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giugno/2005 - Articoli e Inchieste
Afghanistan
Clementina, stretta fra mille poteri
di Diego Conti

L’ultimo video
trasmesso dai rapitori
della volontaria italiana. C’è ancora troppa
confusione nelle
condizioni che erano state
poste per la liberazione
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Nel momento in cui andiamo in stampa giunge la notizia della liberazione di Clementina Cantoni. Nel prossimo numero approfondiremo tutti gli aspetti di questa vicenda.
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“My name is Clementina”, ed è il nono ultimatum. Lo dice in una ripresa dal sapore tragico. E’ avvolta in qualcosa che somiglia ad una coperta, il volto costretto in un foulard blu, in ginocchio, forse, tra due uomini incappucciati con tanto di giberne, che si presume armate, con in pugno ognuno un mitra. Le canne delle armi le puntellano il volto, senza occhiali.
E’ il video che mostra Clementina Cantoni, un breve girato firmato dai suoi rapitori e trasmesso da Tolo Tv, un’emittente afgana che alcuni confermano essere vicina a Timir Shah, il talebano. Clementina annuncia la data in cui sarebbe ripresa. Parla del 28 maggio, ma afferma che è domenica, e non sabato come dovrebbe essere. Si sostiene che quelle immagini siano comunque “fresche”, cioè che è verosimile crederle recenti. Una prova, dunque. Una prova che divarica la speranza da quel 21 maggio, giorno in cui Clementina ha parlato al telefono per l’ultima volta, dalla sua prigionia. Da allora era stato silenzio. Su quell’episodio, però, resta ancora una domanda: in un’area strettamente sorvegliata, come è stato possibile usare con tanta disinvoltura apparecchi mobili, satellitari e/o non, senza temere di essere localizzati?
Inesorabilmente, il rapimento di Clementina Cantoni, operatrice di Care International a Kabul, compie la propria genesi. Da atto terroristico, in un batter d’occhio, si tramuta in semplice azione criminosa. Poi, attraverso un ovattato balletto di incoerenze, degenera in sequestro-idioma, in linguaggio, in modalità di relazione tra chi, ben noto ad una qualche autorità, si muove come soggetto avulso da essa ma, in fin dei conti, del tutto complementare.
L’entità si chiama Timir Shah, e in Italia c’è chi ha già fornito un suo identikit. Secondo Alessandro Ceci, docente universitario e responsabile del Comitato scientifico del Ceas (Centro Alti studi per la lotta al terrorismo), Timir Shah, presunto capo della banda che ha sequestrato la donna italiana, è un uomo che viene dagli apparati di stato e che, per questo, può vantare molte protezioni. “Shah – afferma Ceci – ha un curriculum articolato: è un ex poliziotto e uomo di apparato. Conosce le tecniche investigative, gli uomini che gli danno la caccia e come ragionano. In passato, ha avuto anche un profilo politico, guidando rivendicazioni di gruppi locali vicini ai talebani. E’ anche un bandito, certo. Ma sinora ha dimostrato di non essere uno sprovveduto e soprattutto, da come si muove e dalla spregiudicatezza con la quale usa il telefono della Cantoni, fa capire di avere appoggi a livello alto, di essere protetto da qualcuno e di non temere troppo il fatto di essere intercettato e magari anche arrestato”.
Dalla redazione della tv, intanto, nessun commento sulle modalità della consegna del girato. Informalmente, qualcuno ha fatto sapere che sono stati i rapitori a indicare la strada per ottenere il filmato. “Lo ha un bambino – hanno avvertito – vi aspetta davanti alla grande moschea, quella di Iedga”. Dalla tv si sono mossi. “Abbiamo avvisato il ministero dell’Interno – dicono – e poi l’abbiamo messo in onda nella prima edizione del tg del pomeriggio perché, giornalisticamente, è interessante”. Ecco un’altra incongruenza. Il governo afgano ha saputo di tutto questo? E, se sì, ha accordato il ‘via libera’ all’operazione? I responsabili dell’emittente fanno spallucce, e la questione resta poco chiara. Fonti governative afgane esprimono tutto il loro disappunto per la messa in onda di quelle immagini, e subito lo staff di Tolo Tv viene convocato presso il ministero dell’Interno per chiarimenti.
Sull’interpretazione del video, gli inquirenti esprimono poche idee. “Il nostro giudizio, al di là dell’impatto emotivo che possono provocare le immagini di una ragazza con due fucili puntati alle tempie, è nell’insieme positivo. Chiedevamo una nuova prova che Clementina fosse in vita, e questa prova è arrivata. I rapitori confermano che intendono proseguire nelle trattative e non è escluso che, proprio con questo video i negoziati stiano per avviarsi alla fase finale”. Sì, ma quale ‘fase finale’?
A sentire lo stesso Timir Shah, che si permette persino una telefonata all’emittente, dopo la messa in onda del video, le cose sono più che confuse. Si rivolge direttamente all’ambasciata italiana, chiede un’accelerazione delle trattative, ordina che vengano accettate le proprie richieste, “che non sono richieste politiche”. Infine, il capo dei rapitori fa emergere che “Clementina non sta bene e ha bisogno di cure. I suoi occhi non sono abituati”. E’ evidente che, nella trattativa, non c’è più, e solo, il rilascio della madre di Timir Shah. “Questa – chiosa una fonte autorevole – è una questione risolta, può essere scambiata con Clementina in ogni momento. Il fatto è che anche altri gruppi criminali sono ormai coinvolti nella gestione del rapimento e non vogliono che l’ostaggio venga assolutamente rilasciato”. Questione di soldi? Forse. Ma c’è chi parla della liberazione di altri detenuti, arrestati per precedenti rapimenti, come quello dei tre funzionari dell’Onu rilasciati dopo un mese di prigionia.
Grande confusione, dunque. Uno spaesamento di troppi protagonisti, a partire dalle autorità del governo afgano. In questo senso, torna di nuovo utile la lettura offerta da Ceci su Timir Shah. “Non mi sorprenderei affatto – afferma l’analista – se questo personaggio fosse parte di un sistema di relazioni politiche diffuse oggi nel nuovo Afghanistan”. Il richiamo, qui, prende atto dell’assoluto stallo in cui sono piombate le trattative. Insomma, per comprendere meglio lo scenario del rapimento Cantoni, secondo Ceci si deve partire da un’anomalia: il profilo del suo presunto sequestratore. A ciò si deve sommare la reale condizione in cui versa l’area afgana del dopoguerra. “Non è una democrazia”, precisa Ceci. “E’ un Paese dove la produzione e il traffico di oppio non è considerata sostanzialmente una attività illegale. Coinvolge un po' tutti a vari livelli e con tutto quello che ne comporta in termini di corruzione e di intrecci di interessi anche a livello governativo”.
“La trattativa è difficile – ricorda Ceci – perché ci sono interessi diversi. C’è un forte conflitto sugli obiettivi, e dietro l’apparente confusione c’è uno scontro anche tra settori governativi. Gli italiani poi, alla fine, ‘pagano’ per il rilascio degli ostaggi. Questo a mio parere va fatto perchè‚ una vita umana non ha prezzo”. Ma, “pagare un riscatto senza un’azione politica anche forte alla fine non basta. Prima o poi finisce per complicare sicuramente le cose”.
In fin dei conti, giusto. Sarebbe già interessante capire una cosa: se, per Clementina Cantoni, il governo afgano stia lottando anche contro ‘se stesso’.

Nella foto: Clementina Cantoni

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