ahmed Agiza e Mohamed Zery, i due sospettati, è avvenuto grazie a una mezza dozzina di agenti della Cia, parte delle unità speciali di rimozione, incaricate, appunto, di prelevare sospetti terroristi in qualsiasi paese si trovino e portarli in paesi terzi dove è abitualmente praticata la tortura, per effettuare interrogatori che così sarebbero più efficaci, nonostante l’espresso divieto internazionale di "consegna o estradizione di individui in paesi dove corrano il rischio di essere torturati". Il programma della Cia è noto con il nome di extraordinary rendition, consegna straordinaria. Esiste da almeno dieci anni, ma il boom dei rapimenti si è avuto dopo l'11 settembre 2001. E continua, con paesi complici come la Svezia o ignari come l’Italia nel caso di Abu Omar, un egiziano rapito da agenti della Cia a Milano nei confronti del quale la procura ha aperto un fascicolo per sparizione.
La tortura, quindi, non è affatto scomparsa con la Seconda Guerra Mondiale. "Verrà un giorno in cui questi fatti saranno ricordati con orrore come indice della nostra barbarie", diceva Filippo Turati ai tempi della Costituente. Per anni ci si è illusi che fosse un fenomeno residuale. Invece si è continuato a torturare, ovunque, a volte in segreto. E con la strategica guerra al terrorismo si è ricominciato a torturare in massa, addirittura appaltando la pratica a paesi più esperti, come fa la Cia utilizzando soprattutto carceri medio orientali.
Al seminario organizzato dalla Lelio Basso si sono analizzate le pratiche di tortura del Cile, i desaparecidos argentini, il sistema dell’apartheid. "Sembra di parlare di qualcosa di settecentesco. Invece la tortura è tornata a essere strumento di governo che caratterizza la politica del democratico occidente", ha affermato Luigi Ferrajoli, docente di diritto a Roma tre, uno strumento che si rifà al rapporto tra stato e cittadino, per cui in nome della sicurezza nazionale, il bene comune supremo, si compiono atrocità considerate in qualche modo giustificate. Con conseguenze altrettanto agghiaccianti: "Il problema – dice Ferrajoli– è che ora si parla di tortura per legittimarla, per evitare ‘mali peggiori’", come il terrorismo, appunto.
"Oggi c’è una tensione malsana, quasi che si voglia cogliere fino a che punto possa giungere l’essere umano. Un voyeurismo inconscio", nota Salvatore Senese, magistrato di Cassazione. Lo conferma Leandro Despouy, relatore speciale Onu per l’indipendenza della magistratura e dell’avvocatura e per i diritti umani, che ha ispezionato le prigioni Usa a Guantanamo, in Iraq, in Afghanistan. E anche i luoghi di detenzione sistemati sulle navi militari, ancorate fuori dalle acque territoriali ossia da ogni giurisdizione riconosciuta. "Oggi è in atto una regressione terribile dei diritti umani", ha detto Despouy. "I prigionieri sono sottoposti al totale arbitrio del carceriere, in assenza di giudici, avvocati, senza presunzione di innocenza". La vittima non è più considerata persona, perde le sue caratteristiche (e conseguentemente i suoi diritti) di nemico, detenuto, combattente, prigioniero. È il male e basta, "perché nel nuovo ordine mondiale – spiega ancora Ferrajoli – la tortura è strumento di controllo per sconfiggere il terrorismo, lo strumento del bene contro il male". E al male, al presunto terrorista, non si può applicare alcuna legge, nemmeno le Convenzioni di Ginevra.
Oltre alla tortura che si cerca di legittimare perché strumento di controllo del nuovo ordine mondiale, c’è la cosiddetta "tortura occulta", quella esercitata al chiuso delle camere di sicurezza, nelle celle di isolamento, "caratterizzata da un’enorme cifra nera", nota Ferrajoli, che precisa: "In questi casi la persona è trattata come cosa, proprio come accadde a Bolzaneto, (durante il G8 di Genova, ndr) all’unico scopo di negarne ogni dignità umana".
In Italia e nel mondo, allora, la tortura persiste. E si continua a torturare nell’impunità per mancanza di capacità della classe politica di prevedere uno specifico reato. "E’ inutile scandalizzarsi per i fatti di Abu Ghraib o per i sei mesi di condanna alla soldatessa se non se ne tirano le conseguenze. Come per il G7 a Napoli o il G8 a Genova", nota Ippolito.
Secondo Alessandra Gianelli, docente di diritto internazionale a Teramo, si tortura non perché il diritto internazionale sia inefficace. "Il problema della tortura è nel diritto interno", dice. Il divieto di tortura, spiega la Gianelli, è sancito e garantito da molte norme di diritto internazionale, come le convenzioni di Ginevra, tutti i trattati sui diritti umani, e in maniera specifica la Convenzione Onu contro la tortura del 1984 e la Convenzione del Consiglio d’Europa del 1987. I pubblici ufficiali torturano ogni volta che infliggono dolore o sofferenze acute, fisiche o mentali, con lo scopo di ottenere confessioni o informazioni. Il divieto di tortura è un diritto inalienabile, non negoziabile e inderogabile, nemmeno per stato di emergenza.
Ma le norme internazionali vanno recepite dal diritto interno, altrimenti a nulla valgono le firme sui trattati. La regola è prevista peraltro già dalla convenzione delle Nazioni unite, che oltre ad assimilare la tortura a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, obbliga appunto gli stati a introdurre uno specifico reato di tortura per prevederne pene appropriate alla gravità del fatto commesso.
In Italia, invece, come del resto in molti altri paesi del mondo, occidentale e non, manca una legge che punisca chi si macchia del reato di tortura. Quando firmò la convenzione Onu il governo italiano sostenne che una legge ad hoc non fosse necessaria. Poi, nel 1999, la Corte europea dei diritti umani ha ammonito l’Italia (e la Francia) per non avere passato alcuna legislazione che vieti la tortura. Ciò nonostante il Parlamento ha da allora accantonato la delibera del disegno di legge, l’ultima volta nel marzo scorso, per non essere riuscito a risolvere il dilemma della reiterazione, ossia decidere se un atto singolo possa costituire tortura, come nega la Lega Nord. "Se vogliamo considerarci un paese civile dobbiamo introdurre quelle garanzie che rendano la tortura di fatto impraticabile", afferma a proposito Ferrajoli. La prima garanzia è chiamare le cose con il loro nome, evidenziandone la mostruosità, anziché nasconderci dietro le menzogne semantiche che definiscono gli scempi di Bolzaneto semplici quanto gravi "lesioni". E poi assicurare la presenza dell’avvocato: "l’arrestato non dovrebbe nemmeno vedere il suo inquisitore in assenza del difensore", ricorda Ferrajoli. "L’abolizione del difensore durante gli interrogatori è una delle modifiche più vergognose del nuovo codice di procedura penale, che si giustifica solo con l’intenzione di voler togliere di mezzo chi dà fastidio, per lasciare mano libera all’inquisitore".
"Che atteggiamento assumiamo di fronte alla tortura?", si chiedeva Jean Paul Sartre nel 1957. Inorridiamo. "Con quale semplicità si sistemerebbe tutto se una sola volta ci facessero sentire le urla di un bambino torturato". Invece no, quelle urla sono soffocate. "Si nasconde la verità o la si filtra", dice ancora Sartre in Colonialismo e anti-colonialismo. "Ci demoralizza la falsa ignoranza in cui ci fanno vivere. Ma non siamo ingenui e candidi. Siamo sporchi".
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I paesi dove si tortura di più
La tortura é "comune" in Cina, soprattutto nella regioni del Tibet e del Xinjiang, popolata in maggioranza dai musulmani Uighurs.
In Egitto la tortura è in uso come "normale pratica investigativa", ha sostenuto ad aprile il Consiglio nazionale per i diritti umani, benché sia un corpo governativo. L’impunità da sempre garantita agli agenti delle Forze di sicurezza statali (Ssi) ha consentito l’espandersi di una cultura di brutalità anche nella Polizia ordinaria. Secondo Human rights watch, che ha raccolto testimonianze di ex detenuti ed ex agenti Cia, centinaia di sospettati di terrorismo sono stati riconsegnati all’Egitto, dopo l’11 settembre 2001, dagli 007 Usa.
Si tortura "sistematicamente" in Indonesia e in Iran. Nel moderno Iraq torturano i carcerieri Usa ad Abu Ghraib ma anche le nuove Forze di sicurezza irachene, che per questo non vengono punite.
Nonostante i ripetuti ammonimenti della Corte suprema, le tecniche di interrogatorio in Israele continuano a usare metodi di tortura, ora soprattutto psicologica.
Il Decreto di sicurezza interna, in vigore dal 1960 in Malesia e legittimato dopo l’11 settembre 2001 come strumento essenziale per sconfiggere il terrorismo, consente arresti arbitrari basati sul solo sospetto. La presunzione di colpevolezza dell’arrestato, a cui non viene fornita assistenza legale, ha consentito, in maniera crescente, abusi delle autorità su persone spesso risultate innocenti.
Negli ultimi 10 anni il Marocco sembrava aver progredito nel campo delle libertà e dei diritti umani. Gli oltre 2000 arrestati dopo gli attentati del 2003 a Casablanca sono stati sottoposti a ogni tipo di tortura.
Nove anni di brutale guerra civile tra il governo e i maoisti del partito comunista hanno diffuso la pratica della tortura in Nepal. Il Centro per le vittime di tortura sostiene che il 70% delle persone arrestate vengono normalmente torturate.
La tortura è routine in Nigeria, Pakistan, Korea del Nord e Uganda. Esperti da decenni nella pratica, sono invece la Siria e l’Uzbekistan.
È ancora praticata nelle carceri turche, nonostante i buoni propositi per entrare in Europa. Ed è praticata dalle forze federali russe contro i separatisti della Cecenia, per ottenerne confessioni e informazioni.
Fonte: Human rights watch, Rapporto 2005
Foto: un'immagine delle sevizie nel carcere iracheno di Abu Ghraib
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