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Aprile-Maggio/2005 - Laboratorio
Alchimie medievali
di Antonio Ciaramella - Direttivo nazionale - Siulp

Purtroppo è da registrare l’atteggiamento dell’Amministrazione troppo proteso alla negazione dei diritti pur di risparmiare le ben poche e risicate risorse economiche che la Finanziaria ci concede.
La segnalazione è quanto mai appropriata ed attuale, atteso l’imminente accordo nazionale quadro ed il progetto laborioso che è stato fatto dalla Commissione Siulp, di cui ho fatto parte insieme a Primo Sarti, Claudio Costantini ed il segretario nazionale Felice Romano.
Bisogna rammentare che l’art. 35 del D.p.r. 16/9/1999, n. 294, che disciplina le condizioni per usufruire dei buoni pasti, recita che “qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 2, comma 1, della legge 18/5/1989, n. 203, nelle fattispecie disciplinate dall’art. 1, comma 1, lett. b) della stessa legge, allorché si provvede ricorrendo ad esercizi privati, l’onere a carico dell’Amministrazione è elevato, ove inferiore, a £ 9000 a decorrere dall’entrata in rigore del decreto di recepimento del presente accordo”.
Quindi c’è un rinvio alla legge 18/5/1989, n. 203 (G. U. 125 del 31/5/1989) “nuove disposizioni per i servizi di mensa delle Forze di polizia di cui all’art. 16 della legge 1/4/1981 n. 121” per quanto riguarda le condizioni. Probabilmente questi rinvii hanno creato confusione al solerte burocrate. Infatti, l’art. 1 recita “oltre a quanto previsto da specifiche disposizioni di legge o di regolamento, il Ministro dell’Interno è autorizzato a disporre, con propri decreti, nei limiti degli stanziamenti iscritti nei competenti capitoli, la costituzione di mense obbligatorie di servizio per il personale della Polizia di Stato che si trova nelle seguenti particolari situazioni di impiego ambientale:
a) personale impiegato in servizi di ordine e sicurezza pubblica di soccorso pubblico in reparto organico o a questo aggregato, ovvero impiegato in speciali servizi operativi, durante la permanenza del servizio;
b) personale impiegato in servizi di istituto, specificatamente tenuto a permanere sul luogo di servizio che non può allontanarsi per il tempo necessario per la consumazione del pasto presso il proprio domicilio;
c) personale impiegato in servizi di istituto in località di preminente interesse operativo ed in situazioni di grave disagio ambientale;
d) personale alloggiato collettivamente in caserma o per il quale l’alloggio collettivo in caserma eèspecificatamente richiesto ai fini della disponibilità per l’impiego”.
Inoltre l’art. 2 aggiunge che “qualora l’organismo interessato o presso altro ufficio o reparto della Polizia di Stato della stessa sede sia impossibile assicurare, direttamente o mediante appalti, il funzionamento della mensa obbligatoria di servizio, nelle situazioni di impiego e ambientali di cui all’art; 1, lettera a), b) e c), il Ministro dell’Interno è autorizzato a provvedere, nei limiti degli stanziamenti iscritti nei competenti capitoli di bilancio, con propri decreti, ai sensi dell’art. 55 del regolamento di servizio dell’Amministrazione della Pubblica sicurezza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 20/10/1983, n. 782, e successive modificazioni”. Il secondo comma precisa che nel caso previsto dalla lettera b) dell’art. 1, alloché si provvede ricorrendo ad esercizi privati, l’onere a carico dell’Amministrazione non può eccedere il doppio del controvalore della razione viveri, nonché delle integrazioni vitto e dei generi di conforto, di cui alle tabelle annesse agli stati di previsione del ministero della Difesa.
È stata necessaria la pedissequa recitazione delle disposizioni di legge per meglio chiarire che le stesse sono assolutamente disattese dall’Amministrazione, senza il sostegno di alcun fondamento di fatto e di diritto. La ratio, ma anche la volontà del legislatore e poi opinione di questo sindacato come parte sociale in occasione dei confronti in sede contrattuale con la funzione pubblica, è che l’Amministrazione assicuri il servizio di mensa obbligatoria al personale che opera in determinate condizioni di impiego e più precisamente nelle condizioni sopra riportate di cui alla lettera a), b), c) e d) della legge 18/5/1989, n. 203 e soprattutto indistintamente per ogni singola condizione.
È superfluo sottolineare che per il Siulp la fruizione della mensa è fondamentale per il sereno svolgimento dell’impiego del personale in condizioni di disagio e di improvviso impegno lavorativo ma anche, e non secondariamente, per migliorare e/o favorire le condizioni di maggiore benessere e socializzazione, anche se solo conviviale, del personale.
Recentemente la funzione pubblica nel dare direttive di massima nelle misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle Pubbliche amministrazioni ha ribadito, in più passaggi, che per lo sviluppo e l’efficienza delle Amministrazioni occorre migliorare le condizioni emotive dell’ambiente in cui si lavora, favorire un clima organizzativo che stimoli la creatività e l’apprendimento, vigilare sull’ergonomia e creare i presupposti di lavoro in contesti organizzativi che favoriscano gli scambi, la trasparenza e la visibilità dei risultati di lavoro, in ambienti dove esiste un’adeguata attenzione agli spazi architettonici, ai rapporti tra le persone ed allo sviluppo professionale con una rinnovata attenzione, da parte dei datori di lavoro, ad aspetti non monetari del rapporto di lavoro.
Uno studio del Siulp Piemonte, effettuato da personale medico altamente qualificato, ha rilevato su un campione che i poliziotti lamentano una classe dirigente impreparata e disinteressata ai problemi non monetari ed al benessere del personale. Lo studio effettuato dalla funzione pubblica ha osservato, sotto tale profilo un’impreparazione totale dei funzionari in questa materia. D’altro canto anche a livello ministeriale impera, invece, il principio ad escludendum dell’istituzione, non solo rivendicando la piena autonomia dal pubblico impiego ma anche il sorvolare su alcuni diritti in quanto rigorosamente “militari e Forze di polizia”.
Invero, le condizioni emotive dell’ambiente in cui lavora l’operatore di Polizia non sono mai serene per l’impatto che la criminalità ci riserva eppure l’Amministrazione trascura il benessere e l’assistenza del personale che, non ultimo, abbisogna di servizi non ultimo, l’usufruizione dell’istituto in argomento. Tale istituto, in base alle disposizioni di legge esaminate, viene assicurato con le mense di servizio o in economia interne, in alternativa stipulando direttamente convenzioni con eservizi privati di ristorazione oppure erogando buoni pasto giornaliero del valore previsto.
Invero, l’Amministrazione mostra palesemente l’intenzione di contemperare tale servizio di vitto soprattutto e prioritariamente con le disponibilità economiche, ma queste sono sempre più carenti per le risicate disponibilità finanziarie, a aprte le roboanti strombazzate sulla migliorata sicurezza e le vane promesse elettorali che in questi giorni piovono a catinelle sui poliziotti. Ciò nonostante, lo spirito del dettato normativo viene deviato interpretativamente e storpiato di fatto, con la circolare di primissima applicazione all’emanazione della legge ed alla stipulazione degli accordi nazionali quadri e contratti vari.
Infatti, anche se in via sperimentale, la circolare 750.C.1/1664 del 13/6/2001 a firma dell’attuale Capo della Polizia precisa che l’attribuzione del ticket, quale nuova modalità di vitto, tra l’altro enfatizzata molto più del risultato ottenuto, veniva annunciata come introduzione di un sistema alternativo a quello delle convenzioni con ristoratori privati per i dipendenti impiegati in sedi lavorative sprovviste di mense di servizio interne purché, e qui si registra la prima battuta di arresto dei diritti a mezzo di abuso interpretativo, sussistevano alla totalità del personale le circostanze di impiego all’art. 1, lett. b) della legge 18/5/1989, n. 203.
In parole povere, pur riconoscendo il diritto al personale impiegato in servizi di istituto tenuto a permanere sul luogo di servizio, viene ristretto arbitrariamente tale usufruizione specificatamente a quello che non può allontanarsi per il tempo necessario per la consumazione del pasto presso il proprio domicilio; insomma una vera e propria “bufala” interpretativa. Tale espediente, molto strisciante, veniva giustificato come strumento adottato per alleggerire sensibilmente i carichi di lavoro, evitando molti dei complessi adempimenti quali attività di spesa, di magazzino, di gestione del denaro e di resa del conto giudiziale.
Da questo assurdo giuridico, con una formula degna delle peggiori alchimie medioevali, viene prodotta la circolare del superiore servizio prot. 750 c.1/4296 del 15/11/2001 sui buoni pasto il quale, confermando, non potendo farne a meno, l’attribuzione dei buoni pasto ai turnisti (13/19 e 19/24) introduce arbitrariamente una eccezione: sono esclusi dall’istituto “coloro che fruiscono in alloggio collettivo ubicato nello stesso stabile della sede di servizio”. Tale eccezione non si rinviene in alcuna parte del dispositivo art; 35 D.p.r. 254/99 né tantomeno all’art. 1 e 2 legge 203/89, la quale ratio, invece, tende ad evitare qualsiasi sperequazione palese tra il personale anzidetto e l’ipotesi b) che autonomamente consente il vitto alla totalità del personale che non può consumare il pasto presso il proprio domicilio, non solo per il protrarsi del servizio ma anche quando l’intervallo del rientro ed il completamento dell’orario d’obbligo non consentono il tempo necessario per recarsi al proprio domicilio. Tale ipotesi è autonoma ed indipendente dalle altre, e viene ribadita poi da diversi accordi sindacali nazionali che confermano, comunque, l’ipotesi c) assolutamente diversa ed autonoma dall’ipotesi b) e non dipendente e subordinata all’altra.
Invece l’ipotesi viene estesa dal Servizio, stravolgendo con un’artida acrobazia interpretativa, la quale trasforma il personale obbligato collettivamente a permanere in alloggi collettivi con i turnisti. Non solo, si arriva in maniera pindarica a definirli eufemisticamente “dimoranti in sede” al solo scopo di essere etichettato come notorio gestore di una cucina privata e vorace consumatore nel proprio alloggio di servizio. Qui si è in cattiva fede, perché si omette le restrizioni emanate dalla stessa Amministrazione che impediscono rigorosamente di tenere una cucina privata non solo nei propri alloggi ma anche in una sede di lavoro sprovvista di mensa di servizio.
Questo è un assurdo di diritto e di fatto, eppure il Servizio ribadisce cocciutamente e lo rispolvera impietosamente, forse per eccesso di zelo nel trovare improbabili fondi con una forbice tagliante ed inesorabile che priva il personale di un diritto riconosciuto dalla legge ma tergiversa su prerogative e sprechi vecchi come matusalemme facendo impallidire gli uomini di buona volontà e, soprattutto, quelli con un po’ di sale in zucca.
È possibile non rendersi conto che il personale accasermato, essenzialmente trasferito d’ufficio lontano dalla sede di appartenenza o personale ausiliario, che spesso si trova in una sede priva di servizio di mensa, possa trovare di che sfamarsi? La ragione dice “no”, l’Amministrazione risponde in senso opposto.

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