Dopo la sostanziale
riduzione degli sbarchi
sulle coste adriatiche
da parte di uomini
e donne provenienti
dall’Est, prende
sempre più piede
il traffico di disperati
provenienti dalla Cina
L’ennesima tragedia nel canale di Sicilia (sei morti), il 24 marzo scorso, ha portato alla ribalta delle cronache la nascita di una nuova rotta dell’immigrazione clandestina verso il nostro Paese.
Nel giungere nel luogo ove i malcapitati erano stati abbandonati dagli scafisti, i soccorritori si sono trovati di fronte a uno spettacolo inedito: gli uomini e le donne che si dibattevano tra le onde, così come quelli che erano morti affogati, erano tutti cinesi. Se in passato entravano attraverso il confine orientale del Carso, dopo un viaggio rocambolesco che poteva durare anche sei mesi, ora i cittadini della Repubblica popolare diretti nel nostro Paese utilizzano un’altra strada assai più breve, anche se più pericolosa: arrivano in aereo nell’isola di Malta muniti di un visto studio per seguire corsi di inglese e da lì vengono sbarcati sulle coste della Sicilia con gommoni.
Secondo fonti maltesi, da almeno due anni si registra un disavanzo tra gli ingressi di cinesi a Malta e la loro mancata uscita di diverse centinaia di persone: ogni anno, cioè, centinaia di cittadini di Pechino entrano sull’isola legalmente e fanno poi perdere le proprie tracce.
Ponendo questo nuovo flusso sotto i riflettori, gli eventi del 24 marzo hanno probabilmente avuto l’effetto collaterale di mettere in allerta le autorità maltesi: dopo la tragedia, i controlli sui presunti studenti cinesi si sono intensificati. Da quanto riferito da fonti della Polizia maltese, almeno 500 di loro, in attesa di passare in Italia, sono tornati a casa, per timore di essere scoperti e un cittadino cinese, Lin Yi, è stato arrestato all’aeroporto mentre cercava di lasciare in fretta e furia l’isola. Al momento è accusato di essere il mediatore tra i candidati allo sbarco clandestino e gli scafisti.
Il mutamento delle rotte dell’immigrazione irregolare è sempre frutto dell’evolversi delle condizioni del percorso migratorio: in particolare di cambiamenti introdotti nei sistemi di controllo e di contrasto e della facilità o meno nell’ottenere visti per paesi di transito.
Nel caso specifico, due novità sono state probabilmente determinanti negli ultimi anni per motivare il dirottamento delle migrazioni: l’azione di contrasto messa in atto al confine Est dal pool investigativo coordinato dal procuratore generale di Trieste Nicola Maria Pace (intervista in queste pagine) e l’arrivo di un funzionario “compiacente” all’ambasciata maltese di Pechino, che finora ha concesso visti studio con grande disinvoltura. Questi due elementi hanno spinto le organizzazioni che gestiscono il traffico a ripensare i tragitti e gli spostamenti.
L’immigrazione cinese presenta caratteristiche del tutto particolari (rispetto a quelle provenienti da altri paesi) che permettono di darle una connotazione a sé: essa è effettivamente gestita da organizzazioni transnazionali, che si fanno carico dell’aspetto logistico del viaggio, dai mezzi di trasporto alla permanenza in case di transito, dal passaggio delle frontiere al sostentamento dei migranti. Secondo quanto si legge nella relazione dalla Commissione Nazionale Antimafia, il prezzo complessivo del viaggio, a prescindere dalla rotta seguita, varia dai 12 ai 15mila euro. Per riuscire a far fronte a cifre così elevate è stato creato un sistema di credito assai articolato, in base al quale le organizzazioni che forniscono il viaggio “assistito”, intercedono su diversi soggetti interessati al trasbordo per ottenere il pagamento: l’immigrante stesso, le sue reti parentali nel paese d’origine, eventuali reti familiari nel paese d’arrivo, datori di lavoro disposti a saldare le spese in cambio dell’impegno da parte dell’immigrato a lavorare in condizioni pressoché schiaviste per saldare il debito. Si hanno casi in cui l’immigrato viene comprato dall’organizzazione dalla famiglia e rivenduto all’imprenditore: acquistato per 5mila euro, alla fine del viaggio ha triplicato il proprio valore.
A fronte dell’estrema articolazione dell’immigrazione cinese, che si avvale di organizzazioni ben ramificate, la realtà dell’immigrazione clandestina verso il nostro Paese si articola in una grande varietà di situazioni, di cui raramente si tiene conto. Innanzitutto l’ingresso irregolare non è sempre controllato da associazioni criminali: in diversi casi sono gli immigrati stessi ad autogestire il proprio viaggio, servendosi magari delle conoscenze messe a disposizione da reti solidali costituite da parenti o amici già presenti nel paese d’arrivo (e che presumibilmente hanno compiuto il tragitto prima di loro).
A volte poi il clandestino si affida ai servigi di organizzazioni specializzate solo per alcuni segmenti del viaggio particolarmente difficili, come il passaggio delle frontiere, l’attraversamento di bracci di mare, di porzioni di deserto o di montagne.
In generale possiamo identificare due grandi categorie tra i “clandestini” che giungono – o tentano di giungere – nel nostro Paese: da una parte gli immigrati asiatici (per lo più indiani, pakistani e bengalesi, oltre ai cinesi che fanno caso a sé); dall’altra quelli provenienti dall’Europa orientale (soprattutto Romania, Ucraina e Moldova) o dall’Africa subsahariana.
Per i primi, il viaggio è in generale assistito dall’inizio alla fine da organizzazioni più o meno organizzate. Molti cittadini asiatici arrivano in aereo nei paesi del Sahel (Mali o Niger), per essere trasbordati in Libia o Marocco su jeep e essere imbarcati alla volta dell’Europa. Altri passano per la Turchia e i Balcani, anche se questa rotta appare negli ultimi anni sempre meno utilizzata. Stando alle testimonianze di alcuni immigranti asiatici rimasti bloccati perché intercettati dalle autorità della Mauritania, il prezzo per l’intero tragitto si aggira intorno ai 12mila dollari, che vengono pagati all’inizio del viaggio. Una cifra confermata anche da alcuni cittadini del Bangladesh incontrati a Roma.
I cittadini dell’Europa dell’Est e dell’Africa subsahariana tendono invece ad autogestire il proprio viaggio. I primi possono avvalersi di una grande facilità ad attraversare le frontiere illegalmente o addirittura legalmente nel caso dei rumeni (che, in quanto candidati all’adesione all’Unione europea, possono entrare nello “spazio Schengen” senza visto e permanere tre mesi sul territorio).
I secondi si sobbarcano invece a viaggi lunghissimi, in condizioni difficili, con pochi mezzi e tendono a utilizzare i servizi di terzi solo per i punti più critici del loro tragitto, in particolare i percorsi in mare. Su quest’ultimo punto, tutte le testimonianze concordano: il prezzo da pagare per un passaggio in barca, sia verso Lampedusa dalla Libia, sia verso la Spagna dal nord Marocco o verso le Canarie dal Marocco meridionale o dal Sahara occidentale, è di circa mille euro.
Le azioni di contrasto messe in atto negli ultimi tempi dal Marocco e dalla Libia (su esplicita richiesta dell’Unione europea) stanno rendendo la vita sempre più difficile a questi immigranti in transito. In particolare, dopo la firma degli accordi bilaterali con l’Italia, nel settembre 2004, Tripoli ha proceduto all’arresto di cittadini subsahariani e a rimpatri coatti, non sempre verso il paese d’origine.
La politica del Marocco è, da questo punto di vista, ancora più discutibile: dall’inizio del 2005, le autorità di Rabat tendono sempre più spesso ad effettuare retate nei luoghi di concentramento dei migranti subsahariani (nei campi autogestiti in alcuni boschi nel nord, in alcuni quartieri periferici di Rabat e Casablanca). Una volta catturati i “clandestini”, li portano alla frontiera con l’Algeria, dove li abbandonano a loro stessi. In molti casi, gli immigrati nemmeno passano il confine; si sobbarcano invece diversi giorni di viaggio per ritornare là dove sono stati presi, in una specie di sfiancante gioco dell’oca.
Da questo punto di vista un dato sembra emergere in modo chiaro, al di là delle differenze sostanziali tra i vari percorsi migratori. Dai cinesi acquistati e trasportati dai trafficanti, agli africani che tentano l’avventura europea (e spesso rimangono bloccati,) ai marocchini, tunisini, egiziani che salgono su una barca per raggiungere l’altro lato del Mediterraneo (e a volte si perdono tra le onde), gli aspetti più drammatici dell’immigrazione clandestina appaiono strettamente legati alla politica di ripiegamento su se stessa dell’Europa di Schengen.
Più vengono intensificati i metodi di controllo, più i nostri Paesi sono resi inaccessibili per via legale, più l’industria delle organizzazioni fiorisce e il numero di tragedie dell’immigrazione tende a crescere in modo esponenziale.
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Le linee migratorie
Sia nel viaggio parzialmente o totalmente autogestito, ovvero in quello messo in piedi da organizzazioni specializzate nel settore, è possibile individuare le rotte prevalenti che tendono a seguire i “candidati” all’immigrazione clandestina per giungere nel nostro Paese. Ridottasi in questi ultimi anni in modo palpabile la presenza di natanti nel canale di Otranto, a causa della diminuzione del flusso migratorio dall’Albania e dalla realizzazione di sistemi di pattugliamento delle coste albanesi da parte delle stesse Forze dell’ordine italiane, oggi è possibile tracciare tre direttive principali seguite dai candidati all’ingresso irregolare:
• una prima linea dalla Libia verso la Sicilia meridionale o l’isola di Lampedusa (usata prevalentemente dagli africani sub-sahariani e dagli egiziani). Sulla stessa direttiva si pone la linea Malta-Sicilia orientale, di cui si avvalgono in questo periodo le reti che gestiscono il traffico dei cinesi.
• una seconda linea dalla Turchia via mare verso la Sicilia orientale (attualmente un po’ in disuso) o via terra attraverso i Balcani (utilizzata prevalentemente da srilankesi, curdi e afgani).
• una terza linea da Mosca attraverso l’Ucraina, la Romania, gli stati dell’ex Jugoslavia (usata per lo più da bengalesi, cinesi e, con altre modalità, dalle donne dell’est destinate al mercato della prostituzione).
Si tratta di una ipotesi di catalogazione che non esaurisce la straordinaria varietà dei percorsi migratori compiuti per approdare nel nostro Paese, ma che cerca in qualche modo di inquadrare gli aspetti più rilevanti di un fenomeno che appare in continua trasformazione.
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Gestione del sito Immigrazione
Il fenomeno dell’immigrazione negli Stati membri dell’Ue sarà gestito attraverso una rete di informazione e coordinamento creata appositamente sul web. Sarà così reso possibile lo scambio di informazioni in materia di flussi migratori irregolari, ingresso e immigrazione clandestini e rimpatrio di persone soggiornanti illegalmente.
La Commissione sarà l’organo responsabile dello sviluppo e della gestione della rete, compresi la struttura, il contenuto e gli elementi per lo scambio delle informazioni. Il controllo avverrà sul sistema di allarme rapido sull’immigrazione clandestina e sulle organizzazioni criminali di trafficanti; sulla rete dei funzionari di collegamento nel settore dell’immigrazione; sulle questioni legate al rimpatrio e sull’uso di visti, frontiere e documenti di viaggio in relazione all’immigrazione clandestina. La stessa Commissione fisserà i termini e le procedure di concessione dell’accesso totale o selettivo alla rete, permesso esclusivamente agli utenti autorizzati. La Commissione sarà assistita dal Comitato Argo che istituisce un programma d’azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nei settori delle frontiere esterne, dei visti e dell’immigrazione.
Il procedimento previsto dalla Decisione del Consiglio del 16 marzo 2005, pubblicata sulla Guce L 83/48 del 1/4/2005, integrerà il cosiddetto “sistema di allarme rapido” (Early Warning System) per la trasmissione di informazioni riguardanti l’immigrazione clandestina e le organizzazioni criminali di trafficanti, istituito con risoluzione del Consiglio del maggio 1999. Tale sistema, infatti, forse per la sua applicazione poco diffusa, non ha mai soddisfatto completamente le aspettative degli Stati membri.
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