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Aprile-Maggio/2005 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Società
Chi ci aiuta in famiglia
di Ugo Rodorigo

Da tempo in Italia è apparsa una nuova figura: la “badante”. Ma chi è questa badante che si può considerare un’assistente familiare?
Le badanti vengono nella quasi totalità dall’Est europeo, soprattutto da Ucrania e Moldavia. Non superano i 40 anni, hanno un titolo di scuola superiore o sono laureate.
Il loro emigrare verso l’Italia deriva dalla necessità di aiutare le proprie famiglie e nonostante le difficoltà reputano la loro vita migliorata. Questa assistenza familiare immigrata fa ormai parte del nostro costume.
Sono molte le famiglie italiane che hanno da accudire una persona non autosufficiente o badare ai figli piccoli, ma soprattutto genitori invalidi o anziani. La domanda e l’offerta stentano ad incontrarsi per risolvere i rispettivi bisogni. Le nuove collaboratrici, in un Paese diverso dal loro, con la preoccupazione della famiglia lontana cercano di risolvere i problemi altrui, affrontando differenze culturali e pregiudizi.
Non sappiamo quante siano queste lavoratrici domestiche anche se, con la sanatoria Bossi-Fini, quasi 600mila risultano iscritte all’Inps. Una moltitudine silenziosa che supera questa cifra e che continuano ad arrivare.
All’inizio c’erano centri d’ascolto presso le parrocchie che accoglievano queste persone tramutatisi poi in punti d’incontro tra domanda e offerta. Poi sono state istituite cooperative sociali, associazioni ed agenzie che aiutano i disabili a trovare l'assistente per loro. A Pordenone c’è un progetto, finanziato dalla Conferenza episcopale italiana, avviato da poco tempo che, attraverso il centro di ascolto, mette in contatto un’agenzia specializzata con le immigrate per l’aiuto ad ottenere permessi di soggiorno o trovare un’occupazione e così anche altre iniziative a Venezia. Con l’avvio di queste decisioni anche le Province e le Regioni si stanno organizzando con iniziative, specialmente nel Centro Nord, per poter qualificare l’offerta, contenere i costi per le strutture come asili nido e ospizi, per far uscire questo settore dal sommerso.
Dietro alle badanti c’è sempre un’altra donna che chiede il loro aiuto. Questo trasferimento dai paesi poveri a paesi ricchi affida a queste immigrate le funzioni che tradizionalmente spetta alle mogli. Quello che resta un mistero è il futuro dei figli delle lavoratrici immigrate che crediamo destinati a crescere da soli.
Qui, nel nostro Paese è quasi sconosciuto il contributo maschile nella famiglia, forse esclusivamente per ragioni culturali, che ci porta a considerare “l’accudire” una occupazione esclusivamente femminile, cioè non valutabile. Per questo non possiamo rinunciare alla collaborazione di queste donne che, cercando da noi lavori nel campo domestico, pensano di poter aiutare le loro famiglie inviando denaro, frutto del loro lavoro.
Dobbiamo però cercare di aiutare la formazione di questo personale per renderlo più qualificato. L’Emilia Romagna e il Comune di Roma hanno lanciato un progetto sperimentale. Lo sportello “Insieme si può” di Roma (tel. 06 7843348) sta sperimentando questo progetto e molti anziani lasciano frequentare ai loro badanti questi corsi gratuiti, in cambio del pagamento dei contributi Inps e con la garanzia che, nelle ore di lezione, altri assistenti si occupino di loro. Così verranno redatti elenchi di personale qualificato che aiuteranno la famiglia a cercare la persona giusta.
Nel Comune di Trento, esiste il progetto “Equal” finanziato dal Fondo sociale europeo, curato da un consorzio di cooperative sociali che fa da mediatore tra domanda e offerta. L’intervento degli Enti locali aiuta l’assistenza privata a una maggiore accessibilità presso le famiglie. A Firenze ogni anziano ha un “buono servizi” che lo aiuta a scegliere, tra servizi pubblici e privati, quello che è più adatto alle sue necessità.
Si apre così la cultura dell’accoglienza e del rispetto per queste persone immigrate che, con il loro lavoro, aiutano la nostra famiglia. Sono il sostegno del focolare domestico, un esercito silenzioso che noi conosciamo, ma anche le istituzioni non possono più ignorare. Per aiutarle dobbiamo offrire una prima accoglienza e l’aiuto a cercare per loro una occupazione.
Per concludere, in sintesi: formazione, incontro domanda e offerta, integrazione con servizi territoriali.

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